N.2 2022 - L'offerta editoriale per bambini e ragazzi

Navigazione dei contenuti del fascicolo

Giocare in biblioteca: teorie e pratiche

Francesco Mazzetta

Biblioteca comunale Passerini-Landi, Piacenza; francesco.mazzetta@gmail.com

Giulia Gasparini

Cooperativa sociale Accento; Centro cultura multiplo, Cavriago (RE); gasparini.giulia@coopaccento.it

William Bernardoni

Biblioteca Ernesto Ragionieri, Sesto Fiorentino (FI); bernardoniw@gmail.com

Daniele Brunello

Biblioteca comunale di Borgoricco (PD); daniele.brunello@gmail.com

Per tutti i siti web la data di ultima consultazione è il 29 ottobre 2022.
Gli autori del contributo sono quattro dei componenti del Gruppo di lavoro gaming in biblioteca - IGD Italia dell’Associazione italiana biblioteche per il triennio 2020-2023.

Abstract

Il gioco può diventare un servizio centrale della mission della biblioteca, ma occorre conoscerlo per poterlo proporre e utilizzare in maniera adeguata all'interno di collezioni e servizi. Gli interventi vogliono pertanto offrire sia un quadro teorico sia la presentazione di esperienze pratiche e di consigli di utilizzo dei vari generi ludici.

English abstract

Gaming can become a central service of the library mission, but librarians and educators should be awareness in order to offer and use it appropriately within collections and services. Therefore, the paper aims to offer both a theoretical framework and the presentation of practical experiences and recommendations for the use of various play genres.

Crossmedialità e narrazione nei videogiochi

Di Francesco Mazzetta

Per parlare della narrazione nei video/giochi occorre prima di tutto capire cosa sia un video/gioco. Intanto perché scrivere ‘video/gioco’? Sicuramente è possibile considerare il videogioco (scritto senza barra) come un sottoinsieme del più ampio e antico medium ‘gioco’. Il videogioco non è che la declinazione tramite strumentazione elettronica e con la mediazione (quasi, anche se non sempre) di uno schermo (da qui ovviamente l’appellativo ‘volgare’). Inserendo la barra obliqua nel termine si vuole marcare un’appartenenza – piuttosto che una separazione – ma sottolineando comunque le differenze e le peculiarità. Detto questo resta però da definire cosa sia il gioco. Fondamentalmente la posizione in materia si divide tra chi pensa che i giochi non si possano definire in modo univoco ma che, al contrario, siano un gruppo eterogeneo di attività accomunato da somiglianze [Wittgenstein, 2017] e chi, invece, è convinto che del gioco possa essere data una definizione precisa e univoca: «giocare è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari» [Suits, 2021, p. 58]. Con questa definizione che il filosofo statunitense Bernard Suits propone in diretta contrapposizione a Wittgenstein è necessario, tuttavia, rinunciare a considerare giochi delle attività che pure erano state indicate come sostanzialmente ludiche da un altro precedente importante studioso del gioco quale Roger Caillois. Non si tratta di questioni secondarie – come si vedrà meglio più avanti – per capire se e come il gioco (e il videogioco) può o meno essere considerato un medium narrativo e, se sì, in che misura.

Occorre considerare quale sia l’origine del gioco e bisogna constatare (con Caillois) che il gioco non è un’attività caratterizzante l’essere umano: anche gli animali giocano. Il gioco è un’attività quasi generalizzata all’interno del regno animale, che serve in misura principale come forma di addestramento dei cuccioli. Anche nella specie umana svariati sono stati gli approcci pedagogici al gioco. Un autore come Jerome S. Bruner, ad esempio, considera il gioco con riferimento all’adattamento umano e alle strategie di soluzione di problemi: giocare è un modo di apprendere all’interno di una situazione ‘controllata’ nella quale sono ridotti al minimo i rischi di una violazione delle regole sociali e rappresenta un’occasione per sperimentare nuovi comportamenti [Bruner - Jolly - Sylva, 1981]. Questa di Bruner è una valutazione molto importante perché ci permette di introdurre, collegato a quello di gioco, il concetto di ‘simulazione’, di cui vedremo l’importanza in particolare in ambito videoludico.

Sia Johan Huizinga sia Roger Caillois mostrano in dettaglio come il gioco sia alla base praticamente di tutte le attività umane [Huizinga, 2002; Caillois, 2019]. Caillois si spinge addirittura a mostrare come le epoche dell’evoluzione della società umana siano legate a ben precise tipologie di giochi. Caillois individua quattro tipologie: Agon (i giochi di competizione), Alea (i giochi di fortuna), Ilinx (giochi nei quali predomina il senso della vertigine) e Mimicry (i giochi nei quali è richiesto d’interpretare un ruolo). Caillois divide la storia umana in due grandi segmenti: quella antica, nella quale a prevalere nella società sono le modalità ludiche dell’Ilinx e della Mimicry (l’affidarsi alla benevolenza divina attraverso il gesto sciamanico) e quella moderna, nella quale a dominare sono invece Agon e Alea (il principio della meritocrazia temperato dalla possibilità di confidare nella fortuna se non si hanno le capacità per primeggiare).

La definizione proposta da Suits praticamente elimina dal dominio dei giochi tutto l’Ilinx e buona parte di Mimicry (non essendoci, in queste tipologie di gioco, difficoltà da superare) minando il modello euristico cailloisiano (e, indirettamente, huizinghiano). In questo senso chi scrive propende piuttosto per la soluzione wittgensteiniana, anche se occorre sottolineare come la definizione di Suits resti fondamentale per un ambito del ludico che recentemente ha avuto notevole attenzione (anche se forse in contrasto con le intenzioni dell’autore): quello della ‘gamification’. La gamification è l’applicazione di dinamiche ludiche ad attività lavorative, didattiche o di marketing. Per il marketing l’obiettivo è fidelizzare il cliente magari anche tenendolo sul proprio sito attraverso minigiochi (minigame); per la didattica è quello di presentare sotto forma di gioco argomenti non indispensabili al corso di studi ma utili ancorché non sempre appetibili, come per esempio la valutazione delle fonti o la redazione di una bibliografia per studenti di facoltà non umanistiche. Ma l’ambito per certi versi più promettente della gamification si è forse rivelato quello lavorativo: seguendo le riflessioni di Suits, gli psicologi del lavoro hanno rilevato che proponendo attività non particolarmente entusiasmanti per i lavoratori (come la formazione) in forma ludica, la partecipazione e i risultati migliorano significativamente. Il principio messo in luce da Suits è infatti che nel gioco le difficoltà devono essere affrontate volontariamente e quanto più sono sfidanti tanto più il gioco è interessante: trasformando così il lavoro in gioco si spingono i lavoratori a impegnarsi maggiormente senza innescare rivendicazioni di tipo sindacale.

Può essere utile per risolvere la (apparente) dicotomia tra l’impostazione di Wittgenstein e quella di Suits (e recuperare le interessanti analisi storico-ludiche di Huizinga e, soprattutto, di Caillois) spostarci dall’ambito linguistico dell’italiano a quello dell’inglese. Qui abbiamo due termini che in italiano vengono tradotti indifferentemente con ‘gioco’: game e play. In inglese il significato di game è: «A game is a structured form of play, usually undertaken for entertainment or fun, and sometimes used as an educational tool» e quello di play: «Play is a range of intrinsically motivated activities done for recreational pleasure and enjoyment».

Sostanzialmente, a livello di game studies, per game si intende il gioco come prodotto strutturato, come insieme di regole o meglio di ‘meccaniche’, per play invece la concreta attività ludica di chi gioca. Molto interessante che play abbia un’area semantica che non riguarda solo il gioco in senso stretto, ma anche la recitazione (play è l’attività dell’attore) e l’esecuzione musicale (play è suonare uno strumento). In questo modo la definizione di Suits è perfetta per il gioco inteso come game, come sistema chiuso e coerente di regole e meccaniche volto ad arrivare a un risultato preciso e misurabile (si vince o si perde). Se invece ci muoviamo nell’ambito del play ecco che le cose si fanno estremamente più sfumate e non è possibile non ricorrere alla posizione wittgensteiniana. Di più: play che collega semanticamente gioco, recitazione ed esecuzione musicale conferma l’intuizione cailloisiana che affianca ad Agon e ad Alea la vertigine (musicale) Ilinx e la recitazione (attraverso l’interpretazione di un ruolo) Mimicry. Tra l’altro è utile in questo contesto ricordare la posizione di uno dei principali promotori del gioco come mezzo educativo e socializzante, Bernard De Koven che, nell’ultimo libro pubblicato prima della sua scomparsa avvenuta nel 2018, teorizza esplicitamente una filosofia di vita basata sulla playfulness [De Koven, 2014] – che potremmo tradurre come ‘giocosità’ – che ci liberi dal giogo di una società eccessivamente legata anche nei giochi a regole e risultati.

La distinzione tra game e play serve per introdurre il panorama dei game studies. Si tratta di una parte di mondo accademico che pretende di studiare i giochi come fenomeno a sé (e quindi ottenere cattedre universitarie apposite) piuttosto che vedere fagocitato l’oggetto di studio dalla semiotica o dalla narratologia. Il primo testo riconosciuto come specifico dei game studies è stato [Aarseth, 1997], nel quale l’autore norvegese introduce il concetto di ‘letteratura ergodica’ per indicare quei testi che non possono essere fruiti senza che, da parte del ‘lettore’, sia effettuato uno ‘sforzo non triviale’. Per Aarseth, uno ‘sforzo triviale’ è girare le pagine di un libro, o restare seduti sulla poltrona a guardare un film, assistere a un’opera teatrale, ascoltare un concerto. Aarseth cita tentativi di letteratura ergodica all’interno della letteratura tradizionale, tra i quali [Calvino, 1979; Cortazar, 2015; Pavic, 1988]. Se lo sforzo che chiede Calvino al suo lettore è meramente quello di immaginare il testo che il suo protagonista cerca di leggere, più ‘ergodici’ sono in effetti Cortazar e Pavic: il primo costruendo un testo-labirinto che sta al lettore sbrogliare e il secondo fornendo solo indizi, a volte contraddittori, sulla storia del misterioso popolo dei Chazari. Ma ovviamente per Aarseth questi non sono che tentativi incompiuti e segnala invece come primo vero esempio di letteratura ergodica in ambito narrativo il racconto di [Joyce, 1993]. Scritto con il software Storyspace, è una storia che chiede al lettore, in ogni segmento di testo che presenta, di cliccare su una determinata parola (invece che su un altra) per farla continuare e concludere. Sulle narrazioni ergodiche ipertestuali ci torneremo, ora qui interessa mostrare come la strada dei game studies aperta da Aarseth abbia visto il suo esordio con un’appassionata contrapposizione tra due correnti: narratology contro ludology. Come opere di riferimento delle due diverse correnti è possibile indicare, rispettivamente, [Murray, 1997] per narratology e [Juul, 2005] per ludology. Per diverso tempo le due correnti si sono contrapposte sostenendo una che qualsiasi testo, anche ludico, è sempre narrativo – se non intrinsecamente, per lo meno nella fruizione del ‘lettore’: giocando a Tetris, ad esempio, non incontro dentro al gioco una storia ma diventa una storia il mio modo di giocare a quel titolo – mentre l’altra sosteneva che il testo narrativo non ha nulla a che fare con il testo ludico e che anche in quei testi ludici che contengono parti narrative, queste sono esclusivamente ‘cosmetiche’ e non definiscono minimamente il testo ludico. Ormai nessuno studioso si pone più – come a suo tempo fecero Murray e Juul – agli estremi di questa linea che vede da un capo la narrazione e dall’altro le meccaniche ludiche. Così come non ha senso parlare di narrazione per giochi come il citato Tetris o altri puzzle game perché, anche se l’approccio di ogni giocatore a esso sarà diverso, non è possibile individuare nell’autore di quei giochi alcuna intenzionalità narrativa; è insensato negare il valore della narrazione per giochi come le avventure grafiche o per i giochi di ruolo. Anche in giochi dove la narrazione è spesso minimale, come i cosiddetti sparatutto in prima persona, l’ambientazione narrativa serve a caratterizzare i diversi titoli le cui meccaniche ludiche sarebbero altrimenti desolatamente uguali.

Vale la pena di segnalare la definizione di videogioco avanzata da Marco Accordi Rickards, studioso italiano e autore sia di testi didattici sia di testi divulgativi sui videogiochi, che è in grado di rendere conto sia della dimensione ludica sia di quella narrativa: ‘opera multimediale interattiva’ [Accordi Rickards, 2018; Accordi Rickards, 2021; Accordi Rickards - Vannucchi, 2013]. ‘Multimediale’ e ‘interattiva’ sono aggettivi abbastanza ovvi: i videogiochi coinvolgono varie dimensioni mediali (animazione, sonoro, scrittura – quando narrano una storia) e sono interattivi nel senso che richiedono l’interazione attiva del giocatore per poter essere fruiti (che deve risolvere enigmi, sconfiggere nemici, completare le missioni ecc.). A questa definizione chi scrive aggiunge l’aggettivo ‘simulativa’: tutti i video/giochi sono simulazioni, huizingamente perché costituiscono uno spazio separato dalla realtà quotidiana, ma anche perché materialmente ciò che ci viene proposto da un videogioco è sempre una simulazione di immagini, musiche, storie, azioni costituite dagli 0 e dagli 1 del linguaggio digitale. Ma il termine centrale non è costituito dagli aggettivi, quanto dal sostantivo ‘opera’, che Accordi Rickards qualifica esplicitamente nel senso di «frutto, risultato di un lavoro intellettuale, nel campo delle lettere, delle scienze e delle varie arti». Opera in quanto i videogiochi costituiscono un’opera dell’ingegno, in determinati casi al pari di un film frutto di uno sforzo collettivo ma sotto la direzione autoriale di una o più persone. Ecco allora che i videogiochi hanno le loro star, autori che hanno saputo imprimere un marchio autoriale di riconoscibilità alle opere videoludiche: John Carmack e John Romero, Will Wright, Sid Meier, Ron Gilbert, Shigeru Miyamoto, Hideo Kojima ecc. In alcuni casi non abbiamo solo autori singoli ma team di sviluppo: Naughty Dog, Polyphony Digital, Square, Blizzard ecc. Per essere ‘opera’ il videogioco deve essere ‘qualcosa in più’ di ‘semplici’ meccaniche. Anche perché banalmente le opere, intese nel significato scritto sopra, sono tutelate dal diritto d’autore, mentre le meccaniche no (ed è questo il motivo per cui, sia in ambito videoludico sia in ambito di giochi da tavolo troviamo tanti titoli con meccaniche tutte uguali).

Tornando alla questione della narratività nei videogiochi: si tratta di un elemento che non è possibile quantificare semplicisticamente come presente o assente; occorre piuttosto individuare dove si posiziona, opera per opera, nella scala tra i due estremi. Non è un caso che, in un’epoca in cui la cross/trans-medialità è una pratica ubiqua, l’ambito videoludico sia sempre più appetibile a operazioni crossmediali che coinvolgono la narrativa, il fumetto, il cinema, la televisione. In particolare, sotto la lente di appassionati e critici stanno le trasposizioni cinematografiche di opere e saghe videoludiche. Pensiamo al caso fino a oggi più prolifico: Resident Evil serie che, a sua volta nata ispirandosi ai film di George Romero, è stata trasposta in una saga di sei film diretti/prodotti da Paul W.S. Anderson alla quale ha fatto seguito un reboot diretto da Johannes Roberts (tutti per la casa di produzione tedesca Costantin Film). La trasposizione cinematografica di un videogioco o di una serie videoludica deve fare i conti con una narrazione relativamente poco strutturata, dovendo permettere l’interazione della storia col giocatore. Ecco che allora abbiamo una ‘ipernarrativizzazione’ con l’inserimento di integrazioni narrative che però spesso snaturano completamente l’opera originale (come è stato il caso della versione cinematografica di Super Mario Bros. o di Street Fighter, ma anche in effetti di certi episodi del Resident Evil più legati alla protagonista, Alice, interpretata da Milla Jovovic) o al contrario cercando di mantenere la fedeltà all’opera ma risultando narrativamente poco convincenti (come il reboot Resident Evil: Welcome to Raccoon City). Non meno disastrosi, d’altra parte, sono stati alcuni casi di adattamento videoludico di opere cinematografiche: uno addirittura, quello di E.T. the Extra-Terrestrial, è stato un fallimento tale quando uscì nel 1982 da causare una perdita a tal punto significativa per la casa editrice, Atari, da indurre questa a seppellire le cartucce invendute del gioco nel deserto (episodio che si è considerato una leggenda urbana fino a quando le cartucce sono state effettivamente disseppellite nel 2014 da una discarica nel Nuovo Messico). Ma se ci sono tanti esempi di trasposizioni pessime, in un senso e nell’altro assistiamo anche a produzioni buone o eccellenti. In campo cinematografico il Tomb Raider del 2018 diretto da Roar Uthaug, o l’Uncharted del 2022 diretto da Ruben Fleischer: entrambi prendono il meglio delle scene d’azione dalle rispettive serie e cercano di curare il ritmo più della plausibilità. Dall’altra parte abbiamo invece, ad esempio, i videogiochi legati all’universo cinematografico di Star Wars, non a caso curati da LucasArts, braccio videoludico del complesso artistico-industriale creato da George Lucas o Dune II: Battle for Arrakis (titolo europeo, negli USA: The Building of a Dynasty) sviluppato da Westwood Studios nel 1992. In particolare, Dune II non si limitò a riprendere le tematiche del capolavoro fantascientifico di Frank Herbert e della non riuscitissima versione cinematografica di David Lynch ma ideò, all’interno dell’ambientazione dello scontro delle fazioni per il dominio su Arrakis, meccaniche di gioco che di fatto crearono una nuova categoria di giochi: i videogiochi strategici in tempo reale (real-time strategy o RTS). Non molto diversa la situazione relativamente ad altri media: la letteratura e i fumetti. In particolare, relativamente alla letteratura, la maggior parte dei prodotti di ispirazione videoludica è poco di più che una strada per sfruttare commercialmente un brand. Anche quando nell’operazione sono impegnati autori di rilievo, come ad esempio John Shirley – uno dei ‘padri fondatori’ del cyberpunk – i risultati sono letterariamente inaccettabili (tanto più quando lo scrittore ha dato altrove prova di ben altre capacità): vedere Doom o Bioshock. Rapture. Ma ci sono anche opere eccellenti, come i due romanzi dedicati da B.K. Evenson alla saga di Dead Space: Martyr e Catalyst, senza dimenticare i videogiochi che hanno fatto un ottimo lavoro trasponendo in forma videoludica la saga fantasy The Witcher di Andrzej Sapkowski o quella fantascientifica di Metro 2033 di Dmitrij Gluchovskij, a tal punto che la versione videoludica, almeno nel primo caso, è più famosa di quella letteraria originale. Per certi versi migliore è il panorama fumettistico più legato a una dialettica tra l’elemento narrativo e quello grafico.

L’elemento narrativo nei videogiochi è comunque preponderante in misura significativa e assolutamente non ignorabile in due di quelli che sono tra i principali e più antichi generi: le avventure (testuali prima, grafiche poi) e i giochi di ruolo. Colossal Cave Adventure (da cui il genere ha ereditato il nome) è stato realizzato nel 1976 da William Crowther sul mainframe PDP-10, evoluzione del PDP-1 che vide la nascita del famoso Spacewar! nel 1962. Colossal Cave Adventure è un ambiente narrativo che il giocatore esplora scrivendo le azioni che intende compiere che, se hanno un senso all’interno del gioco, ottengono in risposta la descrizione degli effetti ottenuti. Con l’aumentare delle capacità di elaborazione dei computer, le avventure sono diventate da testuali a grafiche con due società di sviluppo che sono centrali per il genere: la Sierra-on-Line di Jane Jansen e la già citata LucasArts. Quest’ultima, in particolare, lavora sulle possedute proprietà intellettuali come Indiana Jones, ma sviluppandone anche di nuove come la saga di Monkey Island, della quale è stato pubblicato di recente un nuovo episodio. Una delle qualità peculiari delle avventure grafiche LucasArts è quella di inondare i propri titoli di un elemento emotivo che ancor oggi scarseggia nei videogiochi: l’ironia. Ad esempio, nell’indimenticabile Indiana Jones and the fate of Atlantis (1992, tutt’ora giocabile dato che è presente sulle piattaforme Steam e GOG) con una storia che molti appassionati non solo videoludici avrebbero preferito poter vedere al posto di quella scialba nel cinematografico Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. L’umorismo diventa vera e propria comicità nel capolavoro Day of the Tentacle (1993): si provi (sempre su GOG e Steam è disponibile la versione Remastered) a dare la dentiera coi denti che battono a George Washington!

Per quanto riguarda i giochi di ruolo, si tratta di un genere ludico che nasce come terapia psicologica negli anni Trenta del Novecento ma che esplode a livello di popolarità con Dungeons & Dragons, creato da Gary Gigax e Dave Arneson e pubblicato per la prima volta nel 1974. Dungeons & Dragons prende le meccaniche dei wargame (i giochi che ricostruiscono le battaglie storiche), li sposta in un’affascinante ambientazione heroic fantasy e applica ai personaggi meccanismi di gioco di ruolo: i personaggi appartengono a diverse razze, ognuna con specifici livelli di abilità e con la capacità di utilizzare specifici manufatti (armi, armature, incantesimi ecc.). Non solo: in base alle esperienze e ai successi nell’affrontare i vari pericoli dell’avventura, i personaggi possono salire di livello e i giocatori ‘spendere’ i punti esperienza guadagnati, elevando a piacere le varie competenze del personaggio. La fortuna del sistema di gioco di D&D è tale che il primo videogioco a esso ispirato esce già nel 1976. Nel corso degli anni le meccaniche alla sua base sono state perfezionate e sono state riprese anche da altre serie ludiche sia analogiche sia video. Le ambientazioni di questo gioco di ruolo sono state riprese anche da altri media, in particolare la narrativa che ha svariate serie fantasy che si rifanno a D&D (tra tutte Forgotten Realms e Dragonlance). È estremamente interessante notare però come le meccaniche ‘ruolistiche’ ideate per D&D siano state riprese in una forma particolare di ‘narrativa interattiva’. Tornando ad Aarseth è possibile notare che gli esempi che riporta non includono una tipologia di narrazioni che, anche se non si tratta di video/giochi, rientrano tutto sommato nella categoria mediale dei ‘libri’ e corrispondono perfettamente ai requisiti della letteratura ergodica: quelli che in Italia sono battezzati ‘libri-game’ (con la grafia che vede le due parole – terribile unione di italiano e inglese – variamente separate, unite o collegate da trattino). In realtà i libri-game sostanzialmente nascono con la collana Choose your own adventure (“Scegli la tua avventura”), best seller di Bantam Books nella categoria libri per ragazzi negli anni Ottanta e Novanta. “Scegli la tua avventura” perché non tutti i libri-game hanno una componente ‘gioco di ruolo’ (GdR): in alcuni il lettore deve ‘semplicemente’ scegliere il percorso che ritiene più appropriato e verificare se lo porterà a un finale positivo o meno. La parte GdR era però una componente essenziale di una delle più note serie tra quelle pubblicate in Italia da EL dalla metà degli anni Ottanta: Lupo solitario di Joe Dever. Il primo volume della serie, I signori delle tenebre, viene pubblicato nel 1985 e, assieme ai successivi volumi e alle serie parallele, diviene all’epoca una moda in parte esaltata per i risultati nel portare alla lettura i ragazzi, in parte detestata perché considerata una lettura di ‘serie B’, in considerazione di trame e approfondimento dei personaggi che necessariamente dovevano lasciar spazio all’interattività. La moda dei libri-game appare però appannarsi e sostanzialmente sparire con gli anni Novanta, forse anche per il crescente appeal dei videogiochi. La struttura alla base di un libro-gioco non è però sostanzialmente diversa da quella che sta alla base di un’avventura o di un gioco di ruolo videoludici. In entrambe, chi scrive il soggetto narrativo deve creare una mappa strutturata a diagramma di flusso che presenti tutti i possibili snodi narrativi. Lo mostra efficacemente [Bassi, 1986] mettendo a confronto la struttura di Negli abissi di Kaltenland, terzo volume di Lupo solitario e quella del videogioco The Hobbit. Non ha rilevanza il fatto che l’esempio, soprattutto quello videoludico, sia estremamente datato (1982). Il livello di approfondimento narrativo dei videogiochi non si è certo evoluto al passo del miglioramento grafico. Sicuramente il livello di complessità narrativa messo a disposizione da un videogioco è estremamente più alto rispetto a quello di un libro-game, ma occorre anche tenere in considerazione che il videogioco è normalmente sviluppato da una squadra di professionisti paragonabile a quello di una produzione cinematografica, mentre il libro-game ha normalmente un singolo autore. Non si tratta necessariamente di un confronto penalizzante per i libri se il singolo autore riesce a gestire adeguatamente il materiale narrativo riuscendo a far convivere approfondimento letterario e scelte (intelligenti) da far compiere al lettore. Un esempio è sicuramente Cosa pensavi di fare? di Carlo Mazza Galanti, romanzo a bivi per adulti che non introduce un sistema GdR ma si limita a proporre al lettore delle scelte per riuscire a far percorrere nel migliore dei modi al protagonista tre complicate fasi della vita. Le scelte che il lettore compie nel romanzo gli parlano non solo dei bivi che la vita pone di fronte a un ideale esponente della cosiddetta Generazione X, ma anche di come egli affronterebbe (e magari ha effettivamente affrontato) quelle medesime situazioni.

I libri-game dimostrano comunque efficacemente che per fruire di letteratura ergodica non sia obbligatorio abbandonare il medium libro in direzione di quello video/ludico, ma altresì che alla base dei video/giochi narrativi stanno gli stessi meccanismi che occorrono per creare i libri-game. Ecco allora che ci troviamo di fronte a fenomeni come le storie create da H. P. Lovecraft che costituiscono un esempio perfetto di tutto quanto visto fin qui. Howard Phillips Lovecraft, scrittore statunitense attivo all’inizio del Novecento, è uno dei riconosciuti maggiori autori horror. Nonostante il livello non eccelso della sua scrittura e i pregiudizi razziali che la compongono, Lovecraft è riuscito a creare un potente immaginario horror che ha ispirato e continua a ispirare autori in tutti i campi artistici. Compresi quelli che creano opere di letteratura ergodica, siano essi giochi, videogiochi o libri-game. A livello di giochi da tavolo e di ruolo occorre segnalare Arkham Horror e Le case della follia per i giochi da tavolo e Il richiamo di Cthulhu (best seller con sette edizioni dal 1981 al 2014) per i giochi di ruolo. A livello di videogiochi sono da segnalare Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth e Call of Cthulhu. Per quanto riguarda i libri-game invece, oltre alle opere chiaramente ispirate all’immaginario lovecraftiano, come ad esempio I boschi dell’incubo di Manfredi e Triolo, primo libro della serie Arkham Dreams, c’è la serie Choose Cthulhu, portata in Italia da Vincent Books (divisione editoriale della casa editrice di giochi Raven Distribution che cura anche la ripubblicazione integrale della saga di Lupo solitario in una veste editoriale decisamente più curata di quella EL), dove autori come Victor Conde, Edward T. Riker e Giny Valris prendono i racconti di Lovecraft e li riscrivono inserendo bivi che il lettore può percorrere. Come si è visto il meccanismo che sta alla base di tutte queste possibili incarnazioni mediali è sostanzialmente il medesimo: la creazione di una flowchart con la trama e tutti i possibili snodi e percorsi. Che poi questa ossatura sia rivestita da un gruppo di giocatori che tentano di scongiurare l’evocazione di un grande antico da parte dei cultisti lanciando dadi e muovendo pedine in un gioco da tavolo, raccontando le azioni all’interno di uno scenario accuratamente preparato da un ‘master’ in un gioco di ruolo, tentando di risolvere enigmi e uccidere mostri in un videogioco, oppure tentando di arrivare al finale ‘buono’ in un libro-game, la sostanza non cambia molto ed è fondamentalmente il motivo del successo di queste opere e dell’immaginario lovecraftiano che si presta a tutte le declinazioni. Proprio per questo la struttura della narrativa interattiva declinata nei libri-game si presta bene alla cosiddetta fan fiction e alla possibilità di essere utilizzata per attività con ragazze e ragazzi. Mentre un laboratorio di realizzazione di un gioco o di un videogioco necessita di competenze e risorse più consistenti (da un lato la conoscenza delle meccaniche e la possibilità di creare tabelloni ed elementi di gioco, dall’altro competenze di programmazione e di grafica), quello sulla creazione di libri-game riesce a coinvolgere la creatività nell’invenzione di storie, il pensiero computazionale nella creazione di diagrammi di flusso che riescano a mantenere sotto controllo le varie deviazioni nella storia, la capacità critica di analizzare un testo narrativo individuando i punti principali in cui poter creare degli snodi e delle variazioni sostanzialmente senza necessitare di risorse particolari. Anzi: potendo sfruttare abilità aggiuntive come quelle grafiche per corredare di illustrazioni le storie e quelle informatiche per utilizzare gli strumenti open source a disposizione.

Gli strumenti che possono essere usati sono vari, ma è da sottolineare la presenza di due tool gratuiti. Si tratta di: Twine, disponibile solo in inglese sia per download e installazione in locale (per Windows, Mac e Linux) sia per l’utilizzo via web con registrazione (che permette il salvataggio in cloud dei progetti) o meno; e di Libro Game Creator sviluppato da Matteo Poropat e giunto alla sua terza versione che comprende le lingue italiano, inglese e spagnolo (per Windows, Mac e Linux). Entrambi gli strumenti sono collegati a repository di storie interattive realizzate grazie ad essi. Se quella di Libro Game Creator è collegata al sito Librogames’ Land che è anche una comunità virtuale dedicata alla narrativa interattiva, Twine ha il supporto sia di studi accademici [Salter - Moulthrop, 2021] sia di game designer come l’autorevole Anna Anthrophy, avvocata della creatività e dell’originalità nel game design (contro la omologazione commerciale dell’industria videoludica), che già nel seminale [Anthropy, 2012] rivendicava la possibilità per tutti di esprimersi mediante la creazione di videogame, dimostrando come questo sia possibile anche grazie a Twine, sia mettendo a disposizione giochi e storie interattive sul suo sito sia con la guida [Anthropy, 2019]. In sostanza il libro-game è l’‘anello mancante’ (non completamente individuato da Aarseth) tra la letteratura ergodica e quella non ergodica, medium nativamente sia ludico sia narrativo. Medium a disposizione di chiunque voglia esprimere la creatività narrativa senza necessità di competenze ‘esterne’ quali quelle relative alla grafica o alla programmazione. Anche la competenza relativa alle meccaniche ludiche inerenti al gioco di ruolo si rendono necessarie solo se si decide che il racconto interattivo che si intende scrivere deve contenere tali elementi, che tuttavia di fatto non sono strettamente necessari e, ad esempio, i volumi della serie Choose Cthulhu non li contengono affatto. E se la presenza di elementi GdR fa rientrare perfettamente il libro-game nella definizione suitsiana di attività autotelica, l’assenza di essi rende ovviamente il riconoscimento problematico: la presenza di scelte narrative vale come ostacolo autoimposto? Più si allontana dalla dimensione ludica, più si allontana dalla dimensione del game, più il libro-gioco tende a sfumare le proprietà ludiche mantenendo intatte però quelle del play e aggiungendo, come nell’esempio del libro di Mazza Galanti, profondità narrativa. Per certi versi quella del ‘libro-game’ è una tipologia ludica che fatica a rientrare compiutamente anche nelle categorie cailloisiane. Eppure può essere messo alla base del ludico stesso: la progettazione di qualsiasi video/gioco non è solo l’individuazione della meccanica più efficace ma anche l’ambientazione (più o meno narrativa) che riesca a continuare a coinvolgere il giocatore anche quando la meccanica da sola rischia di diventare ripetitiva. Doom si porta a termine non (solo) per uccidere tutti i mostri, ma per scoprire ogni volta un nuovo livello e vedere cosa ci ha preparato la fantasia e l’abilità dei game designer.

Leggere e giocare: due sentieri che si incontrano

Dalla pagina alla pedina

Di Giulia Gasparini

Quante volte ci capita di percepire genitori e nonni sfiniti nel dover leggere per l’ennesima volta la storia di Cappuccetto rosso, dover interpretare magistralmente tutti i suoni di L’uccellino fa [Bravi, 2005] o rischiare i polmoni nel soffiare forte sulla casetta di paglia del primo sventurato porcellino?

I bambini amano ascoltare storie che conoscono, nelle quali possono ritrovarsi e che danno loro sicurezza e tranquillità. Hanno bisogno di ascoltarle, soprattutto nei primi anni della loro vita, poiché grazie a esse riescono a dare forma al mondo che li circonda, a capirne il funzionamento e le possibilità. Una parte sempre più rilevante delle neuroscienze [Edelman - Tononi, 2000] ritiene, ormai da tempo, che il cervello sia un organo plastico e aperto alle esperienze, capace di assumere diverse connotazioni strutturali e funzionali, a seconda delle basi genetiche ed esperienziali che caratterizzano la singola persona [Kandel - Koester - Mack, 2021]. Il parziale influenzamento culturale rispetto ai geni consente a ognuno un soggettivo momento di sviluppo, anche a livello cerebrale. Questo modello permette di ipotizzare come plasticità neuronale e cultura possono intrecciarsi e creare intelligenza. In linea con queste acquisizioni, Daniel J. Siegel scrive che «la mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello» [Siegel, 2001, p. 324].

La mente, in sostanza, non deve essere più intesa in termini di struttura ma come processo dinamico che emerge dalle attività del cervello, le cui strutture e funzioni sono direttamente influenzate dalle esperienze relazionali. Siegel, infatti, scrive che «uno dei fattori in grado di conferire continuità longitudinale all’identità, è costituito dal ruolo essenziale dei modelli mentali nel plasmare i temi attorno ai quali vengono costruite le storie: si tratta di elementi della memoria implicita che contribuiscono a creare i messaggi tra le righe delle nostre narrazioni» [Siegel, 2001, p. 331]. È nella struttura stessa dei processi narrativi, carichi di aspetti emotivamente e relazionalmente rilevanti, che risiede uno dei principali fattori di aggregazione del sé.

Accontentare il bisogno di ascoltare storie, introducendo modalità di lettura alternative, è possibile e auspicabile e per fare questo ci possono venire in aiuto alcuni giochi in scatola.

Ne è un magnifico esempio la collana Babagiochi dove i personaggi più amati del catalogo Babalibri vivono una serie di nuove avventure. Babalibri è una casa editrice specializzata in albi illustrati, nata nel 1999 in partnership con la francese l’École des loisirs. Babagioco è un progetto nato quindi in Francia, arrivato poi in Italia nel 2017, e offre una selezione di giochi legati ai libri più amati del loro catalogo. Giochi adatti anche ai più piccoli che stimolano memoria, osservazione, rispetto dei turni e prime azioni di pianificazione racchiusi in belle scatole a cassetto.

Ne è un esempio Dove sei, piccolo giallo? grazie a cui si gioca con uno dei più fortunati classici dell’editoria infantile: Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni (1959). Quando fu pubblicato per la prima volta, Piccolo blu e piccolo giallo rivoluzionò il campo dell’illustrazione per l’infanzia. A essa, infatti, era stato sempre riservato un linguaggio figurativo con un ruolo subordinato di commento al testo; per tradizione, l’illustrazione doveva aiutare il bambino a comprendere la narrazione e guidare la sua fantasia nella creazione delle immagini corrispondenti. Leo Lionni, che ha scritto e illustrato questo libro, seguì invece il procedimento opposto, derivato dalle modalità creative dei bambini stessi: in questo racconto, infatti, non è la narrazione a dare vita alle immagini, ma sono le immagini a far scaturire la narrazione.

Il picture book, albo illustrato nella traduzione italiana, è un’originale forma di libro che spezza la sudditanza della figura rispetto al testo e parla in modo diretto a bambini e bambine stimolandone curiosità ed emozioni. Non più immagini relegate a un ruolo di secondo piano che illustrino fedelmente i passaggi chiave del testo o che facciano da semplice decorazione, ma un racconto a due voci, entrambe indispensabili, che si arricchiscono, si completano e si rincorrono [Fierli et al., 2015].

Immagini non figurative, nel caso del libro di Lionni, ma semplici macchie di colore alle quali l’autore aggiunge solo quel che basta per stimolare i bambini a liberare la loro immaginazione e a far riconoscere loro emozioni familiari. Nel suo libro è infatti il testo, assai breve, a commentare le immagini, vere protagoniste del racconto.

Se la trama di Piccolo blu e piccolo giallo è largamente conosciuta, meno nota è forse la sua genesi. Tutto nasce durante un viaggio in treno, due bambini che si annoiano e fremono, ed ecco che dalla borsa di Lionni, escono fuori dei piccoli lucidi colorati, frammenti che in quel tempo l’artista usava per comporre le sue tavole pubblicitarie. Con questi Lionni crea, lì per lì, una storiella che ha il potere, antico ma sempre nuovo, di attrarre e incantare i piccoli lettori.

Una scelta simile fa anche Babalibri decidendo di affidare il racconto di Piccolo blu e piccolo giallo a un classico, antico ma sempre nuovo, come il Gioco dell’oca, in cui, l’impianto ludico, sintetizza e organizza un affascinante intreccio di richiami simbolici sul tema del ‘ritorno a casa’.

Attraverso un percorso di forma spiraleggiante, composto da varie immagini e speciali caselle che possono facilitare o ostacolare la vittoria, il gioco dell’oca è in grado di scandire lo svolgimento di un’esperienza corale di sfida e di immaginazione, che per tanti versi ‘somiglia’ ad alcune esperienze reali di crescita, in cui prima di arrivare al traguardo è necessario essere in grado di tollerare la frustrazione del caso, saper aspettare, accettare l’aiuto di qualcuno che ci guidi, ingegnarsi e trovare soluzioni facendo affidamento sull’impegno e sull’abilità.

Il procedere e il collettivo fare regolato, il rispetto del pensare e del procedere altrui, il dare il meglio di sé stessi quando il ‘nostro turno’ ce lo permette è un sistema di valori di fondamentale importanza sia in una dimensione ludica che in una dimensione di vita, e in questo senso il gioco dell’oca può essere considerato una potente metafora del crescere insieme.

A partire da questi semplici presupposti, il gioco dell’oca può essere ri-creato e divenire ‘contenitore’ di nuove possibilità ludiche e creative, attraverso sue espansioni (nella forma come nelle regole, che possono essere ritrattate insieme) a nuove opportunità di sfida e di immaginazione.

Dove sei, piccolo giallo?, edito da Babagiochi, è un piccolo gioco dell’oca per due giocatori, che parte ancora prima di iniziare la partita: il tabellone, infatti, è da comporre proprio come un puzzle (e nemmeno molto semplice, perché le scritte non hanno un’unica direzione) stimolando così i bambini a utilizzare le loro capacità logiche. Si sceglie poi la pedina (una gialla e una blu, trasparenti, che si fondono per diventare verdi proprio come insegna il libro), si tirano i dadi e si procede come nel classico gioco dell’oca. Un semplice gioco che permette di ri-animare un libro, divenuto un classico, che racconta le vicende di Piccolo blu e Piccolo giallo, che un giorno si abbracciano così forte da diventare verdi, insegnando ai loro genitori la bellezza della diversità.

Verso l’infinito e oltre

Sappiamo bene che non esiste un solo approccio alla lettura, tanto più se parliamo di letteratura per l’infanzia. Se ci spostiamo di poco indietro nel tempo possiamo ricordare che anni fa esistevano racconti su vinile, sostituiti poi dalle audiocassette di fiabe, per giungere infine a nuovi modi tramite i quali i bambini oggi possono avvicinarsi alle storie raccontate ad alta voce.

Il web ci viene incontro proponendo podcast, video su YouTube, app, audiolibri grazie ai quali i bambini possono ascoltare le classiche storie senza tempo della letteratura dell’infanzia, ma anche scoprire le più recenti avventure che hanno come protagonisti i loro beniamini.

Ne è un fortunato esempio Minibombo, che si definisce «una casa editrice dedicata ai piccoli e ai grandi che leggono con loro» e si contraddistingue per la proposta di idee semplici ed efficaci raccontate con un linguaggio immediato. La casa editrice nasce dalla voglia di sperimentare linguaggi e mezzi diversi, mescolando il piacere della narrazione con la passione per l’illustrazione, l’animazione e l’interattività. L’inizio di questa avventura, con i primi titoli in libreria, risale al marzo 2013, ma l’incubazione del progetto prende avvio già nel 2011.

Nei loro libri ricorrono forme essenziali e facili da riprodurre – un elemento percepibile fin dal tenerissimo logo –, spesso realizzate con strumenti che provengono dall’astuccio di un bambino.
La particolarità di questa casa editrice sta nel fatto di avere anche un sito che si presenta ricco di idee creative per la realizzazione di appositi laboratori, molto utili a chi si occupa di promozione alla lettura. Chi l’ha detto, infatti, che una storia finisce quando si chiude il libro? Secondo la filosofia Minibombo ogni albo è in realtà un punto di partenza verso nuovi giochi e altri racconti. È per questo che sul retro dei libri compare un bollino che rimanda a una sezione specifica del sito, dove a ciascun titolo è associata una pagina web con spunti pratici e divertenti per prolungare al meglio l’esperienza di lettura.

L’editore Minibombo, circa una volta all’anno, accompagna inoltre l’uscita di uno dei suoi albi illustrati con lo sviluppo di un’applicazione mobile. Minibombo riesce a distinguersi per la sua capacità di integrazione dei due media (carta e schermo touch) nel più opportuno dei modi, dando vita a narrazioni che nel passaggio da un supporto all’altro evolvono, si arricchiscono e prendono nuove forme per stuzzicare la curiosità dei piccolissimi.

Si prenda ad esempio l’albo illustrato Tutto il contrario che, come suggerisce il titolo, vuole mostrare ai bambini il significato dei contrari: dentro e fuori, asciutto e bagnato, sopra e sotto ecc. In realtà si va oltre le semplici coppie di aggettivi, perché lo sguardo vuole essere più acuto e insegnare il valore del punto di vista da cui si osserva. Basta infatti poco per passare da una situazione di felicità a una di disagio in cui è necessario allenare l’ironia e lo spirito di osservazione per scoprire i veri contrari. L’aspetto interessante è che l’applicazione mobile di Tutto il contrario parte da un presupposto diverso da quello del libro: insegnare davvero ai bambini il senso delle coppie di contrari, ma in modo divertente grazie alle interazioni e alle animazioni che rendono dinamica e buffa la comprensione degli opposti. Si comincia da una galleria di colorati animali che vengono presentati tramite coppie di aggettivi opposti tra loro (basso e alto, lontano e vicino ecc.), i quali danno origine a tante micronarrazioni animate, godibili non solo per i più piccoli ma anche per gli adulti che li accompagnano nell’esperienza. La possibilità a ogni snodo di fare una scelta diversifica le narrazioni, inducendo i più piccoli a tornare indietro e giocare nuovamente con gli animali per scoprire gli altri possibili destini. Se il gatto fosse rimasto in casa e fosse magro cosa gli sarebbe successo? Se la pecora avesse poca lana e fosse nera come finirebbe la storia per lei?

Streghe, maghi e regni magici


Baba Yaga

Se quello che si cerca sono i racconti e le atmosfere delle fiabe classiche, la casa editrice Asmodee ha creato una collana chiamata Fiabe e giochi adatta a tutta la famiglia. Uno dei preferiti del ricco catalogo è senz’altro Baba Yaga, una fiaba non tanto nota in Italia ma che, anche grazie al libretto contenuto nel gioco, rappresenta una piacevole scoperta.

Baba Yaga è uno dei personaggi più caratteristici del folklore russo, una vecchietta dotata di poteri magici e di oggetti incantati. I giocatori, bambini in fuga dalla strega nella foresta, con rapidità e memoria dovranno cercare gli oggetti magici necessari per lanciare gli incantesimi contro gli avversari che tenteranno di aiutare Baba Yaga ostacolando il loro viaggio.

Un gioco di destrezza e memoria caratterizzato da una struttura relazionale dissimmetrica (nella quale non si hanno la stessa quantità di giocatori da una parte e dall’altra) poiché tutti giocano in contemporanea alternandosi nel ruolo di Baba Yaga. Questo aspetto è senz’altro di grande interesse poiché consente di osservare, domandare e comprendere le conseguenze pratiche dell’influenza delle strutture ludiche sui giocatori. Per fare questo occorre che chi gioca si possa trovare in condizione di sperimentarsi entro strutture diverse, strutture che mettono in movimento meccanismi relazionali differenti, che suscitano in lui molteplici emozioni e che gli permettano di fare esperienza di ruoli diversificati.

 

Fabulantica

Un altro gioco che stuzzica insieme memoria e pianificazione è Nel regno di Fabulantica. Fabulantica è un regno magico dove, a causa di un incantesimo andato storto, nessuno degli abitanti si trova più al proprio posto e si nasconde sotto alcune torri in attesa dell’aiuto dei giocatori.

Qui possiamo incontrare diversi personaggi delle fiabe; il gioco infatti consiste nel collegare tra loro protagonisti e loro aiutanti. Proprio come nelle migliori ambientazioni fantastiche, nel Regno di Fabulantica ci sono montagne rocciose che solo infaticabili asini possono scalare, afosi deserti attraversati da assetati cammelli, praterie percorse da cavalli al galoppo e burrascosi mari solcati da antichi velieri.

Il gioco fornisce l’occasione di collegare tutti i personaggi presenti alle fiabe e ai racconti da cui derivano per sollecitare nel bambino la voglia di andarli a scoprire o riscoprire.

 

Similo

Un altro titolo che gioca con la fiaba è Similo fiabe, un gioco che sviluppa in modo particolare l’associazione e il pensiero divergente e lo fa utilizzando regole semplici e intuitive. All’inizio di ogni turno il suggeritore deve fornire un’informazione ai giocatori per guidarli alla scoperta del personaggio segreto. In base a come viene giocata la carta si veicola l’informazione. Se la carta viene posizionata verticalmente indica una qualche somiglianza con il personaggio segreto, se invece il suggeritore la posiziona in orizzontale vuol dire che il personaggio è diverso da quello rappresentato dalla carta suggerimento. Le somiglianze e le differenze possono essere di qualsiasi tipo, sta ai giocatori cercare di capire il modo in cui il suggeritore ragiona e quali sono quindi gli indizi che vuole veicolare. Grazie alle varianti applicabili e alle diverse edizioni tematiche il gioco offre una rapida curva di apprendimento; la possibilità di giocarlo attraverso una doppia modalità (cooperativa o competitiva), inoltre, gli regala un’ottima rigiocabilità ed è particolarmente adatto a mettere intorno a un tavolo adulti e bambini.

L’aspetto più interessante del gioco avviene a partita finita poiché in quel momento si può accendere un confronto sulle scelte che sono state fatte per suggerire similitudini o differenze.

Imparare a scegliere

Dopo questa panoramica di idee e consigli è bene fare una breve digressione sull’importanza della scelta dei giochi che vogliamo proporre in biblioteca e durante le attività con le scuole.

I giochi da tavolo, come tanti altri strumenti, evolvono nel tempo ed è davvero importante rimanere sempre aggiornati per poter proporre prodotti moderni relativamente a materiali e meccaniche, con una particolare attenzione rispetto alle nuove idee e modalità di gioco.

Questo significa scegliere autori ed editori che investono maggiormente sulla qualità generale del prodotto, scegliere i titoli dopo un’attenta ricerca di critica ed esperti, nonché scegliere tra quelli che hanno ottenuto premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale [Ligabue, 2020].

La scelta dei giochi che si decide possano entrare a far parte delle collezioni di una biblioteca dovrebbe prevedere la stessa attenzione e lo stesso peso di quella che si effettua per un libro o per altri tipi di risorse.

Il fine ultimo nella scelta dei giochi è quello di comporre una ‘tavolozza ludica’ più variopinta possibile nella quale trovare giochi semplici e complessi, di competizione e di cooperazione, di sforzo cognitivo, di relazione, di simulazione, di fantasie irreali, di astrazione ecc. nei quali ciascuno può, volendo, tuffarsi e scegliere quelli che più gli corrispondono e che gli possano offrire modi sempre più raffinati di sperimentare il ludico attraverso il gioco.

Grazie a una ricca scelta si hanno maggiori possibilità di veder accadere quello che si potrebbe definire il ‘miracolo del gioco’: persone che condividono un’esperienza che li porta a immergersi completamente in una realtà ‘altra’. Il gioco, se lo si osserva lungo tutta la sua longeva storia e attraverso le sue tante accezioni, ha dimostrato di essere un promotore di cambiamento e di crescita attraverso lo sviluppo delle competenze e capacità del singolo e della collettività.

Il suo approccio esperienziale permette a tutti un’immedesimazione e una maggiore possibilità di comprensione; concetto ben chiarito da una massima di Confucio che recita «se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo».

I tavoli della biblioteca che si affollano di persone impegnate in un gioco in scatola ci mostrano come esso attivi anche competenze sociali e relazionali, come possa creare spazi di incontro che permettono un importante ‘allenamento’ all’empatia e alla comprensione dell’altro, rispettando tempi, caratteristiche, attitudini e particolarità individuali.

È abbastanza diffusa la percezione che i giovani oggi non sappiano più divertirsi, abbiano deficit di attenzione e di concentrazione, manchino di autocontrollo e di rispetto per le regole, non si lascino più coinvolgere, non partecipino, non ascoltino, non sappiano più immaginare, inventare, creare. Io dico che uno dei motivi potrebbe essere il fatto che giocano troppo poco insieme!

Non tutti infatti conoscono lo ‘stato di grazia’ di chi gioca con tutto sé stesso per riuscire, di chi fa squadra con passione, di chi ride di gusto di fronte alla strategia inattesa di un compagno. Né conoscono lo stato di pura libertà dell’agire in complicità, senza finalità esterne, senza timore di conseguenze, con la tranquillità di essere in un mondo a parte dove si può sperimentare ed esprimere qualunque idea, comportamento e situazione [Micheli - Papi, 2007].

L’esperienza di gioco, con la sua caratteristica di ‘come se’, di spostamento, di un qualcosa o di un qualcuno che si interpreta al posto di altro, di un cambiamento interpretativo può essere un mezzo formidabile (se accompagnato e sostenuto) per favorire la crescita, la formazione e lo sviluppo.

La stessa logica esterna del gioco è legata al mondo personale del giocatore. Il gioco è esperienza di vita e come tale è un atto complesso, che riguarda anche elementi della persona, un atto che tocca corde profonde dell’essere che emozionano, mettono in contatto (consciamente o no) con immagini e fantasie, aspirazioni e paure [Staccioli, 2011, p. 180].

Il gioco oggi è un diritto sancito dalle numerose carte internazionali [ONU, 1959; CIG, 1963; CIGL, 1967; ONU, 1990] e mai come ora tale diritto è alquanto minacciato. I bambini e ragazzi hanno a disposizione pochi spazi di gioco, hanno poco tempo libero da dedicare al gioco e trovano sempre meno ‘compagni di gioco’.

Anche per queste ragioni si vuole offrire il gioco in biblioteca, un luogo che sa essere attento alle diverse esigenze della propria comunità.

Lettura e gioco necessitano di libertà

Lettura e gioco possono sembrare ambiti separati per chi si occupa di libri per bambini e ragazzi ma, a mio avviso, non lo sono affatto. Entrambi rimandano a un’idea di infanzia molto puntuale e che necessitano, per esprimersi al meglio, della massima libertà. La libertà del fare, poiché ‘fare’ per un bambino può essere già un gioco. Spesso capita di pensare che il bambino, quando disegna o è impegnato in un’esperienza creativa o logica, non stia mettendo in atto la stessa concentrazione e immaginazione che lo stesso bambino muove durante il processo ludico.

Credo che qui stia l’errore e che probabilmente il vero problema risiede nella visione dell’adulto che spesso scinde il dovere dal piacere creando una catena di convinzioni che arriva fino al bambino, il quale si trova, suo malgrado, a introiettare che esiste una netta differenza tra il divertimento e l’apprendimento. Per confutare questa convinzione possono realizzarsi esperienze in biblioteca e a scuola capaci di far coesistere questi due aspetti.

Se si pensa a tutto quello che l’atto del giocare porta e comporta possiamo arrivare a capire che dentro la regola e la ‘meccanica’ di ogni gioco è racchiuso un piccolo nucleo di conoscenza e la chiave per comprenderlo. Vale a dire che dentro ogni gioco è insita la struttura logica dell’apprendere, sostenuto dal dispiegamento di tutte le capacità del giocatore per riuscire a raggiungere il miglior risultato possibile.

Riferendomi alle ricerche di Carla Grazzini Hoffmann e Giancarlo Staccioli, ogni gioco si basa su alcuni apprendimenti acquisiti, che sono la risorsa di quel gioco [Grazzini Hoffmann - Staccioli, 1985].

Se i giocatori ne sono sprovvisti non riescono a divertirsi o addirittura non riescono a giocare. Nello stesso tempo, durante un’attività ludica, si sviluppano e si rinforzano quegli stessi apprendimenti e, se i giocatori hanno già superato l’interesse per quel livello di formazione, si annoieranno e non si impegneranno davvero.

Ecco allora la necessità di immaginare proposte di percorsi, progetti e attività a scuola come in biblioteca che mettano in azione risorse già presenti, ma che possono essere amplificate e diventare così la base di nuove e altre conoscenze più complesse.

Per far sì che questo accada occorre rinforzare una ‘fiducia pedagogica’ che consenta di accogliere i giochi anche nelle scuole e, soprattutto, di imparare a giocare in un certo modo (con un atteggiamento ludico) che trasforma i tempi di gioco in lavoro e quelli di lavoro in gioco [Staccioli, 2011, p. 21].

Quando si parla di ‘atteggiamento ludico’ si intende un processo e un’operazione complessa che investe adulti, istituzioni e bambini. Anche i singoli giochi, se osservati con attenzione, si mostrano più complessi di quanto possano apparire a un primo sguardo veloce. Ci sono infatti almeno tre angolazioni diverse che mettono in mostra aspetti importanti del gioco: la persona che gioca, le regole del gioco, il contesto nel quale si svolge l’attività.

La comprensione di un gioco è la risultante di questi tre elementi: le regole producono effetti comportamentali e sono in relazione con l’ambiente; la cultura modella i giochi e crea aspettative; il giocatore influenza il contesto e può modificare le regole.

Come in un caleidoscopio, a seconda dell’ottica che si sceglie, anche con i giochi si ottengono riflessioni e composizioni diverse. Ciascuno di questi elementi può essere o meno portatore di un’azione formativa e di un cambiamento nella persona che gioca (e di conseguenza nel suo contesto).

Narrare e narrarsi attraverso il gioco

Se è vero che i bambini ricercano storie note e che ben conoscono è altrettanto vero che amano anche inventarle e crearne di nuove.

In [Booker, 2004], un saggio critico realizzato in più di trent’anni di studi e riflessioni, attingendo anche da studi di psicologia, antropologia, archeologia e filosofia, lo studioso americano Cristopher Booker sottolinea come l’impulso a raccontare storie sia insito nell’essere umano dall’inizio dei tempi, o più precisamente da quando, differenziandosi da altre specie a lui vicine e dagli animali in generale, ha iniziato a percepirsi come ‘uomo’. Questo impulso rappresenta quindi uno dei modi, forse il più potente, per esprimere, e così non smarrire, il contatto con le nostre origini, con la nostra provenienza, con l’universo di forme di vita di cui non siamo, come umani, che una parte.

Le storie ci riconnetterebbero con qualcosa che va al di là di noi e ci giungerebbero da un livello più profondo, antico e incontrollabile del nostro essere, un livello che per qualcuno è accessibile e finisce per coincidere con la voce narrante.

In ogni tempo, in ogni luogo, in ogni contesto culturale e sociale, in ogni fascia d’età (soprattutto in quella evolutiva) l’essere umano sperimenta bisogni psicologici di crescita, di rinnovamento, di autonomia e autodeterminazione: la struttura della fiaba sembra parlare in modo universale di tali vissuti catartici e di tali possibili trasformazioni del mondo interiore, offrendo scenari d’immaginario in cui le ‘tinte’ della rappresentazione sembrano unirsi in fiabesca dissolvenza alla volontà di mettersi in viaggio, per affrontare con perseveranza e coraggio avventurosi e misteriosi percorsi di iniziazione (a se stessi, alla vita, alle relazioni).

Per poter incoraggiare e sostenere il bisogno di narrare esistono giochi adatti a questo, volti a sottolineare più l’aspetto di coinvolgimento, stimolando la fantasia dei giocatori che sono invitati a raccontare una storia utilizzando semplici elementi come, ad esempio, carte con illustrazioni e in cui, spesso, tutti i partecipanti finiscono per unirsi creando un racconto collettivo.

L’inventare storie, oltre a liberare creatività e immaginazione, sviluppa il linguaggio, potenzia il senso logico e consequenziale, aumenta la capacità di ascolto e attenzione e costituisce un’opportunità persino per affrontare le proprie paure, trovare soluzioni e incoraggiare l’espressione del proprio mondo interiore.

Esistono molti esempi di giochi in scatola che possano stimolare la creazione di storie e racconti, tra i quali:

  • Il gioco del più e del meno, composto da carte trasparenti sulle quali sono disegnate delle immagini che, se sovrapposte, ne creano di nuove in grado di innescare sensazioni, emozioni e parole;
  • C’era una volta, un gioco di carte che unisce narrazione, creatività e collaborazione e che conduce i giocatori a scegliere tra personaggi, luoghi, azioni e oggetti per giungere a lieto fine completamente diversi;
  • Story cubes, nel quale le carte sono sostituite dai dadi, nello specifico 9 dadi; 9 dadi da 6 facce ognuno con un simbolo differente, per un totale di 54 simboli diversi. Il gioco permette dunque ben 216 differenti combinazioni che lo rendono diverso a ogni partita e giocabile all’infinito;
  • Dream on!, un gioco di carte cooperativo in cui i giocatori sono chiamati a inventare un sogno strampalato, assurdo e tortuoso per poi cercare di ricordarlo insieme. Nel gioco si uniscono capacità associative (tra quanto si racconta e l’immagine riportata sulla carta) a quelle narrative. Questo gioco è stato proposto spesso durante i progetti con le scuole e ci si è accorti che il pericolo ‘elenco della spesa’ è dietro l’angolo. Per incentivare invece un racconto più complesso e articolato può essere utile scrivere su dei foglietti alcune parole che fungano da connettore da tenere sempre a portata di mano (infatti, ma, in seguito, infine ecc.).

Qualunque siano i giochi scelti è evidente che spesso essi condividono caratteristiche comuni, tra le quali la possibilità di essere giocati in modalità differenti (arrivando anche a inventarne di nuove) e la loro forte impronta cooperativa.

All’aspetto legato alle modalità del gioco si aggiunge dunque quello che coinvolge la persona che gioca. Quando qualcuno inizia un gioco si trova a gestire (consapevolmente o meno) specifiche necessità personali (affettive, transizionali, motorie ecc.). Come si usa dire “è il giocatore che determina il gioco”. Non ci può mai essere un gioco uguale a un altro proprio perché ogni volta ci si trova di fronte alle diversità dei giocatori. Anche uno stesso gioco ripetuto dalle stesse persone è diverso, perché le persone cambiano, hanno sensazioni e attese differenti, condizioni emotive differenti ecc. In questa imprevedibilità e irripetibilità ludica sta anche la grande forza del gioco e del giocare. Tale forza si percepisce maggiormente quando bambini e ragazzi, nel loro giocare e lavorare assieme, danno vita a una costruzione dei significati e di regole di

cooperazione, perché solo questa giunge a liberare il bambino dalla mistica della parola degli adulti [...] la cooperazione è anzitutto fonte di critica e individualismo. È appunto essa che, mediante il confronto reciproco delle intenzioni intime e delle regole adottate da ciascuno, porta l’individuo a giudicare obiettivamente gli atti e le prescrizioni altrui, compresi gli adulti [...]. Così una nuova morale succede a quella del puro dovere [...]. L’obbedienza lascia il posto alla nozione di giustizia e all’aiuto reciproco, fonte di tutti gli obblighi sino ad allora imposti come imperativi incomprensibili [Piaget, 1972, p. 333].

In conclusione

Il valore della comunicazione come narrazione può essere inteso anche in termini di storytelling: l’arte di raccontare le storie e trovare le migliori strategie per ottenere il risultato desiderato ai fini del racconto. Che si tratti di giochi che si rifanno a storie e trame già scritte o a racconti ancora tutti da inventare, i giochi di narrazione contribuiscono a implementare non solo il vocabolario o la capacità di adattare la narrazione al contesto e agli ascoltatori, ma anche le personali abilità comunicative finalizzate al raggiungimento di un determinato scopo.

I giochi narrativi possono inoltre avvicinare i lettori al gioco e, viceversa, i giocatori alla lettura, immaginando cosa potrebbe succedere fuori dalle pagine e creando storie che senz’altro tanto erediteranno dai racconti letti dai bambini.

Raccontarsi con i giochi: adolescenti e biblioteca in una diversa prospettiva

Di William Bernardoni

La frequentazione delle biblioteche da parte degli adolescenti è una nota dolente di quasi ogni realtà. «Le cause potrebbero essere molteplici: endogene come, ad esempio, la mancanza di spazi identitari e coprogettati, o esogene, legate in questo caso ai bassi indici nazionali di lettura o alla scarsa propensione della scuola a sostenere letture non finalizzate alla didattica» [Bartorilla, 2022, p. 5].

In molti casi le biblioteche hanno spazi riservati agli adulti e ai bambini più piccoli, come se la sfida di coinvolgere chi sta passando da fanciullo ad adulto fosse data per persa, senza neanche fare tentativi.

Sono casi isolati quelli dove i luoghi dedicati ai giovani sono davvero disegnati per essere accoglienti per i ragazzi. È allo stesso tempo evidente che gli spazi da soli non bastano, è necessario renderli fruibili con attività e bibliotecari preparati.

Gli adolescenti, per definizione, affrontano un’età di crescita esplosiva.

L’adolescenza umana è un insieme di eventi attentamente distribuiti nel tempo: la sequenza coordinata dei cambiamenti puberali, spesso sfalsata nei due sessi [...]; il catalogo di evoluzioni cerebrali scaglionate che trasportano la mente umana nell’analisi, dell’astrazione e delle creatività; la raffica di cambiamenti sociali che costringono a riesaminare il proprio io, staccarsi dai genitori e legarsi agli amici; l’eccitazione degli esperimenti sentimentali e sessuali [Bainbridge, 2010, p. 277-278].

Si tratta di una situazione ben nota, vale la pena elencare alcune motivazioni ma senza soffermarsi nello specifico, non essendo questo il luogo adatto a tale riflessione.

La convivenza con i cambiamenti del proprio corpo, che inserisco per prima perché è la più evidente dal punto di vista morfologico, può risultare difficile. Oltre alle tante novità nell’aspetto fisico, il giovane si trova ad affrontare un mondo nuovo, pieno di richieste esterne. Il passaggio alla scuola secondaria rappresenta uno spartiacque tra l’istituzione scolastica, che ha il compito di crescere il bambino, e quella che deve preparare al futuro dell’adulto. Inoltre, svaghi come lo sport o altre attività rischiano di diventare impegni veri e propri e non essere più passatempi. Infine, il cambiamento ormonale e quello, già citato, fisico sono qualcosa di davvero sconvolgente.

Sono soltanto tre constatazioni, se vogliamo banali, ma che fanno riflettere sulla distanza che esiste tra i bisogni di espressione e di libertà dei ragazzi e quanto gli viene richiesto dal mondo esterno.

Parlando di biblioteche la prima riflessione è che gli utenti adolescenti rischiano di essere soltanto lettori obbligati a leggere libri che non vogliono leggere, inviati in biblioteca dai propri insegnanti. Chi lavora in biblioteca, o semplicemente chi ama leggere, sa benissimo quanto sia deleterio obbligare alla lettura. Ogni tanto varrebbe la pena rispolverare i dieci diritti del lettore enunciati in [Pennac, 2009].

Dobbiamo tuttavia concentrarci sul nostro lavoro e capirne gli errori per potersi migliorare. La scarsa frequentazione delle biblioteche da parte degli adolescenti è soltanto un sintomo, dobbiamo curare la malattia che, oltre a quanto poco sopra enunciato, è l’incapacità di fidelizzare il bambino che diventerà adolescente. Sì, in primo luogo dobbiamo parlare dei bambini.

Sono tanti i bambini piccoli che frequentano le biblioteche, in un percorso più ampio alla scoperta dei luoghi della città. E dobbiamo far sì che la biblioteca diventi da subito un luogo del cuore.

Non c’è bisogno di dilungarsi sui tanti progetti di promozione della lettura, anche a livello nazionale, per i piccolissimi. Molti meno sono i progetti per gli adolescenti e spesso legati a un sistema di promozione della lettura ancora troppo ‘classicheggiante’.

In quanto bibliotecari, credo sia necessario un passaggio ulteriore, un ampliamento sincero di vedute. Uscire dalla promozione della lettura e passare alla promozione delle storie: «quelle che cataloghiamo abitualmente, veicolate da supporti come il libro o il blu-ray, quelle ‘dematerializzate’, che viaggiano su autostrade digitali, ma soprattutto quelle dei nostri giovani utenti che, entrando e partecipando da protagonisti, lasciano non solo manufatti culturali, ma anche pezzi della proprio personale storia» [Bartorilla, 2022, p. 11].

Qui viene il collegamento con il mondo dei giochi da tavolo, soprattutto quelli narrativi. L’adolescenza è un periodo dove i cambiamenti sono repentini e burrascosi, la necessità di raccontarsi e raccontare, in un momento in cui probabilmente non ci si sente capiti, può risultare molto importante [Rampin, 2020]. Il gioco insegna a muoversi, a immaginare, a pensare [Laeng, 1990], aiuta a rimodellare nuovi spazi, fisici o mentali, in un momento di cambiamento.

Trovare un luogo dove si può diventare parte integrante delle storie e dove le storie di tutti sono importanti, può davvero essere una considerevole possibilità di crescita positiva.

Si tratta di costruire quella biblioteca di comunità che non è solo teca di libri ma luogo di storie e apprendimento, porto sicuro dove rifugiarsi [Lankes, 2020]. Che la biblioteca è luogo accogliente, come anticipato, non va fatto capire agli adolescenti ma deve essere parte dell’educazione del bambino. Quando il bambino crescerà saprà già cosa potrà trovare di buono in biblioteca e continuerà a frequentare, la vedrà come un porto sicuro.

Un altro aspetto importante che si presenta nell’adolescenza è la necessità di identificarsi in un gruppo [Montanari, 1999]. Mentre la lettura è personale, giocare è quasi sempre un’attività da svolgere in gruppi, piccoli o grandi che siano.

Unendo queste due necessità, il raccontarsi e il fare gruppo, il gioco può ritagliarsi un importante spazio nella vita degli adolescenti. Ovviamente bisogna scegliere giochi adatti, perché l’adolescenza è anche quell’età dove si diventa grandi e viene veicolata l’idea che è il momento di lasciare le macchinine, bambole e costruzioni per dedicarsi ad attività da adulti. Come se il gioco non fosse un’attività caratterizzante l’essere umano dalla nascita fino alla morte.

Si dice spesso che il gioco è una cosa seria. Lo è sicuramente per i bambini, per i quali è anche un diritto, che attraverso il gioco sviluppano competenze etiche, sociali e di problem solving, ma questo principio deve essere esteso per tutte le età. Tanto più in adolescenza dove l’apprendimento tra pari è un modo per crescere, conoscere e conoscersi, senza avere un adulto come filtro.

Giochiamo!

Esistono molte statistiche sulla frequentazione delle biblioteche in Italia, così come sulla lettura in generale. È possibile, ovviamente, trovare alcuni numeri sul mondo dei giochi. Al di là della semplicità con cui certi dati si possono recuperare, vale la pena notare che si identificano le biblioteche quasi sempre come luogo di lettura [AIB, 2022].

Questo contrasta con le tendenze che vedono le biblioteche come luoghi di ‘conversazione’, dovremmo dare più spazio anche nei numeri delle statistiche a questo aspetto. Anche ai fini di questo articolo, sarebbero interessanti statiche che vedono la biblioteca come luogo di storie, di racconti veicolati attraverso vari media. Biblioteca, quindi, non come luogo di un oggetto, per esempio il libro, ma di un’entità ben più potente, il racconto.

Esiste un filone di giochi, del quale non si faranno approfondimenti in questo articolo, ma che proprio del racconto e delle storie fa la sua forza. Parlo ovviamente dei giochi di ruolo, tornati di gran moda e fatti conoscere a un pubblico più giovane dalla serie TV Stranger Things, ambientata negli anni Ottanta, periodo in cui iniziava a farsi conoscere Dungeons & Dragons. È limitante dire che il merito del ritorno dei giochi di ruolo sia di una serie televisiva, vale la pena soffermarsi invece sul fatto che la voglia di raccontarsi e raccontare abbia spinto generazioni trasversali a tornare sui manuali di gioco. Ne è conferma la grande quantità di giochi usciti negli ultimi anni, non solo il filone che deriva da Dungeons & Dragons ma una grande quantità di titoli, regolamenti e, soprattutto, storie e personaggi nei quali immedesimarsi.

Anche il mondo dei giochi da tavolo sta vivendo una seconda giovinezza. Forse sarebbe più indicato parlare di rinascita. Nel tempo delle consolle e dei PC con potenti schede grafiche, il gioco da tavolo è tornato conquistandosi un suo spazio. Non ha soppiantato o intaccato il potere, soprattutto commerciale, di Playstation e XBox, ma si è ricavato uno spazio che non può più essere definito di nicchia. I giochi sono stati studiati con nuove meccaniche che li rendono più attraenti e con meno tempi morti, le case editrici hanno rispolverato e adattato vecchi classici in grado di riscaldare il cuore dei millenial e allo stesso tempo coinvolgere i più giovani.

La pandemia, paradossalmente, ha dato una grande spinta al mercato dei giochi da tavolo, favorendo uno scollegamento dagli schermi in favore di un contatto con materiali e sensazioni che possiamo definire più reali. Si tratta di un andamento che era già conclamato con l’aumento dei titoli pubblicati ogni anno e un mercato in grande evoluzione, grazie anche al mondo del crowdfounding. A conferma di quanto detto, una prova più empirica è il ritorno dei giochi da tavolo sugli scaffali della grande distribuzione. E anche in questo caso non si tratta soltanto del sempre presente Monopoli in ogni sua brandizzazione, ma l’arrivo sugli scaffali di giochi con meccaniche nuove e con illustrazioni moderne (spesso vere e proprie opere d’arte). Non una moda che ritorna ma una vera e propria nuova spinta propulsiva, anche dal punto di vista commerciale.

Giochi narrativi e giochi di narrazione: una definizione

Tra i tanti giochi da tavolo proposti in questi anni quelli narrativi o di narrazione sono sicuramente molti e di ottima qualità.

Prima di scendere nel dettaglio sull’utilizzo e la presentazione di alcuni di questi giochi, vale la pena dare una definizione, valida almeno in queste pagine, per quelli che sono i giochi narrativi e quelli di narrazione.

Nei giochi narrativi la storia è parte integrante e fondamentale del gioco stesso. La storia è compiuta e serve a guidare i giocatori nello svolgimento del loro ruolo. In questi giochi il racconto è fondamentale per due motivi: in primo luogo guida l’andamento e l’ambientazione, in seconda istanza rappresenta il collante tra i giocatori. Saranno poi le meccaniche specifiche del singolo gioco e l’interpretazione che i giocatori potranno dare agli eventi a caratterizzare l’avanzamento del racconto stesso.

I giochi di narrazione, invece, hanno una storia tutta da scrivere. I giocatori sono protagonisti attivi, narratori veri e propri, che dovranno far forza sulla propria creatività e fantasia per portare a termine il gioco. In questo caso, il gioco offre le meccaniche che creano le situazioni adatte affinché i giocatori si trovino a creare storie.

Obiettivo di questo articolo è anche quello di offrire una panoramica sui giochi più adatti alla fascia di età degli adolescenti. Non importa approfondire definendo l’adolescenza con un inizio e una fine, nel nostro caso molti giochi si adattano e le sfumature dell’età sono quanto mai accettabili. Cercheremo, casomai, di focalizzare l’attenzione su quei giochi che possono essere ritenuti più adatti in età adolescenziale, spiegandone il perché e gli eventuali accorgimenti da adottare.

Come già accennato, il mercato dei giochi è in grande fermento, non sarà possibile citare ogni nuova uscita o ogni ‘classico’ ma si tenterà di offrire uno sguardo sull’offerta generale di giochi da tavolo narrativi e di narrazione. Per forza di cose, influiranno in questa presentazione gusti e conoscenza di chi scrive che, però, esorta a scoprire un mondo davvero ampio. Si tenterà di offrire una visione quanto più possibile eterogenea per meccaniche, stile, difficoltà iniziale e durata di gioco. Non meno importante in questa valutazione saranno la grafica, materiali utilizzati ed eventuali add-on.

Negli ultimi anni l’ideatore dei giochi da tavolo è sempre affiancato da uno o più illustratori. Spesso veri e propri designer che illustrano al meglio carte e altri oggetti, rendendo i giochi veri e propri cimeli artistici. Anche i materiali di gioco, siano pedine, strutture o dadi, hanno avuto grandi miglioramenti e permettono di godere di un’esperienza di gioco decisamente più intrigante.

Allo stesso tempo, molti giochi di ultima generazione sono affiancati da una app che guida e aumenta l’immersione nel gioco (basti pensare quanto può diventare importante un sottofondo musicale).

Queste ultime considerazioni ci permettono di offrire un gioco che si può avvicinare ai gusti di un pubblico composto da ragazzi e ragazze che ‘vivono’ nei media digitali [Longo, 2013] e sono bombardati ogni giorno da centinaia di immagini.

Scendendo più nel pratico, verranno presentati alcuni giochi dove si tenterà di esaltarne le caratteristiche per le quali possono rappresentare una buona proposta per un pubblico di adolescenti.

Giochi narrativi

Iniziamo con i giochi dove la componente narrativa risulta importante per lo svolgimento del gioco o aumenta in maniera evidente il coinvolgimento durante la partita. Escape room e giochi investigativi coprono in maniera importante l’offerta, pur parziale, che andremo a presentare.

Un gioco molto interessante, che introduce anche a tutti quei giochi investigativi e di escape game particolarmente adatti a un pubblico di ragazzi, è MicroMacro Crime City. L’età consigliata è dai 14 anni, giocabile anche in solitario e fino a un massimo di quattro giocatori.

MicroMacro è composto da una grande mappa e da alcune buste contenenti le carte delle missioni. Lo scopo del gioco è risolvere i casi che vengono svelati dalle carte. La particolarità del gioco è che gli eventi raccontati sono già tutti rappresentati sulla mappa che quindi mostra in contemporanea momenti che nella storia avvengono con tempistiche diverse. Si può adattare a un pubblico di adolescenti perché è richiesta molta attenzione ai dettagli, capacità di individuare gli indizi e la collaborazione rappresenta un importante momento di socializzazione. Tutti i giocatori saranno coinvolti nella stessa storia e sulla stessa mappa.

Sempre per quanto riguarda gli investigativi un ruolo importante, anche per il successo riscosso, è ricoperto dalla serie Sherlock Holmes consulente investigativo. L’intera serie è attualmente composta da quattro capitoli: I delitti del Tamigi e altri casi, Carlton House e Queen’s Park, Jack lo Squartatore e avventure nel West End, Gli Irregolari di Baker Street.

La narrazione è parte integrante di questo gioco. L’obiettivo è quello di risolvere complicati casi cercando di trovare informazioni attraverso alcune pagine di giornale, la mappa di Londra e altri materiali che possono dare indizi. Si tratta di un gioco collaborativo dove tutti possono fare la propria parte, lo scopo è risolvere il caso utilizzando meno indizi di Sherlock Holmes.

Inutile dire che i vari giochi della serie si ispirano, anche con una certa fedeltà, al personaggio e ai gialli creati da Arthur Conan Doyle. Questa potrebbe essere un’arma a doppio taglio: se da una parte si può creare un sistema che coinvolge sia la lettura sia il gioco, dall’altra si rischia di continuare sul classico errore di portare in biblioteca i ragazzi con l’obbligo di leggere. Il nostro obiettivo invece dovrebbe essere quello di far fruire della storia attraverso il gioco, sperando di invogliare alla lettura dei libri.

Caratteristica importante di Sherlock Holmes consulente investigativo è la possibilità di giocare a distanza: la casa editrice mette a disposizione nel proprio sito i kit per il gioco da remoto.

Un gioco molto simile al precedente è Mythos. In questo caso l’ambientazione è la cittadina di Arkham e l’ispirazione viene dai racconti di H. P. Lovecraft. Per l’ambientazione dark, Mythos può risultare anche più vicino a un pubblico di adolescenti che, negli ultimi tempi, si vedono proporre molte serie televisive con ambientazioni cupe.

Passiamo a vedere alcune escape room. Si tratta di giochi dove ci troviamo a vivere una storia nella quale dobbiamo risolvere una serie di enigmi per avanzare e arrivare alla conclusione della partita. Le escape room sono storie interattive, giochi dove le scelte influiscono direttamente con la narrazione. Sono una tipologia molto in espansione perché si prestano a varie modalità di gioco (solitario o in gruppo, brevi o lunghe, oneshot o campagne). Uno dei limiti più evidenti dei giochi che si presentano con le meccaniche dell’escape room è che una volta giocate, e quindi una volta che sono stati risolti gli enigmi, non possono più essere rigiocate dallo stesso giocatore. Vediamo alcune escape room che vale la pena proporre in biblioteca.

La prima proposta è Mystery House avventure in scatola. Si tratta di un gioco da tavolo dove la scatola, adeguatamente preparata, diventa supporto stesso del gioco. Il gioco è una escape room che si sviluppa su tre dimensioni e questa è una prima particolarità che lo contraddistingue da giochi simili. Attraverso delle carte rigide, che saranno inserite negli intagli della scatola, si crea l’ambiente di gioco, da esplorare utilizzando anche delle torce (può andare bene la luce dello smartphone). Il gioco è guidato da una applicazione dedicata. L’utilizzo di un’applicazione è una particolarità che rende la situazione molto vicina alle generazioni native digitali, abituate a interagire nella realtà con l’ausilio del telefono. Il gioco è realizzato per essere cooperativo, è previsto un leader che è anche la persona che gestirà le indicazioni provenienti dalla app, ma le decisioni su come procedere spettano al gruppo.

Altra escape room interessante, anche per la durata dovuta al concatenamento delle storie, è Fuga dal manicomio. Si tratta di un doppio cofanetto con un totale di dieci storie. Come ci dice il titolo, l’obiettivo è riuscire a scappare dal manicomio. Il gioco è basato su carte che ci immergono nell’ambiente e ci raccontano la storia, dandoci indicazioni su come procedere. Il gioco si sviluppa poi su schede nelle quali si trovano gli enigmi da risolvere. La particolarità, in questo caso, è che per risolvere gli enigmi dovranno essere utilizzate varie capacità, che vanno da quelle logico matematiche a quelle più prettamente intuitive. Trattandosi, anche in questo caso, di un gioco cooperativo che richiede capacità diverse, risulta essere un buon modo per creare un gruppo di giocatori dove ognuno potrà portare alla squadra le proprie abilità migliori, rafforzando il senso di appartenenza e di importanza all’interno della realtà di gioco.

Per la grande varietà di ambientazioni che offre, vale la pena citare la serie Unlock! Escape Adventures che si presenta in cofanetti contenenti tre avventure ciascuno. La lunga serie di avventure proposte si dimostra adatta a un pubblico molto variegato. In questo caso il gioco si basa su carte e su una applicazione che aumenta il coinvolgimento, sia presentando una musica di sottofondo che offrendo nuovi indizi sonori o visivi. Anche molte soluzioni agli enigmi presentati si risolvono inserendo codici nella app dedicata. La serie, ormai, comprende storie di ogni tipo: all’interno di ogni scatola ci sono tre escape room giocabili singolarmente ma legate da una stessa tematica, una di queste dedicata al mondo di Star Wars, sicuramente familiare a un pubblico giovane. Per farsi un’idea su Unlock! Escape Adventures è possibile scaricare alcune avventure print&play direttamente dal sito web dell’editore.

Un’altra proposta di giochi per adolescenti potrebbe essere La casa di carta escape game. In questo caso le dinamiche non si discostano molto dai giochi già presentati ma il rifarsi a una serie televisiva ampiamente conosciuta può, conoscendo già l’ambientazione, aiutare l’avvicinamento al gioco. In questo caso il coinvolgimento non sarà dato tanto dalla narrazione implicita del gioco quanto dal collegamento che viene fatto alla storia della serie televisiva.

Una componente narrativa molto forte la ritroviamo invece nella serie Undo - Cambiate il destino. In questo gioco investigativo cooperativo la storia è fondamentale per lo svolgimento stesso del gioco. La partita si basa principalmente su carte dove sono registrati gli eventi e gli indizi. L’obiettivo finale del gioco è quello di salvare il protagonista da una brutta fine.

Undo è fortemente consigliato perché ha un regolamento molto semplice che permette di giocare in breve tempo. Inoltre, le partite che durano circa un’ora, hanno uno svolgimento piuttosto lineare e le scelte da fare non mettono di fronte a enigmi troppo complessi, favorendo il racconto e l’avanzamento della partita. Anche Undo è una serie che si caratterizza per ambientazioni diverse che vanno dagli Stati Uniti degli anni Venti al Giappone contemporaneo, passando per le ormai immancabili e inflazionate ambientazioni lovercraftiane.

Infine, per concludere questa presentazione di giochi da tavolo narrativi, presentiamo due prodotti dove la narrazione è davvero importante. Fiabe di stoffa e Mice e Mystics oltre ad avere una componente narrativa importante si presentano come prodotti davvero ben ideati, sia dal punto di vista del gioco sia da quello grafico.

In Fiabe di stoffa il libro delle storie è la guida per i giocatori: si sfoglia come un normale libretto e ha anche la particolarità di essere tabellone di gioco. Le meccaniche sono tutto sommato semplici ma l’utilizzo di pedine che rappresentano pupazzi di stoffa, chiamati ‘stoffini’, e altri oggetti fiabeschi creano un’ambientazione particolare rendendo il gioco divertente e allo stesso tempo avvincente. I nostri pupazzi, guidati da carte e da lanci di dadi, dovranno vedersela con mostri di svariato tipo per salvare la vita della bambina che amano. Giocandolo ci si rende conto che si tratta di un prodotto adatto a molte fasce di età e che ben si potrebbe adattare a degli adolescenti. L’ambientazione, d’altro canto, potrà non essere apprezzata da tutti i ragazzi che potrebbero vederla più adeguata a un pubblico di bambini.

Mice e Mystics è un gioco di avventura cooperativo che racconta le storie di un reame dove alcuni eroi fedeli a un re buono vengono trasformati in topi e si trovano a combattere contro una cattivissima regina. Il gioco progredisce seguendo la narrazione ma gli eventi vengono risolti tutti dai giocatori, in un ambiente interattivo che muta di continuo. I topini eroi dovranno conquistare briciole di formaggio per potenziarsi e combattere con le proprie specifiche abilità, aiutandosi a vicenda.

Mice e Mystics, così come lo descrive l’editore, «è un po’ gioco e un po’ fiaba» e si adatta benissimo, per ambientazione, a un pubblico di adolescenti. Unica controindicazione è la sua complessità che non lo rende immediatamente giocabile, il che può essere un limite per una proposta in biblioteca.

Giochi di narrazione

Passiamo a vedere adesso alcuni giochi di narrazione, dove i partecipanti realizzano la storia stessa seguendo le regole del gioco. Come fatto in precedenza, anche in questo caso illustreremo alcune proposte che si differenziano per meccaniche di gioco, difficoltà, immediatezza.

Molti giochi di narrazione si basano sul lancio di dadi e si prestano per essere usati già da un’età molto inferiore a quella oggetto di questo articolo. Nonostante questo, un punto di forza di questi giochi è la flessibilità: si adattano estremamente bene a ogni fascia di età perché la complessità non è tanto nella dinamica di gioco quanto nell'abilità del giocatore di creare storie.

Per descrivere Rory’s Story Cubes si possono utilizzare le parole che si trovano nel sito web del gioco:

Nel 2004, Rory si rese conto di quanto le immagini più semplici potessero scatenare l’immaginazione. Fu allora che ebbe un’idea: usa quelle immagini per creare e inventare storie.

L’idea si trasformò rapidamente in un gioco e quel gioco si trasformò in dadi coperti da simboli. E così furono chiamati: Story Cubes di Rory.

Il loro ruolo? Agire come una bussola, una guida per inventare le storie più folli e meravigliose.

Si tratta di un gioco semplice nelle basi ma di grandissimo potenziale. Già seguendo le regole (davvero molto semplici) all’interno del cofanetto si ottiene un gioco snello e basato quasi totalmente sulla fantasia dei partecipanti. Si possono usare i nove dadi presenti per far creare una storia a un giocatore ma, nel tentativo di creare gruppo, si possono usare i dadi per far creare un’unica storia a più giocatori.

La serie Rory’s Story Cubes si è ampliata negli anni, di fatto modificando i disegni sui dadi e tematizzando le varie edizioni. L’impianto di gioco base rimane lo stesso ed è ben usufruibile come gioco immediato per un gruppo ristretto di adolescenti. L’estrema semplicità del gioco potrebbe risultare anche controproducente, facendolo apparire troppo banale. In questo caso un mediatore può essere una soluzione. Per le stesse ragioni il gioco ben si adatta per attività scolastiche dove gli insegnanti possono far inventare storie ai ragazzi facendoli guidare da un lancio di dadi.

Un altro gioco simile è Rolling Cube - Parolandia. In questo caso sulle facce dei dadi non sono impressi disegni ma parole con le quali comporre frasi. Esistono varie tipologie di gioco che si possono fare ma l’obiettivo è sempre quello di sfruttare le parole date dai dadi per creare frasi di senso compiuto. Sicuramente si tratta di una narrazione molto limitata e legata alle parole sui dadi, ma è comunque un gioco che potrebbe rivelarsi utile per stimolare la creazione di storie.

Un gioco di narrazione con meccaniche simili ai precedenti ma che si basa sulle carte e non sui dadi è C’era una volta. Si tratta di un gioco, ormai storico, con svolgimento semplice ma appassionante che permette di raccontare una propria storia guidato da alcune carte. L’obiettivo è arrivare in fondo al gioco concludendo con il proprio lieto fine… che è quello scritto in una carta consegnata a inizio gioco. La linearità del racconto potrà essere interrotta dall’intromissione di altri giocatori che potranno far valere le proprie carte per cambiare il corso degli eventi. Un gioco consigliato fin dagli 8 anni ma che si potrebbe adattare benissimo a un gruppo di adolescenti che si troveranno a raccontare una storia ma allo stesso tempo in competizione tra loro.

Passando a meccaniche di gioco abbastanza diverse, Sì, Oscuro Signore mette i giocatori nei panni di alcuni servitori che hanno fallito la missione affidatagli dal loro sovrano, chiamato Rigor Mortis. Con l’utilizzo di carte che guidano il gioco, i giocatori dovranno, a turno, inventare storie per discolparsi del fallimento. Storie divertenti ma credibili e senza troppe esitazioni, altrimenti l’oscuro signore potrebbe fare delle occhiatacce di disappunto. Il gioco diventa molto divertente perché tiene tutti con il fiato sospeso e mette nelle condizioni di dover inventare storie in poco tempo e senza pensarci troppo a lungo. Anche in questo caso una componente di competizione, comunque molto scherzosa, può creare un clima divertente.

Un gioco con meccanica e stile molto diversi è TV Show, adatto dai 12 anni. I giocatori diventano sceneggiatori e devono realizzare degli episodi di una serie televisiva. Dovranno utilizzare delle carte ma anche tanta fantasia, cercando durante lo svolgimento del gioco di dettagliare molto bene i momenti della propria ‘puntata’. A fine episodio l’autore chiederà agli altri giocatori di ricordare alcuni dettagli, soltanto se la loro memoria sarà buona otterranno dei punti.

Per concludere questa breve carrellata, non possiamo che citare uno dei giochi più famosi e coinvolgenti per ogni età: Dixit (e le sue svariate espansioni). In Dixit i giocatori hanno un certo numero di carte e, a turno, devono far indovinare la propria carta. Non si tratta quindi di una narrazione che porta alla realizzazione di una storia ma soltanto alla descrizione di una specifica carta. Se tutti indovinano, o nessuno indovina, il narratore non riceve punti. Questa dinamica rende il gioco particolarmente avvincente e aiuta molto a conoscersi, così come la conoscenza degli altri giocatori aiuta molto nel tentativo di indovinare la carta.

Dixit, pur non portando alla narrazione totale di una storia, è un gioco ormai storico, illustrato in maniera eccellente e di sicuro coinvolgimento, con regole semplici e immediate, adatto a un pubblico di giovani che in questo modo possono confrontarsi ma anche conoscersi meglio.

Conclusioni

I giochi presentati sono soltanto una piccolissima parte di quanto attualmente offre il mercato ludico, si è voluto mostrare la varietà di proposte: giochi per tutte le età ma sicuramente adatti o adattabili con facilità a un pubblico di ragazzi e ragazze adolescenti.

Dinamiche di gioco, materiali, tempi di apprendimento delle regole, coinvolgimento dei partecipanti sono tutte caratteristiche fondamentali di un gioco che deve essere, in un contesto bibliotecario, veicolato da persone con un minimo di conoscenza del mondo ludico. Un reference adeguato permette di proporre immediatamente i giochi più idonei a una fascia di età delicata, come quella adolescenziale. Non soltanto conoscenza dei giochi ma anche cercare di tenere uno stile informale, scherzoso, alla pari. Riuscire attraverso i giochi da tavolo a fidelizzare gli utenti di quelle che sono le sale giovani delle nostre biblioteche è fondamentale, perché ci permette di instaurare una conversazione vera e propria tra utenti e biblioteca, cosa che nel freddo prestito di un libro indicato dalle insegnanti spesso viene a mancare.

Come si è tentato di spiegare all’inizio di questo articolo, dobbiamo guardare la biblioteca come contenitore di storie e non solo di materiali, venendo incontro a ragazzi e ragazze in una fascia di età dove regole e imposizioni sono poco apprezzate ma nella quale il bisogno di raccontare, raccontarsi e, soprattutto, di essere ascoltati senza essere giudicati è elevatissimo.

Non togliere importanza alla promozione della lettura, sia chiaro, ma portare a quel livello la promozione delle storie e di svariati altri materiali ‘nuovi’, come possono essere i giochi.

I giochi da tavolo narrativi e di narrazione possono aiutarci in questo processo ma anche nel processo di coinvolgere e fidelizzare i bambini più piccoli che, crescendo e diventando adulti, troveranno nella propria biblioteca di riferimento un luogo dove potersi esprimere liberamente (anche attraverso il gioco) e non solo un edificio con dei libri.

Il gioco di ruolo in biblioteca

Di Brunello Daniele

I giochi da tavolo, e a ruota anche i giochi di ruolo, stanno avendo un nuovo periodo d’oro e riscoperta da parte del grande pubblico, uscendo dallo stereotipo di attività praticate principalmente dai ‘nerd’ e quindi per una nicchia ristretta di interessati. A questo si aggiunge che il termine ‘giocare’ era normalmente associato a un’attività per bambini, a qualcosa di ‘poco serio’ e quindi talvolta sminuito e denigrato, proprio come lo storico Johan Huizinga ricorda nel suo saggio Homo ludens, «nella nostra coscienza il gioco s’oppone alla serietà», [Huizinga, 2002, p. 8].

Complice una serie di fattori favorevoli, quali: serie TV popolari, come The Big Bang Theory e Stranger Things, che hanno dato risalto positivamente ai giochi valorizzandoli; grandi case editrici che hanno acquisito sufficiente potere di mercato per potersi imporre nella grande distribuzione portando negli scaffali dei centri commerciali giochi che fino a qualche anno fa erano reperibili solo online o nei negozi specializzati; nonché l’avvento della pandemia che ci ha imposto di rimanere per lunghi periodi chiusi in casa durante i lockdown, riscoprendo così il piacere di giocare in famiglia (anche tra adulti).

Se i giochi da tavolo erano visti come qualcosa di infantile, i giochi di ruolo sono spesso e volentieri visti con distacco in quanto apparentemente troppo complessi, impegnativi e per giocatori assidui ed esperti. Fortunatamente, come vi è stato un importante sviluppo del mercato e dei prodotti legati ai giochi da tavolo, vi è stata anche una grande evoluzione nei giochi di ruolo. La società cambia e i giochi cambiano con essa, innovandosi.

Quando sentiamo parlare di giochi di ruolo normalmente visualizziamo un gruppo di persone attorno a un tavolo, che goffamente gesticolano lanciando tanti dadi con delle complicate schede di fronte legate al proprio personaggio, intente ad affrontare chissà quale avventura complessa in un mondo fantastico, guidati da un ligio ‘master’ (facilitatore) che tira le fila del gioco: in altre parole pensiamo a qualcuno che sta giocando al più diffuso e longevo gioco di ruolo al mondo noto come Dungeons & Dragons, ovvero D&D.

Nel 1958 il sociologo e antropologo francese Roger Caillois cerca di classificare le attività riconducibili al gioco, proponendo una prima distinzione tra i ‘paidia’, ovvero il gioco di improvvisazione e libero, e i ‘ludus’, consistente nei giochi fortemente regolamentati, strutturati e definiti [Caillois, 2019]. Una seconda classificazione è legata alla tipologia dove troviamo:

  • gli Agon, i giochi di competizione (fisici o intellettuali) dove i giocatori partono da un’identica situazione iniziale e la cui vittoria è legata alle proprie abilità e capacità;
  • gli Alea, quei giochi legati alla fortuna, nei quali la vittoria è dovuta fondamentalmente al caso;
  • i Mimicry, ovvero i giochi di simulazione che implicano l’assunzione e l’interpretazione di un ruolo da parte dei giocatori;
  • infine, gli Ilinx, i giochi cosiddetti di percezione dove il giocatore si procura volontariamente uno stato di smarrimento, euforia o perdita di coscienza per trarne piacere.

Possiamo quindi dire, seguendo le indicazioni di Caillois, che i giochi di ruolo sono dei ‘ludus’ e dei ‘mimicry’, in quanto sono dei giochi di solito fortemente regolamentati nei quali i giocatori interpretano il ruolo dei personaggi del gioco stesso.

Il termine ‘giocare di ruolo’ che in inglese corrisponde a role-playing è stato introdotto da Jacob Levi Moreno, psichiatra austriaco, tra gli anni Quaranta e Cinquanta anche se al tempo non si riferiva al concetto che intendiamo noi attualmente. Cosa intendiamo per gioco di ruolo? Potremmo definirlo come un gioco sofisticato di finzione dove tutto quello che accade ai vari personaggi che vi stanno partecipando accade nello spazio immaginario creato in modo condiviso dai giocatori stessi, talvolta mediato da un facilitatore (il master/narratore).

Ma come sono nati i giochi di ruolo (GdR)? Cercando di fare un sunto di quanto scritto dall’esperto italiano di GdR Daniele Prisco [Prisco, 2021] e il game designer di giochi di ruolo Steve Darlington [Darlington, 1998-1999] si può dire che tutto è partito dallo scrittore britannico visionario H. G. Wells, definito uno dei padri della fantascienza, che è anche ricordato come tra i primi precursori dei giochi di guerra (wargame) e di conseguenza bisnonno dei giochi di ruolo. I wargame esistono da quando vi è il genere umano, ovvero da quando esistono le guerre: l’idea di realizzare battaglie simulate senza rischi personali viene attribuita già agli antichi Sumeri. Nel 1913 Wells pubblicò una serie di regole per giocatori di wargame alle prime armi [Wells, 1913] che è stato definito il primo regolamento per wargame tridimensionale moderno: il libricino divenne molto diffuso al tempo ma sarà solo negli anni Cinquanta, con la commercializzazione del primo tabellone da gioco, che questa tipologia di svago vedrà la vera popolarità. Fu un altro noto scrittore come J. R. R. Tolkien con la pubblicazione de Il Signore degli anelli e il suo mondo fantasy ricco di avventure, battaglie e personaggi di mondi lontani a fare da scintilla e animare la creatività dei giocatori dell’epoca. Proprio a fine degli anni Sessanta, nel Massachusetts, Gary Gygax e Jeff Perren svilupparono un gioco di guerra che ricreava in modo meticoloso molti aspetti delle battaglie medioevali: nasce Chainmail che sarà pubblicato per la prima volta da Guidon Games nel 1971, e successivamente in un suo supplemento fantasy verranno introdotti nelle proprie battaglie anche draghi, armi magiche e incantesimi come nel mondo tolkieniano. Sempre Gygax assieme a Dave Arneson nel 1974, rivisitando Chainmail, pubblicherà in autoproduzione con un migliaio di copie la prima edizione di Dungeons & Dragons che anni più tardi (a seguito di aggiustamenti e revisioni varie) diventerà il gioco di ruolo più famoso e diffuso al mondo. Nei primi due anni dall’uscita il gioco riscosse un grande successo; le copie che venivano stampate non riuscivano infatti a soddisfare i numerosi appassionati: questo enorme fermento portò i giocatori a creare modifiche, personalizzazioni, nuove regole e adattamenti. Esplose il fenomeno del gioco di ruolo, che portò negli anni Ottanta alla vera epoca d’oro conquistando sempre più giocatori e facendo proliferare nuovi giochi, una vera e propria rivoluzione, con tematiche e ambientazioni non più solo storiche o fantasy, ma anche futuristiche. Nel 1984 inizia anche in Italia la produzione di giochi di ruolo, e nel 1989 uscirà la seconda edizione di Advanced Dungeons & Dragons (fratello maggiore di D&D) che aprirà una nuova prospettiva di gioco, quella della narrazione e dell’ambientazione: le sessioni di gioco dovevano raccontare una storia la cui trama doveva essere emozionante e coinvolgente per i giocatori. Gli anni Novanta consolidarono la fortuna dei GdR e in questi anni iniziarono a diffondersi e a proliferare anche tantissime collane di libri-gioco. L’opera più significativa degli anni Novanta è sicuramente Vampire: The Masquerade, un gioco che mette al centro di tutto la storia, la narrazione e l’intrigo nonché l’introspezione personale; è proprio questo gioco che ha fatto diffondere la ‘regola d’oro’ che fornisce la libertà al master di cambiare o ignorare una regola del gioco se questa va a discapito del divertimento o fluidità della storia, in un particolare momento, che si sta creando con i giocatori: questo a enfatizzare che è più importante dare un’esperienza di gioco piacevole e coinvolgente per i giocatori piuttosto che seguire in modo letterale e rigido il regolamento. Questa decade sembra essere quella degli anni della celebrazione dei GdR: le vendite salgono, ci sono sempre più appassionati interessati e la quantità di titoli presenti sul mercato permettono di accontentare praticamente tutti i gusti; tuttavia, nel 1993 viene pubblicato un nuovo gioco che introdurrà un nuovo modo di giocare, Magic: The Gathering il gioco di carte collezionabili che rivoluzionerà il mondo ludico. In soli tre anni i giochi di carte collezionabili divorano completamente la fetta di mercato dei giochi di ruolo e le grandi case editrici perdono interesse per la pubblicazione dei loro manuali.  Non tutto è perduto ad ogni modo, infatti gli anni Duemila portarono nuove rivoluzioni che iniziano con la pubblicazione di una nuova edizione del celebre D&D, con la semplificazione di alcune meccaniche che con gli anni erano diventate troppo complicate, e con essa viene rilasciato gratuitamente in rete, in modo che chiunque potesse riutilizzarlo, il nuovo sistema di gioco denominato d20 System. Inizia così a proliferare il movimento indipendente con la creazione di numerosi nuovi giochi di ruolo. Al d20 System si affiancherà anche un altro sistema di gioco, il Pathfinder Roleplaying Game, che modifica in modo sostanziale e semplifica ulteriormente il primo sistema. Ci si trova così ad avere il mercato dei giochi di ruolo diviso in modo molto netto: da una parte la produzione indipendente, che valorizza e premia la produzione di giochi interessanti, di qualità e innovativi, con tematiche talvolta complesse e sistemi di gioco estremamente originali che non hanno come unico obiettivo la grande distribuzione e diffusione; dall’altra parte la grande editoria che si scontra con sistemi di gioco ben definiti e consolidati puntando ai profitti e a un mercato molto più ampio. Gli anni successivi hanno seguito un po’ la tendenza appena descritta: nascono molte case editrici indipendenti, con un pletora di nuovi sistemi di gioco e ambientazioni sempre più innovative; vengono inoltre pubblicate nuove edizioni dei classici sistemi di gioco che ottengono un buon successo. La nascita di numerosi blog, canali YouTube, pagine sui social network e podcast hanno poi contribuito a far rivivere una nuova giovinezza ai giochi di ruolo, facendoli conoscere anche ai non giocatori e facilitandone la diffusione. Ad oggi l’ecosistema ‘gioco di ruolo’ si può dire essere in ottima salute e, nonostante i continui cambiamenti della società e i progressi della tecnologia, continua a essere attuale, interessante e coinvolgente per i suoi giocatori, ponendo l’attenzione sempre più anche ai giocatori non abituali: questa è un’occasione che le biblioteche non devono farsi perdere, anzi la devono sfruttare.

Si ricorda che le recenti IFLA Guidelines for library services to children 0-18 [IFLA, 2018] definiscono tra i vari compiti di bibliotecari competenti anche la progettazione, la realizzazione efficace e la valutazione di una serie di programmi e attività divertenti e coinvolgenti per soddisfare i bisogni di tutte le ragazze e i ragazzi della comunità locale; nonché deve dimostrare di conoscere e saper gestire la cultura giovanile del momento (letteratura, giochi ecc.) quindi, a maggior ragione, la realizzazione di sessioni di giochi di ruolo in biblioteca sono più che pertinenti e coerenti.

Quando parliamo di giochi di ruolo, non dobbiamo spaventarci pensando a giochi infiniti e troppo complessi: come abbiamo visto, negli anni, vi è stato uno sviluppo e un’evoluzione molto importante che ha portato ad avere dei prodotti molto variegati.

Possiamo fare innanzitutto una prima distinzione, in base alla durata:

  • da una parte i GdR che prevedono più sessioni di gioco (definiti giochi a campagna), che possono durare giorni/mesi/anni, sempre con lo stesso gruppo di persone, a seconda dell’avventura che si è deciso di intraprendere;
  • dall’altra i GdR denominati oneshot dove il gioco inizia e finisce in un’unica sessione di gioco della durata di qualche ora.

Già con questa prima distinzione si aprono due/tre opportunità per una biblioteca:

  • sfruttare giochi di ruolo a campagna, con appuntamenti fissi con il medesimo gruppo di persone, molto simile a quel che accade normalmente con i gruppi di lettura che si ritrovano periodicamente nei locali della biblioteca;
  • realizzare delle sessioni di gioco oneshot (molto meno impegnative delle precedenti), per coinvolgere anche persone diverse o neofiti;
  • fare sia sessioni oneshot sia campagne stabili, magari fissando a priori un tempo massimo di durata della campagna per permettere l’introduzione di nuovi utenti/giocatori.

Una seconda distinzione è possibile prendendo spunto dall’autore statunitense Ron Edwards, che sviluppò una sua classificazione chiamata ‘Big Model’ per suddividere le tipologie di giochi di ruolo:

  • giochi di ruolo ‘narrativi’, dove i giocatori hanno a che fare solitamente con un regolamento abbastanza semplice, che tendono principalmente a favorire lo sviluppo dell’aspetto narrativo della storia e dei vari personaggi, incoraggiando l’interpretazione e l’approfondimento della trama durante il gioco (possiamo al suo interno avere come sottogeneri GdR ‘senza master’, GdR ‘senza uso di dadi’, GdR ‘privi di forma’, GdR ‘Powered by the Apocalypse – PbtA’);
  • giochi di ruolo ‘gamisti’, dove il focus principale del gioco è la raccolta di ricompense, raggiungere obiettivi, trovare soluzioni, gestire e far crescere le abilità dei personaggi. Giochi, quindi, in cui la componente narrativa è importante, ma lo è altrettanto la strategia per sviluppare e potenziare il personaggio che, durante il gioco, evolve (un rappresentante di questa tipologia che tutti conosciamo è per l’appunto D&D nella sua ultima edizione);
  • giochi di ruolo ‘di simulazione’, fortemente regolamentati con l’intento di ricreare in modo molto fedele l’ambientazione della storia che si va a raccontare e vivere durante le sessioni di gioco. In questi giochi tutto deve essere coerente, nei minimi particolari, all’avventura che si sta giocando.

Sicuramente i giochi di tipo narrativo sono quelli che meglio si prestano a essere realizzati in una biblioteca, sia perché le storie e la narrazione sono il cuore pulsante dell’esperienza di gioco, sia perché sono più semplici da adattare e preparare (solitamente con regolamento più semplice e snello, in alcuni casi non necessitano nemmeno di un master/facilitatore). Possiamo trovare giochi di varia ambientazione: fantasy, medioevale, steampunk, fantascientifica, futuristica, in luoghi reali, in mondi fantastici, nello spazio, in un’altra dimensione ecc.; giochi che possono necessitare di supporti per contestualizzare la storia (tabelloni, stampe, mappe ecc.) o meno. Si consigliano i giochi narrativi anche perché non sempre si necessita dell’uso di dadi, che molti giocatori non amano per non dover essere in balia della fortuna per lo sviluppo della storia. Data la notevole varietà del mercato dei giochi di ruolo, oramai è possibile trovarne molti che utilizzano materiali alternativi rispetto al classico lancio di dadi. Di seguito alcuni esempi:

  • German Democratic Republic - GDR (edito da Fumble GDR), utilizza le tessere del domino per risolvere situazioni critiche e rischiose;
  • Dread (edito da MS Edizioni), a tema horror, utilizza il celebre gioco Jenga con la torre di mattoncini per superare delle prove durante la sessione;
  • Not the End - NtE (edito da Fumble GDR), utilizza dei gettoni colorati da estrarre da un sacchetto per vedere l’esito di una prova;
  • Biblioversum (edito da Studio Supernova, XV Games), utilizza dei libri a scelta dei giocatori;
  • Zombie World (edito da Pendragon), utilizza dei mazzi di carte particolari per la risoluzione degli eventi.

A fianco dei classici giochi di ruolo ‘da tavolo’ vi sono i LARP (live-action role-playing, giochi di ruolo dal vivo), nei quali i giocatori interpretano i propri personaggi dal vivo: non si limitano cioè solo a descrivere a parole cosa fanno i loro personaggi, ma le compiono in prima persona (talvolta anche usando costumi e oggetti di scena per rendere più realistico il tutto). Negli ultimi anni l’interesse per i LARP è aumentato sempre di più, tant’è che talvolta vengono utilizzati anche in ambito scolastico e educativo, in questo caso parliamo di ‘edu-LARP’, «uno strumento molto efficace perché rende possibile calare i partecipanti in maniera attiva ed evidente all’interno di una situazione appositamente costruita costringendoli a prendere posizione, ad agire, interagire e reagire» [Ligabue, 2020, p. 25].

Come già detto, i giochi di ruolo possono essere anche educativi, in [Angiolino - Giuliano - Sidoti, 2003] vengono identificate sette diverse potenzialità che possono rendere la loro pratica utile a scopi educativi:

  • motivazione, superiore rispetto alla didattica tradizionale grazie al maggior coinvolgimento emotivo personale;
  • cooperazione, ossia la mancanza di competitività (che in alcuni giochi però viene meno);
  • identificazione, data del dover osservare il tema non dal proprio punto di vista bensì da quella particolare del proprio personaggio;
  • narrazione, che attraverso la molteplicità di possibili esiti insegna che la realtà non è mai solo una e quindi scontata;
  • esplorazione, vale a dire la scoperta attiva dei mondi ‘altri’, utile per esempio nello studio e analisi di eventi/periodi storici ovvero geografici;
  • revisione, riconsiderando le proprie opinioni iniziali alla luce dell’esperienza di gioco vissuta;
  • progettazione, una ricerca e un approfondimento del tema non fine a sé stesso, ma focalizzato a prepararsi e/o a organizzare la sessione di gioco.

Come ricordato anche in [Maragliano, 2020], normalmente i LARP sono composti da più fasi:

  1. una fase di preparazione, che anticipa il LARP vero e proprio e ha lo scopo di ‘rompere il ghiaccio’ all’inizio dell’attività, motivare i partecipanti, nonché metterli a proprio agio e farli entrare nel mood dell’esperienza che si andrà a vivere. In questa prima fase si cerca di coinvolgere i giocatori, si cerca di creare un gruppo protetto, rilassato e privo di ansia. Successivamente si procede con la creazione dei personaggi, il giocatore inizia a prendere dimestichezza con l’ambientazione e il proprio personaggio; si spiegano le regole dell’attività e come agire in caso di problemi o disagio (ad esempio l’uso di parole di sicurezza o altro);
  2. terminata la fase preparatoria, il LARP può avere inizio, da questo momento ogni giocatore impersonerà e interpreterà il proprio personaggio, interagendo fisicamente con gli altri giocatori e/o la stanza/oggetti a seconda della trama della storia;
  3. infine, vi è il debriefing, che è la parte più importante di tutta l’attività, che si svolge sempre tutti assieme, dove si lasciano i panni dei personaggi interpretati durante il gioco e si torna alla vita reale, facendo valutazioni sull’esperienza vissuta, sui fatti importanti che hanno lasciato il segno, sulle cose che sono piaciute e quelle che non sono piaciute.

Alcuni suggerimenti di giochi di ruolo da poter proporre in biblioteca, per la semplicità, la popolarità o i temi trattati:

  • Trincea 1917 (edito da Fumble GDR), gioco di ruolo fortemente narrativo, adatto a un pubblico di giovani adulti e adulti, che si presta anche a sessioni oneshot, con un regolamento snello e semplice. I giocatori andranno a impersonare dei soldati al fronte durante la Grande guerra: non è un gioco di guerra ma sui traumi della guerra, una storia fatta di rinunce, dolore, logoramento e occasionale conforto;
  • Dialect (edito da Narrattiva), altro gioco di ruolo narrativo che si gioca in singole sessioni oneshot. Trasporta i giocatori in una comunità isolata, a narrarne la sua storia e la storia del suo linguaggio: come nasce, come si evolve e come andrà a ‘morire’;
  • Lovecraftesque (edito da Narrattiva), gioco di ruolo narrativo per sessioni oneshot senza il master, ambientato nel mondo di indescrivibili orrori cosmici di H. P. Lovecraft;
  • Il richiamo di Cthulhu (edito da Raven Distribution), gioco di ruolo a campagna dove la componente narrativa è importante ma vi è anche l’uso di dadi per poter superare delle prove durante la sessione, anch’esso ambientato nel mondo creato da H. P. Lovecraft quindi di ambientazione horror, dove i protagonisti sono messi di fronte a orrori ultraterreni, innominabili e invincibili;
  • Green Oaks (edito da Fumble GDR), gioco di ruolo narrativo adatto a sessioni oneshot e anche a giocatori neofiti, con un regolamento di poche pagine con semplici regole. Necessita di un mazzo di carte da briscola per poter giocare, in coerenza con il tema del gioco che è proprio un centro residenziale per anziani (impersonati dai giocatori) con un passato tutto da scoprire, che indagheranno sui segreti della casa di riposo Green Oaks;
  • Not the End (edito da Fumble GDR), gioco di ruolo narrativo adatto a campagne, ma anche a sessioni oneshot. Narra le avventure di eroi disposti a rischiare tutto per ciò che considerano importante, l’ambientazione è a scelta del master, con molti scenari già disponibili e adatto anche a neofiti;
  • Biblioversum (edito da Supernova Studio, XV Games), gioco narrativo per sessioni oneshot, senza master, senza uso di dadi e senza preparazione dell’avventura in anticipo. Sembra essere il gioco di ruolo fatto apposta per le biblioteche perché i giocatori necessitano solo di tre elementi: libri (e nelle biblioteche ce ne sono in abbondanza), segnalibri e fantasia. I giocatori sono dei Bibliomanti che traggono il potere dal profondo legame che creano con i loro testi preferiti, districandosi in mille avventure che si andranno a creare nei vari universi letterari;
  • Persi nella pioggia (edito da Narrattiva), gioco narrativo per brevi sessioni oneshot, a tema horror e che parla di dinamiche di gruppo. I protagonisti saranno dei bambini che si smarriscono in una giornata di forte pioggia e tentano di non essere catturati dalle Pluvarpie. Gioco semplice e che non necessita preparazione o master, ma di forte impatto emotivo;
  • My Little Pony. Tales of Equestria (edito da Need Games), gioco narrativo per i più piccoli (ma molto apprezzato anche dagli adulti), basato sulle storie dei personaggi dei cartoni animati My Little Pony, ambientato nel magico mondo di Equestria, dove l’amicizia è magica e si vivono incredibili avventure. Un GdR semplice particolarmente adatto ai bambini, guidati dal narratore/master, per singole sessioni o anche per campagne di gioco;
  • Kids & Legends (edito da Asmodee), gioco di ruolo per ragazzi che non hanno mai giocato a un gioco di ruolo, dove le regole si imparano giocando e per il master ci sono degli strumenti ad hoc per facilitargli il compito. È una versione semplificata e riadattata per l’occasione che prende spunto dal celebre Dungeons & Dragons;
  • Dungeons & Dragons - D&D (edito da Wizards of the Coast), il gioco di ruolo più celebre e popolare, adatto a campagne di gioco, dove i giocatori si immergeranno in storie e avventure in mondi in cui spade e magia sono all’ordine del giorno.

Visto il variegato catalogo di validissimi giochi di ruolo in commercio oggi, nell’ultimo anno abbiamo provato a proporne alcuni in biblioteca per sensibilizzare l’utenza in occasione di momenti particolari dell’anno. Nello specifico, in occasione della commemorazione del Giorno delle Memoria abbiamo proposto in biblioteca, invece dei soliti reading o spettacoli teatrali a tema (sempre molto apprezzati), una serata di giochi di ruolo dal vivo: «Per commemorare le vittime dell’Olocausto, sessione di gioco di ruolo dal vivo in biblioteca: rivivi, per una sera, la storia di un gruppo di fuggitivi nella Berlino del 1942. Gioco di ruolo molto immersivo che si svolgerà al buio, adatto ai maggiori di 18 anni». L’iniziativa poteva sembrare un azzardo, non sapendo che tipo di risposta ci sarebbe stata da parte dei nostri utenti, non abituati a questa tipologia di proposta. Con nostra piacevole sorpresa, tutti i posti disponibili sono stati prenotati ma la soddisfazione più grande è stato vedere che gli utenti che avevano chiesto di partecipare erano molto eterogeni tra loro: dal giovane ventenne con qualche esperienza di giochi di ruolo al docente che voleva provare l’esperienza per poterla eventualmente riproporre ai suoi studenti, dalla timida ragazza al sessantenne che non aveva mai visto un gioco di ruolo, ma che era molto incuriosito dall’esperienza. Il gioco in questione è Prima vennero ideato da Chaos League e edito da MS Edizioni, che vuole cercare di far rivivere, anche se per un tempo limitato, quello che ha vissuto Anne Frank nella sua soffitta. I giocatori, infatti, impersonano dei perseguitati dal regima nazista (dall’operaio ebreo alla professoressa omosessuale, dal dottore disabile al telegrafista testimone di Geova) che si ritrovano tutti nascosti nella soffitta di un palazzo, al buio e in silenzio, durante un raid della Gestapo. La serata è iniziata con un primo momento condiviso assieme a tutti i partecipanti, dove si è contestualizzato l’evento spiegandone l’ambientazione e il funzionamento. Sono stati divisi poi i gruppi nelle varie stanze, iniziando la prima fase del gioco seduti attorno a un tavolo: innanzitutto sono stati eliminati i possibili personaggi che contenevano dei temi che potevano disturbare o che potevano non mettere a proprio agio i giocatori; quindi, sono stati scelti i personaggi rimasti e distribuiti i vari materiali. Assieme a una traccia audio che rendeva più immersiva l’esperienza, ognuno si è creato il personaggio leggendo i materiali a disposizione cercando di farlo proprio. Ad aiutare a eliminare l’imbarazzo e la timidezza iniziale, che un gioco di ruolo può portare ai giocatori neofiti, è stato fondamentale lo step successivo consistente in una scena di flashback per ogni personaggio, dove il giocatore assieme agli altri inizia a impersonare il proprio personaggio partendo da un canovaccio che aiutava a entrare nell’atmosfera e che terminava con la vera prima scelta che avrebbe poi caratterizzato il personaggio stesso per tutto il resto del gioco. Questo passaggio, oltre a essere stato molto importate per mettere a proprio agio i giocatori, ha permesso anche di iniziare a farli conoscere e creare un ‘legame’ tra loro. Il cuore del gioco iniziava solo ora: la scena madre del gioco, ovvero la scena della soffitta. Tutti i giocatori sono stati fatti sedere a terra, al buio, con solo una traccia audio che faceva da guida e che corrispondeva a quello che stava accadendo fuori della soffitta: la Gestapo che perquisiva gli appartamenti trovando indizi compromettenti e che si avvicinava sempre di più al nascondiglio dei fuggiaschi. Durante il gioco, complice anche la poca visibilità, i giocatori hanno raccontato la storia del proprio personaggio: chi sono, perché sono là, i loro segreti; si sono creati così dei legami tra i personaggi, alcune antipatie e alcune simpatie. Il gioco procede sempre guidati dalla traccia audio che in molti casi fa aumentare la tensione e l’angoscia nella stanza, fino a pochi minuti prima del termine, dove i giocatori hanno dovuto accordarsi in segreto per capire se tra di loro ci sarebbe stato un capro espiatorio che si doveva sacrificare per il resto del gruppo, consegnandosi ai gendarmi. A seguire quindi l’epilogo in base alle scelte fatte dal gruppo, che conclude la storia di finzione. L’ultima fase è proprio quella del debriefing, dove i giocatori sono tornati al tavolo e con la luce accesa hanno discusso di come sia andata l’esperienza: alcuni minuti sono stati dedicati per concentrarsi in silenzio ripensando a quanto vissuto, per poi dire ad alta voce quali sono stati i momenti forti e significativi per loro, che cosa hanno ammirato e che cosa invece non hanno amato del proprio personaggio; per concludere, ogni giocatore ha dovuto scrivere una lettera privata al proprio personaggio (che nessuno ha letto, rimaneva personale), un modo per salutarlo e tornare definitivamente alla vita normale.

Le cose emerse nel debriefing possono essere riassunte così:

  • tutti i partecipanti hanno apprezzato l’esperienza, che da molti era stata inizialmente sottovalutata, in quanto ha generato molte emozioni forti (alcune persone si sono anche commosse al termine);
  • i giocatori hanno percepito, provato (anche se in un gioco di finzione) e fatto proprie le emozioni che molte famiglie hanno vissuto realmente durante il nazismo (ansia, terrore, insicurezza ecc.);
  • il grado di immedesimazione è stato talmente elevato da non poter essere eguagliato dalla visione di un film, di una rappresentazione teatrale o dall’ascolto di un reading; vi è stato, infatti, un riscontro positivo dell’esperienza anche mesi dopo, dove alcuni partecipanti la ricordavano come un’esperienza che ha lasciato il segno e che ha dato loro molto;
  • in diverse occasioni il gioco ha obbligato i giocatori a guardarsi dentro e farsi delle domande, mettendosi a nudo di fronte a temi importanti che spesso non avevano mai considerato, cercando di capire anche perché certe scelte sono state fatte;
  • è emersa una dinamica particolare: all’inizio ognuno era consapevole di essersi sporcato le mani in atti ignobili e che meritavano di essere sacrificati per salvare gli altri; tuttavia, durante il gioco alcuni giocatori hanno iniziato a cercare in tutte le maniere di salvarsi a discapito di altri, esattamente come è avvenuto nella realtà al tempo del Nazismo;
  • a molti, inoltre, è venuta la curiosità di approfondire i personaggi che erano stati interpretati, i quali prendevano spunto da persone realmente esistite.

Se una biblioteca vuole riproporlo, un miglioramento possibile è quello di consigliare prima dell’evento la lettura di alcune opere che aiutino a immergersi nell’esperienza, come ad esempio Diario di Anne Frank e La notte di Elie Wiesel.

L’esperienza è stata talmente positiva che altri appuntamenti sono stati poi messi in programma, ad esempio una sessione di gioco di ruolo con Alice è scomparsa (edito da Raven Distribution) in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Anche questo è un GdR narrativo, che si gioca seduti attorno allo stesso tavolo, ma utilizzando esclusivamente i cellulari per comunicare e simulare delle persone di una piccola cittadina alla ricerca di una ragazza che è scomparsa da alcuni giorni. Come per Prima vennero anche qui il coinvolgimento emotivo è molto importante, ma porta ad affrontare temi scomodi e di attualità come quelli della violenza contro le donne.

Occasioni ce ne sono molte per poter proporre iniziative ludico culturali e sociali, attraverso anche i giochi di ruolo, che, come abbiamo visto, lasciano il segno, fanno venire molte domande e coinvolgono in modo attivo i nostri utenti.