Nuove case editrici e collane per ragazzi e ragazze nate nel secondo decennio degli anni Duemila
Associazione Culturale Hamelin
Bologna, info@hamelin.net
Per tutti i siti web la data di ultima consultazione è il 3 novembre 2022.
Abstract
Nell’editoria per l’infanzia degli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato. Non solo la quantità di titoli continua a essere in costante aumento, rischiando poi di intaccarne la qualità, ma anche molti editori con alle spalle una radicata presenza negli scaffali solo per adulti hanno deciso di aprirsi all’infanzia e all’adolescenza, percependo in questo settore un vitalismo diverso e anche un bacino maggiore di lettrici e lettori. Nonostante i numeri sulla lettura in Italia indichino chiaramente una flessione anche tra lettori giovani, sono nate nuove collane e nuove case editrici. Si nota inoltre un ritorno alla ricerca approfondita nel mercato estero meno battuto, traducendo dal nord e dall’est Europa, così come dall’Oriente, e anche una volontà di recuperare classici dimenticati o mai arrivati nel nostro mercato.
L’articolo mette in evidenza alcuni filoni importanti a cui si vuole dare luce e voce, dimostrando il significativo cambiamento avvenuto in questo decennio, ben sapendo che non è esaustivo di tutto il mercato: la nascita di nuove collane ed editori con una spiccata e forte identità; la ricerca su autrici e autori del nostro Paese; lo spostamento verso realtà culturali e geografiche non ancora battute, e la traduzione di testi provenienti da quei paesi; la spinta militante, data da una forte visione del mondo e dei prodotti culturali; l’evidente sviluppo del fumetto per bambini e adolescenti.
English abstract
During the last decade, a lot has changed in children’s publishing. Not only does the number of books keep growing – often at the expense of their quality – but an ever-larger amount of publishing houses with an established history in targeting adult readers choose to include in their catalogues products specifically aimed at children and teenagers, perhaps sensing a stronger vitality of this market and the possibility to reach a larger number of readers. Despite the latest statistics on reading literacy in Italy clearly indicate a decline among young people as well as adults, new series of books and new publishers continue to emerge, and a general tendency to scan some of the less explored international markets can be registered, as demonstrated by the rise in translations of books from Northern and Eastern Europe and Asia, as well as a desire to recover classics that had been either forgotten or never before published in Italy.
The paper highlights some of the most relevant trends in Italian children’s publishing, presented as a thorough yet not-exhaustive portrait of the major shifts that have occurred in the last decade: the appearance of new series and publishers with strong editorial identities; the multiplication of books by Italian writers; the progressive shift towards cultural and geographical literary canons that were not considered before; the increase in politically and socially engaged books; the phenomenal rise of the children’s graphic novel market.
Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, nel nostro Paese leggono poco, certo; ma molto più degli adulti, anche togliendo le letture non per scelta, quelle fatte per richieste scolastiche. Nonostante la chiara e brusca flessione anche tra le giovani generazioni negli ultimi dieci anni ‒ il che però non significa che prima ci sia stata un’età dell’oro in cui si leggeva molto di più! ‒ secondo i dati [Istat, 2022] non ci sono dubbi: per libere letture, al netto del crollo, la popolazione giovane ancora stacca di molto quella adulta. Un riflesso diretto ne sono anche i sorprendenti numeri dell’editoria specializzata per l’infanzia e l’adolescenza, che negli anni delle grandi crisi (grande recessione prima, pandemia da Covid-19 poi) ha letteralmente trainato il mercato librario, mostrandosi in crescita costante.
Anzi, proprio gli anni Dieci, pur con una congiuntura economica certamente molto sfavorevole, hanno segnato una crescita addirittura del 56,7% sulle novità, che seguiva quella degli anni precedenti.
Nel 2013, cioè quando ancora gli effetti della crisi economica erano davvero importanti, per una strana e difficilmente comprensibile reazione si è toccato in Italia il maggior numero di editori per ragazzi attivi (211) e, in un momento di grande espansione nell’export, addirittura il 33% di titoli venduti all’estero erano riferibili al settore infanzia, dato che si è confermato in crescita negli anni successivi.
Negli stessi anni è cresciuta la presenza dei libri per bambini nelle librerie, sono aumentate le librerie specializzate, così come gli eventi, i festival, gli spazi su giornali e riviste, per non parlare dei blog che a diverso titolo e con differenti competenze se ne occupano. Non si può purtroppo parlare ancora di salti di qualità, che rimane, nell’occuparsi di letteratura per l’infanzia o l’adolescenza, ancora bassa, dilettantesca, ma certamente per quanto riguarda la quantità la fioritura è stata evidente.
Meglio si è mossa certa editoria: è un decennio che ha visto anche nascere nuove case editrici per ragazzi e tante collane di editori che non se ne erano occupati ancora direttamente, che hanno saputo e sanno muoversi in maniera interessante e seria, con uno sguardo e modalità che si scostano dal panorama a cui si era abituati. Una caratteristica comune che riscontriamo in tante di queste esperienze è una identità editoriale forte, coraggiosa, molto definita e orientata: progetti piccoli ma precisi, con una serie di caratteri che a modo loro si oppongono ai disordinati tentativi degli editori maggiori, con regie appannate, alla ricerca un po’ confusa del nuovo best seller. Siamo entrati in dialogo con alcune di queste direzioni editoriali per capire meglio genesi, direzioni, obiettivi, cambiamenti, e abbiamo provato qui a riordinarle secondo tre macrofiloni che possono aiutare a comporre una mappa di questo decennio.
Il primo riguarda la nuova attenzione riservata ad autrici e autori nella narrativa italiana più ricercata, a lungo rimasti un po’ ai margini rispetto alle traduzioni soprattutto dai paesi di area anglosassone: c’è un tentativo, ci pare, anche di fare squadra e formazione, di seguire nomi nuovi o di traghettare verso una certa scrittura per l’infanzia autori e autrici di cui si intravede un potenziale. In particolare ci siamo rivolti verso due esperienze nate grazie a due nomi di qualità e lungo corso che già avevano lasciato segni indelebili nella ricerca, nell’editing, nella scrittura nei precedenti vent’anni della nostra editoria: le collane nate in seno a un editore storico come Bompiani, grazie all’arrivo di Beatrice Masini, e la nascita di Pelledoca, guidata da Lodovica Cima.
Il secondo filone sposta invece l’asse verso altre geografie, culture, lingue: tre casi di scelte precise e molto coraggiose di esplorazione di spazi e letterature poco o per nulla arrivate in precedenza. Iperborea, che ha da sempre rivolto la propria bussola verso Nord, ha finalmente deciso di aprire con Miniborei una collana che vuole portare ai piccoli lettori italiani il meglio della letteratura scandinava, con aperture ad altri Paesi del Nord Europa; Kira Kira ha scelto invece il Giappone, così ricco di spunti e visioni sull’infanzia, e traduce albi illustrati mai arrivati in precedenza; mentre la collana Rendez-vous, come la casa madre Besa Muci, da pochissimo sta attingendo al bacino davvero (clamorosamente) ancora intatto dell’Est Europa, con particolare ricerca sul crogiolo balcanico.
Ci sono poi alcuni editori che si sono imposti attraverso una visione del mondo e del fare prodotti culturali per l’infanzia molto netta, in senso potremmo dire politico, filosofico, militante: Else, che è anche un’associazione e un laboratorio serigrafico permanente, ha iniziato mettendo insieme un gruppo di rifugiati da diversi Paesi, e continua a proporre storie diverse ma in qualche modo di emarginazione, mettendo insieme la potenza dei vissuti e una scelta radicale di stampa in serigrafia, dunque di copie fatte a mano, di altissima qualità e di grande impatto visivo; Settenove si è data invece la missione di fare anche educazione alle differenze, alle questioni di genere, e contribuire alla lotta contro ogni discriminazione e violenza attraverso il libro per giovani lettori e lettrici.
A questi filoni si aggiunge un ulteriore tassello, che non riguarda un genere o argomento, ma un linguaggio: il vero fenomeno degli ultimi anni, quasi improvviso e di inaspettato successo, è dato dall’arrivo del graphic novel per giovani lettori. Questa particolare forma di raccontare a fumetti aveva conquistato una nicchia sempre più ampia e raffinata di pubblico adulto, ma il gancio verso le nuove generazioni sembrava mancare, e il fumetto in generale perdere terreno, quasi abbandonato. Poi qualcosa è accaduto e nei soli ultimi tre anni le vendite sono quasi triplicate [AIE, 2022b], toccando lo scorso anno un fatturato record di oltre cento milioni di euro.
Alle tante novità in arrivo si è affiancato in questi anni un recupero di grandi opere del passato anche lontano, scomparse e introvabili o addirittura mai arrivate nel nostro Paese, che hanno saputo mostrarsi con una nuova veste in tutta la loro forza.
Le trasformazioni in atto dunque sono tante, e in questo dossier non siamo riusciti a tracciarle certamente tutte. Nonostante i tagli abbiamo la speranza di dar conto dei grandi spostamenti in atto, e ci auguriamo possano avere un ruolo importante per rendere la nostra editoria specializzata sempre di maggior qualità, attenta alla ricerca e sinceramente dedita all’infanzia.
Amate sponde. L’attenzione ad autrici e autori italiani
di Giordana Piccinini
Quando Antonio Faeti decise di dedicare il saggio [Faeti, 1995] alla nuova ondata della letteratura per l’infanzia, non aveva messo in conto di dedicare un saggio alla letteratura italiana contemporanea. Cosa era successo? Perché decidere, dopo aver interpretato l’opera di grandi come Aidan Chambers, Roald Dahl, Ursula K. Le Guin, Margaret Mahy e Penelope Lively, e dopo aver dedicato un capitolo intero a quella che possiamo considerare la più importante scrittrice italiana per ragazzi e ragazze, ovvero Bianca Pitzorno, di dedicare un capitolo alle sue ‘amate sponde’?
Il motivo per me più importante è la speranza e l’ostinazione che spesso provo anche io di trovare una nuova voce italiana capace, come i contemporanei francesi, inglesi, olandesi, svedesi, americani, di una scrittura bella e solida che non ha bisogno di grandi temi da inseguire – siano essi la mafia, la crisi ambientale, la migrazione – ma che crea mondi da sé, e da una visione personale dell’infanzia e del suo rapporto con la realtà, attuale e universale insieme. Non sono utopiche questa ostinazione e questa speranza se si pensa alla nostra eccellente tradizione che aveva trovato vie diverse e ugualmente valide: dall’avventura folle, esotica ma anche sottilmente politica di Emilio Salgari, al pessimismo intinto di fiaba e di mito di Carlo Collodi, alla leggerezza fantastica e svagata di Sergio Tofano a quella più ombrosa di Antonio Rubino, fino all’impegno dichiarato di Edmondo De Amicis. Tra tutti sembra che solo quest’ultima lezione sia sopravvissuta, e nella maggior parte dei casi senza il medesimo vigore della scrittura, con la nudità del tema a rimanere solo, desolantemente didascalico. Eppure, eredi illustri hanno operato anche nei decenni passati, soprattutto donne. L’omaggio a queste importanti presenze è il secondo motivo del capitolo di Faeti: come non considerare l’importanza di Donatella Ziliotto, editor, traduttrice e grande scrittrice per l’infanzia, e di Beatrice Solinas Donghi, scrittrice altrettanto capitale oltre che grande esperta di fiaba?
È per dare corpo alla nostra speranza e ostinazione che abbiamo deciso di inserire in questa sezione la presentazione di due case editrici come Bompiani e Pelledoca. Le ‘amate sponde’ di Faeti trovano forse un felice prolungamento, su tutte e tutti, in scrittrici come Chiara Carminati, Beatrice Masini, Silvia Vecchini, e in certi esordi, alcuni per la giovane età di chi scrive, altri perché provenienti da altri luoghi letterari. Ci sono firme molto interessanti che vorremmo tanto mantenessero questa loro voce alternativa, questo loro sguardo un po’ di lato e di sbieco rispetto ai tanti libri sui migranti, sulle mafie, sui problemi ambientali, sulle biografie che attanagliano la nostra letteratura, e riuscissero a parlare dei grandi temi dell’umanità attraverso storie piene di magia, mistero, stranezze, avventure, come fanno molto bene Antonia Murgo, Wu Ming 4, Paolo Di Paolo, Luca Doninelli, Davide Morosinotto.
Mentre nella narrativa si fatica a trovare una letteratura scevra dalle problematiche sopra elencate, nella poesia e nelle filastrocche il campo è più libero, la ricerca è più raffinata, le scelte più coraggiose. Sembra che la poesia, essendo un linguaggio letterario poco frequentato, sia riuscita a trovarsi uno spazio di totale libertà, un luogo dove chi lo abita sente la possibilità di esprimersi puramente attraverso le parole, il suono, la metafora, il gioco linguistico. Da poco abbiamo festeggiato uno dei maestri in questa direzione: Gianni Rodari ci ha mostrato quanto la sua opera sia ancora attuale e prosegue in modo assolutamente personale in ‘poeti per bambini e per vecchi’ come Bruno Tognolini, che con le sue rime e filastrocche è tra i più importanti poeti italiani oltre che inestimabile raccoglitore di conte bambine (ora riascoltabili grazie all’archivio POLPA), autore di un universo di storie che vanno anche verso l’albo illustrato o romanzi fantastici. Ma abbiamo anche collane piccole, di nicchia ma di grande spessore, come Parola magica di Topipittori dove possiamo leggere grandi autrici come Silvia Vecchini e Giusi Quarenghi (che hanno in realtà nella loro produzione un’infinita possibilità di scritture che vanno dalla poesia agli albi illustrati, dalla narrativa al teatro), ma anche una grande poeta come Chiara Carminati che con Fuori fuoco ha dimostrato che la poesia e il lavoro certosino sulle parole possono essere preziosi anche nella narrativa.
Un’altra intuizione che hanno avuto queste due case editrici che abbiamo intervistato è stata quella di mettere sullo stesso piano della parola le immagini, l’aspetto grafico, la bellezza estetica del libro che non passa solo da ciò che le storie ci raccontano, ma anche da come ce lo raccontano. Le figure entrano a pieno titolo nelle narrazioni, e nascono così libri nuovi che fanno dialogare perfettamente immagine e parola, libri che non sono albi illustrati e nemmeno graphic novel ma semplicemente libri illustrati. In questa operazione tutte e due le case editrici sono andate a cercare vecchi testi, anzi vecchissimi, da far dialogare con nuovi illustratori e illustratrici e nuove riscritture. Alcuni esempi su questa linea sono Dino Buzzati con I topi illustrato da Lorenzo Conti, Virginia Mori che interpreta visivamente una bellissima riscrittura di Barbablù di Beatrice Masini in Blu, un’altra storia di Barbablù, Sergio Ruzzier che con i suoi acquerelli solo apparentemente comici riesce a sottolineare e si fa camera d’eco alla sorridente perfidia delle fiabe nere e dei racconti di Florence Parry Heide, Favole a cui non badare troppo e Storie per bambini perfetti. Infine ricordiamo il recupero di grandi classici ormai perduti e dimenticati come Edward Gorey e Lorenzo Mattotti con il suo capolavoro Pinocchio, e non da meno un bellissimo libro illustrato da Franco Matticchio e scritto magistralmente da Nicola Cinquetti, Ultimo venne il verme.
Concluderei con una frase di Anna Toscano che, recensendo il libro di poesie per adulti di Giusi Quarenghi Basuràda (edito da Book Editore Poesia nel 2017) in un articolo uscito per minima&moralia, scrive dell’impresa di parlare delle infinite piccolissime cose: «Ci vuole coraggio per essere foglie», come ci vuole coraggio a poetare sulle foglie, sul loro essere tutto e poi nulla, sul loro cadere per un piccolo giro di vento. È dire in versi il dicibile che rende il poeta straordinario, è «l’alfabeto senza suoni / senza gesti e senza parole senza se non impedito / senza mente» [Toscano, 2021].
Ecco cosa vorrei dire agli scrittori e alle scrittrici italiane: ostinatevi anche voi a trovare belle storie da raccontare, e il coraggio di parlare delle foglie e del loro essere tutto e poi nulla.
Bompiani (Milano)
Bompiani è una casa editrice che nell’editoria per ragazzi e ragazze ha una grande storia, a partire dalla nascita nel 1930 delle collane I libri d’acciaio e Le strenne per i giovani dove escono, tra gli altri, grandi capolavori e classici della letteratura per l’infanzia: Mary Poppins, I ragazzi della via Pal, Il piccolo principe. Nel 2016 Bompiani viene acquisita da Giunti, altra storica casa editrice di libri per l’infanzia. Questo connubio Giunti-Bompiani, grazie alla preziosa presenza dal 2013 di Beatrice Masini, editor, scrittrice, traduttrice, esperta di letteratura per l’infanzia, darà vita al progetto editoriale di cui desideriamo parlare, che comprende Ragazzi illustrati e Ragazzi narrativa.
La filosofia della collana è quella di pubblicare pochi titoli all’anno, preziosi e ricercati, e di mescolare vecchio e nuovo, recuperando grandi autori scomparsi dimenticati (Florence Parry Heide, Edward Gorey, Rumer Godden, Silvio D’Arzo, Orsola Nemi), e lavorando intensamente nella ricerca di nuovi talenti italiani che possano inserirsi perfettamente nella tradizione della buona letteratura per l’infanzia (Murgo, Carminati, Vecchini, Di Paolo, Ilaria Rigoli).
Oltre alla ricerca di libri che in qualche modo si allontanano dalle mode e dai fenomeni di brevissima durata, si sente forte il ruolo di editor di Beatrice Masini, la cui cura e attenzione, tanto silenziosa quanto preziosa, si avverte in tutti i libri da lei pubblicati, e in misura ancora più evidente in libri come Il piccolo regno: una storia d’estate di Wu Ming 4, Miss Dicembre e il Clan di Luna della giovanissima Murgo, e anche in un romanzo – che credo verrà presto definito un classico della letteratura italiana – come Fuori fuoco di Carminati. Masini riesce a creare un rapporto virtuoso con gli scrittori e le scrittrici che sceglie, un rapporto dove la sapienza e la conoscenza della letteratura per l’infanzia si impasta nelle loro storie attraverso un lavoro certosino fatto di parole, suggerimenti di libri da leggere e tanta attenzione a ogni minimo particolare sia formale che narrativo.
Se dovessi cercare una sua antenata nelle editor della letteratura per ragazzi la troverei in Donatella Ziliotto, perché come lei è andata alla ricerca di ciò che c’è di meglio nella letteratura per ragazzi e ragazze, e per il sodalizio che è riuscita a costruire con autori e autrici (basti pensare alla sodale amicizia e al grande lavoro che ha accompagnato tutta la produzione di Silvana Gandolfi in Salani). Come la stessa Ziliotto, che Faeti nominò come una delle ‘tre grazie’ della letteratura per l’infanzia, Masini si è impegnata personalmente nella scrittura, sia sul fronte della traduzione che della produzione in proprio, con libri sia per l’infanzia che per adulti: è la ‘quarta grazia’ della letteratura per l’infanzia italiana, e il risultato ad ora sono già tre premi Strega ragazze e ragazzi: Carminati con Fuori fuoco, Doninelli con Tre casi per l’investigatore Wickson Alieni, Murgo con Miss Dicembre e il Clan di Luna.
Intervista a Beatrice Masini, direttrice editoriale
Cara Beatrice, ci racconti come è iniziata l’avventura delle due collane per ragazzi e ragazze, Ragazzi illustrati e Ragazzi narrativa, all’interno di Bompiani? E come Bompiani si è modificata nel tempo e nel passaggio da RCS a Giunti? Com’è formato il gruppo che ci lavora?
Quando sono passata da Rizzoli a Bompiani alla fine del 2013, con alcuni degli autori e autrici italiani non ancora pubblicati ma già sotto contratto per Rizzoli si è deciso di continuare il cammino insieme sotto un altro marchio. Penso a Carminati con Fuori fuoco e a Di Paolo con La mucca volante: proprio loro sono stati gli apripista della narrativa per ragazzi Bompiani, che idealmente si riconnetteva con le scelte nobili e insolite di Valentino Bompiani, per la sua curiosità a vasto raggio, molto attento anche alle scritture per i più giovani (penso a Mary Poppins, a Il piccolo principe, alle Storie della preistoria di Alberto Moravia, a Adalbert Stifter). Sia Chiara che Paolo sono stati finalisti della prima edizione del Premio Strega ragazzi e ragazze, e Fuori fuoco l’ha vinto. Intendiamoci: autori così stanno bene ovunque; però facevano già parte di un disegno volto a mettere in vetrina buone scritture estranee a mode, tendenze od occasioni. E per me è stato un po’ come chiudere il cerchio, o tornare a casa, perché proprio per i Delfini Bompiani avevo cominciato a lavorare nel 1995 come redattrice e poi editor, e nei Delfini erano usciti i miei Ciao, tu, Se è una bambina, L’afano nello zaino.
Il gruppo di lavoro per Bompiani ragazzi è piccolo e non esclusivo, non c’è un editor ma ci sono più persone animate da interessi concordi. Beatrice Gatti è la caporedattrice (anni fa è stata ufficio stampa dei libri per ragazzi Fabbri, quindi anche qui tutto si tiene) e a dare una mano come lettori e cercatori ci sono Paolo Maria Bonora, redattore dei tascabili e della poesia, uno dei primi volontari del festival Mare di libri, e Chiara Lurati, redattrice di narrativa.
Nella scelta delle pubblicazioni quali sono i criteri che segui? Puoi definire la linea editoriale che caratterizza la collana per ragazzi e ragazze Bompiani?
Non ci sono preclusioni di generi, mentre per l’età andiamo dai 3-4 ai 13-14 anni. Più storie e romanzi che albi, un po’ di poesia. Alcuni possono essere libri ‘con’ ragazzi che sono ‘per’ tutti, ma perché sono intrinsecamente così. Ho osservato e anche praticato i crossover in passato, ma perlopiù mi sembrano creature strane nate in laboratorio; gli unici che ho visto mettersi in marcia sul serio e trovare il loro pubblico trasversale sono quelli inconsapevoli.
Da una parte io vedo grandi recuperi sia italiani che stranieri (Nemi, Godden, Heide, Gorey) dall’altra un lavoro certosino con autori e autrici; e sono nati libri che senza il tuo occhio severo e il tuo importante lavoro di editing non ci sarebbero stati, sia con autrici ormai affermate (come Carminati, Vecchini e Nadia Terranova) che con giovani voci che sei riuscita a scovare, come Murgo e Rigoli, o con autori per adulti come Wu Ming 4 e Di Paolo. Ci sono degli elementi che consideri fondamentali nella poetica dei libri che scegli? Ci sono ingredienti che credi siano necessari per pubblicare libri di qualità?
Devono essere libri diversi, singolari, di scrittura accurata, anche quando si tratta di esordi. Benvenuti gli autori e le autrici da grandi, ma solo se hanno qualcosa da dire sul serio ai bambini (penso a Doninelli e al suo Wickson Alieni, altro Premio Strega ragazze e ragazzi, o a Terranova che sta da sempre in entrambi i mondi). Poi ci sono i ripescaggi e le scelte di libri del passato mai pubblicati in Italia: guardando indietro si scoprono gemme.
In questi libri c’è una grande attenzione all’immagine e alla grafica, copertine spesso bianche con un'immagine molto pulita, un formato nuovo e davvero bello. Anche qui nella ricerca estetica mi pare che ci sia una cura molto attenta. Cosa sta dietro a questa cura, quali i criteri teorici che ti hanno portato a fare delle scelte così precise?
Come succede spesso, è tutto nato per una serie di casi intrecciati in un esito felice: la necessità di fare uso di un formato già esistente alla Bompiani, pensato per la saggistica, piccolino e compatto, e il lavoro di una delle grafiche che hanno lunga consuetudine col marchio, Paola Bertozzi: l’idea delle parentesi graffe è sua, come la scelta del fondo bianco, dettata dal fatto che certamente per Fuori fuoco volevamo ricorrere a una foto d’epoca (rinfrescata con l’aggiunta del fiocco rosa al collo dell’asina) e per la mucca di Di Paolo c’era l’esigenza di valorizzare i disegni buffi e disarmanti dell’autore. Dalle prime due copertine siamo semplicemente andate avanti, con qualche variazione sul tema (le Godden sono colorate, per esempio, e sorelle tra loro).
Rispetto agli autori e alle autrici italiane credo che tu sia riuscita a fare qualcosa di unico e speciale, far capire loro che potevano osare sia nella forma che nella narrazione, che potevano fare libri difficili e belli insieme senza preoccuparsi della vendibilità e men che meno dell’argomento trattato, diciamo che sembra che si sentano liberi di esprimersi al meglio. Cito solo tre titoli come esempio di questa riuscita letteraria: Fuori fuoco di Carminati, Il piccolo regno di Wu Ming 4, Prima che sia notte di Vecchini. Ci racconti come sono nati questi tre libri e come hai lavorato con loro?
Di Chiara un poco ho già detto: il patto con lei era che scrivesse di Grande Guerra (c’era un anniversario in avvicinamento) ma solo se le veniva naturale, e la storia di Jole è sbucata un po’ dalle fotografie che ha guardato da tante sue letture di diaristica. Con Wu Ming 4 avevamo parlato qualche volta di fantastico, lui è un grande esperto di Inklings e dintorni, e sentivo che avrebbe potuto scrivere per ragazzi, gliel’ho detto, ma lui non era convinto. Ho aspettato. Con Vecchini era sfumato un progetto per Rizzoli (Vetro, poi uscito con Fulmino) ed era rimasto il desiderio di lavorare insieme. Ho aspettato. Molto spesso si tratta solo di questo: parlarsi, e aspettare. Io poi non credo di essere un’editor invadente, do suggerimenti, più che altro, poi uno li adatta ai propri toni, segnalo dove non sono chiare delle cose, se galleggiano parole che suonano male o sono fuori luogo, se c’è una sfasatura fra l’intenzione e la voce di un personaggio, se risulta poco credibile quando parla. Ho le mie manie, come tutti. Certe parole che detesto. E poi è tutto un togliere e mettere virgole, che sono la cosa più arbitraria del mondo però hanno una loro ritmica. È molto divertente, litigare sulle virgole: vuol dire che tutto il resto è a posto.
Nella tua biografia romanzata della Alcott [Masini, 2022], oltre a farci conoscere meglio questa grande scrittrice, ci racconti come per una scrittrice come lei l’editoria sia anche un modo per vivere, e non solo per produrre capolavori. Come riesci all’interno di un mercato che è sempre più di corsa e sempre più alla ricerca del best seller a far star dentro queste due caratteristiche, che il libro venda e che sia bello o di qualità?
Nutro ancora l’illusione che un libro bello e di qualità prima o poi il suo posto nel mondo lo troverà. Ci sono libri belli che vendono, ci sono sempre. Magari è questione di tempo, a volte si arriva troppo presto, ma meglio presto che tardi, preferisco essere fuori sintonia rispetto alle tendenze generali che inseguirle, sul breve periodo fare editoria imitativa può anche rendere ma alla lunga no. Ed è molto più appassionante poter assistere al momento magico in cui un libro capta e riflette la luce che si meritava fin dall’inizio. Ci vuole pazienza. Quello dell’editoria è un mestiere che richiede azzardo, velocità e insieme pazienza. Strano, tutto insieme.
Nello stesso libro, altro tema che tocchi rapidamente e in modo abbastanza polemico è quanto oggi, attraverso i social, si parli spesso di libri senza mettere in atto una vera e propria critica. Come casa editrice qual è la vostra idea di comunicazione per i vostri libri? Cosa pensi della critica letteraria oggi rispetto al passato?
Il problema è trovare per la comunicazione una voce che riesca a rappresentare libri diversissimi, dalla biografia del grande regista al premio Nobel al classico contemporaneo all’esordiente italiana ai libri per ragazzi. Non è sempre facile, continuiamo a metterla a registro, questa voce, insieme a chi si occupa di social media, tutti i giorni.
Quanto alla critica letteraria, preferisco limitarmi a dire la mia sul mondo dei ragazzi, che conosco meglio, e sul mondo di quotidiani e riviste, lasciando da parte l’accademia: rispetto a qualche anno fa c’è molto più spazio sui giornali e sui supplementi, ma non mi pare che sia cresciuta di pari passo la capacità d’analisi, di collegamento, la profondità di sguardo. A volte ho la sensazione che quello spazio venga generosamente concesso soprattutto alle belle figure, e tutto si riduca a quello, a un allestimento. Poi ci sono le eccezioni: qualche volta sono autori che scrivono di autori, oppure studiosi di lungo corso. Penso a Letizia Bolzani della Radiotelevisione svizzera e della rivista Il Folletto, a Loredana Lipperini, di vastissime conoscenze letterarie che abbracciano anche il mondo dei libri per ragazzi, o a Igiaba Scego, precisa e puntuale sempre, su Internazionale (Scego e Lipperini sono anche autrici Bompiani, sì. Però da grandi).
Quali sono i tuoi progetti in Bompiani? E cosa rimpiangi di non aver mai pubblicato?
Per bambini e ragazzi direi che finora ho pubblicato i libri che desideravo, sempre, senza rimpianti. Pochi, ma tutti molto desiderati. Nella primavera del 2023 usciranno i Tascabilini, la versione mini di quattro titoli importanti: i due di Carminati, Vecchini, Wu Ming 4. E poi sono in arrivo un paio di album molto belli, uno francese nuovissimo, uno americano anni Sessanta, un’esordiente italiana, un classico inedito per il nostro Paese. L’idea è di continuare a guardare a tutto campo, in libertà.
Ci sembra che in tutti questi anni di lavoro editoriale ti sia costruita una tua idea molto chiara di cosa vuol dire scrivere per ragazzi e ragazze, puoi raccontarcela? Che consigli daresti a chi si avvicina oggi al mondo della scrittura per bambini e bambine?
Bambino al centro (non un soggetto o un tema, il bambino con il suo mondo e il suo sguardo che diventa una storia), ricerca formale (che può anche sfociare nella più assoluta, squisita semplicità), letture solide (bisogna sapere in che orizzonte ci si muove, anche solo per il gusto di essere diversi, di essere sé stessi).
Sono oltre vent’anni che lavori nell’editoria e in particolar modo nell’editoria per l’infanzia, con uno sguardo particolare alle/agli adolescenti. Se dovessi raccontare la tua storia editoriale rispetto alla letteratura per l’infanzia, quali sono state le tappe fondamentali? Cosa è cambiato in meglio e cosa invece è peggiorato? Quali sono i momenti importanti di questa tua lunga storia editoriale? E quali gli incontri preziosi? E come ti sembra sia cambiato il tuo ruolo e sono cambiati i tuoi obiettivi nel corso del tempo?
Non ho mai pensato alle cose fatte in termini di percorso e tappe, è tutto così casuale; ci sono state svolte e occasioni, questo sì. Negli anni Ottanta del Novecento, quando ho cominciato a occuparmi di letteratura per ragazzi da lettrice avida e aspirante autrice, c’erano poche persone che ne sapessero davvero qualcosa, in molte case editrici c’erano ancora redattori generici, che potevano occuparsi oggi di un libro di cucina, domani di una Bibbia, dopodomani di un grande autore per ragazzi con la stessa professionale neutralità. E la figura dell’editor come cercatore d’oro non aveva nemmeno un nome per essere chiamata (ma gli editor c’erano eccome, beninteso. Pochi e bravissimi: Forestan, Lazzarato, Ziliotto ecc.). C’era tantissimo da leggere e da scoprire e, anche se le grandi collane erano già nate, c’era posto per progetti e nuovi spazi. Questo mondo ha continuato a crescere, a farsi più interessante e competente, anche più potente grazie a successi che non hanno nulla da invidiare a quelli del mondo degli adulti. E c’è sempre del nuovo da fare e cercare perché i bambini sono sempre gli stessi e insieme cambiano di continuo, perché come lettori non hanno aspettative, chiedono solo di farsi sorprendere dalle storie e dalle figure. Non è magnifico?
Un episodio che ricordo sempre con un sorriso è avvenuto alla Fiera di Bologna nella primavera del Duemila: non so per quale insana forma di senso del dovere c’ero con mia figlia Emma, che aveva quattro mesi. A pensarci adesso mi sembra una cosa da matta. Un andirivieni complicatissimo fiera-hotel per fare tutto (le donne vogliono sempre fare tutto, non possono farne a meno). E poi questa istantanea: Pitzorno e Ziliotto come fate madrine chine sulla carrozzina a quadretti bianchi e blu con dentro una bimba piccola vestita di lana rosa chiaro.
Tu scrivi sia libri per l’infanzia che per adulti: che differenza vedi in questi ruoli e come ti approcci a essi?
Comanda la storia, comanda e guida. Io la seguo e aggiusto il viaggio ricorrendo di volta in volta al corredo di parole che mi pare più giusto.
Nuove voci si stanno affacciando nella nostra cultura letteraria e non solo, nuove lingue che raramente venivano pubblicate trovano nell’editoria per gli adulti spazi editoriali. Come ti poni di fronte a tutto ciò? Quali sono le linee editoriali rispetto a questo nuovo che avanza?
Sul fronte della narrativa per adulti l’attenzione e la curiosità sono molte, quindi leggo quello che posso, in traduzione, ovviamente, e poi si corrono rischi (vedi sopra). Penso agli autori e autrici dall’Iran (Mahsa Mohebali, Mohammad Toulouei), a Johka Alharthi dall’Oman, a Leo Vardiashvili (che è georgiano e scrive in inglese), all’indonesiano Faisal Oddang, alla poetessa e scrittrice russa Maria Stepanova, ai poeti turchi, bulgari, coreani, persiani della collana CapoVersi. Avrei amato pubblicare Tove Ditlevsen, grande autrice danese di una trilogia crudele, Infanzia, Gioventù e Matrimonio/Veleno . Lo sta facendo molto bene Fazi, bravi, l’importante è che si possa leggere in italiano.
Per ragazzi abbiamo acquisito un album lettone, Laimes bērni di Luïze Pastore, premio speciale della giuria al Bologna Ragazzi Award 2022, un’avventura nella giungla sudamericana, un libro che sembra un reportage ma corre su un filo di inquietudine diffusa, perché non sai se quello che ti sta dicendo e mostrando è vero. E alla fine non è così importante.
Che cos’è per te leggere? Perché abbiamo bisogno di leggere buoni libri? Pensi che leggere serva a qualcosa?
Leggere non serve a niente, e non posso passare un giorno senza leggere.
Pelledoca (Milano)
Lodovica Cima, che ha alle spalle una carriera di editor (merito suo sono la pubblicazione in Italia, per esempio, di Timothée de Fombelle e Anne-Laure Bondoux), di scrittrice per l’infanzia, di esperta di letteratura per l’infanzia e attenta conoscitrice dei bisogni di giovani lettori e lettrici, crea a Milano nel 2017 una nuova casa editrice: Pelledoca. La filosofia è molto chiara e dichiarata già dal titolo: pubblicare solo libri ad alto tasso di mistero, noir, thriller. Nascono così libri molto forti che hanno come tema o come atmosfera generale la paura, il buio, i segreti. L’altra sfida della casa editrice è creare un catalogo lavorando a stretto contatto con giovani autori e autrici del nostro Paese, spesso esordienti, attraverso una grande cura dei testi: la volontà è non solo di far uscire libri belli, ma anche di far crescere nuove generazioni di scrittori e scrittrici.
A questo lavoro certosino vengono affiancati anche grandi classici del genere horror reinterpretati: è il caso del libro I topi di Dino Buzzati, illustrato da Lorenzo Conti, uno dei libri manifesto di Pelledoca. Le prime due collane della casa editrice (Neroinchiostro e Occhiaperti) ci mostrano da subito il desiderio di mescolare narrativa e illustrazione, cercando quindi di superare il pregiudizio che i libri per immagini sono sempre e solo per i più piccoli. Come la collana Neroinchiostro, Occhiaperti propone infatti letture noir, ma attraverso forme narrative che sono a cavallo tra l’albo illustrato e il graphic novel. A queste due collane si aggiunge Piccole piume, che si rivolge ai più piccoli, grazie all’esperienza più che trentennale di Lodovica Cima, che ha curato per molti editori collane per le fasce più basse. Resta, comunque, anche in queste storie per piccoli, lo stesso obiettivo: devono essere belle storie che fanno paura. Un patto di alleanza con i piccoli lettori e lettrici, a dichiarare che nella finzione possiamo avere paura, perché a ogni passo possiamo comunque chiudere il libro e affrancarci dal terrore.
Intervista a Lodovica Cima, direttrice editoriale
Cara Lodovica, Pelledoca nasce con un progetto editoriale molto chiaro: offrire ai ragazzi e alle ragazze, come dite nella vostra presentazione, «Storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. Abbiamo fatto una scelta precisa, scegliendo di occuparci solo di thriller, noir e mistero. Esplorare la paura e amplificarla con l’immaginazione è una grande sfida». Ci racconti com’è iniziata questa avventura? Com’è nato questo nuovo progetto editoriale e come è formato il gruppo che ci lavora?
Pelledoca è nata dalla passione dei tre soci: Susanna Busnelli, Andrea Camerana e la sottoscritta. Abbiamo studiato molto prima di cominciare, applicando un metodo che da trent’anni io uso anche per progettare. Partiamo dal basso, dai lettori, cerchiamo di osservarli, di parlare con loro e di conoscerli a fondo, di capirne i bisogni. Facciamo tesoro delle loro richieste e uniamo il nostro know-how, oltre allo studio sempre aggiornato di psicologia dell’età evolutiva e di pedagogia. Questo mix ci ha portato poi a fare una scelta più imprenditoriale: creare una casa editrice di progetto, non generalista e facilmente identificabile.
La paura in tutte le sue declinazioni è l’oggetto della nostra attenzione. Siamo piccolissimi e siamo una squadra di tre persone, con uno studio grafico esterno con il quale ci capiamo a meraviglia, Bebung, che ci cura tutta la parte di impaginazione e grafica. Io sono il senior editor (o direttore editoriale) e sono la persona che progetta le collane, cerca autori, illustratori e segue tutta la filiera di produzione. Proprio perché siamo piccoli possiamo condividere molto e curare in modo rigoroso la nostra immagine in modo da non tradire mai i nostri lettori.
Se l’obiettivo è di pubblicare solo storie che suscitino emozioni forti in lettori e lettrici e li rendano più capaci di affrontare le sfide che la vita porrà loro di fronte, come vi ponete nel lavoro con autori e autrici o come avviene la selezione dei testi? Quali sono i testi che più di tutti vi pare siano riusciti in questa meritevole impresa?
Determinante nella scelta è la voce dell’autore e l’alto livello di emozioni forti nella storia, come avete già specificato. Le proposte nel catalogo sono tante e diverse anche per livello letterario dei testi, ma questo ritengo sia proprio il lavoro di un buon editore, nel senso che abbiamo il dovere e il piacere di offrire anche storie che funzionino per i lettori meno esigenti o più diffidenti.
Sono in percentuale molto alta autori e autrici del nostro Paese, alcuni già affermati, altri poco noti o esordienti: come mai questa scelta?
Io tengo moltissimo al mio lavoro sui testi, lo faccio da trent’anni e ho il sogno di portare la letteratura per ragazzi italiana sempre più avanti per qualità e sensibilità letteraria. Sono felice quando i nostri autori vengono apprezzati all’estero e quando evolvono, migliorano, raccolgono nuove sfide. Li supporto sempre come posso. Lavoro con gli esordienti perché mi piace essere generativa e perché credo che sia importante far crescere nuove generazioni di autori. Pelledoca ha organizzato un contest di scrittura gratuito di quasi un anno e ho seguito personalmente i dieci candidati che hanno passato la selezione. Un lavoro che si sovrappone a quello della casa editrice, ma che arricchisce tutti in modo profondo. Si lavora sulle storie e sullo stile in modo condiviso e possono nascere occasioni importanti di scambio o di creazione. Nel catalogo Pelledoca sono presenti anche titoli di autori e autrici che non si erano mai misurati nella scrittura per ragazzi e che hanno raccolto la sfida con entusiasmo. Insomma, lo scouting è a tutto tondo. Riguardo ai pochi stranieri presenti in catalogo, scegliamo il meglio, ma dobbiamo anche combattere con editori più grandi che hanno opzioni o preempt importanti e che non ci danno la possibilità di entrare in asta per aggiudicarci un titolo, magari pluripremiato. È il difetto di essere piccoli: hai meno potere contrattuale all’estero, però sei più agile e puoi essere più creativo nelle decisioni o soluzioni.
Dichiarate che i libri che fanno paura fanno bene, perché nella finzione, come nella fiaba e nel mito, possiamo osare senza farci male. Del resto, già Lacan affermava che le fiabe sono necessarie nella prima infanzia perché forniscono gli strumenti per poi superare le avversità. Quali sono i motivi per cui avete pensato di offrire ai ragazzi e alle ragazze questa modalità che una certa visione pedagogica potrebbe criticare?
Vi ringrazio di aver citato Lacan, lo studio ci accompagna sempre e quindi cerchiamo di tenerci sempre aggiornati. Ma noi rispondiamo prima di tutto a un bisogno che abbiamo raccolto dai lettori. Sono loro che vogliono esplorare la paura e che hanno sete di storie senza sconti.
E come nasce, e come mai, la riscrittura di una fiaba terribile come quella di Barbablù [Masini - Mori, 2017]?
Le fiabe, in Italia, sono erroneamente classificate come storie per piccoli. In realtà è un bacino ricchissimo di materiale per creare pensiero sulle paure. La fiaba di Barbablù è tra le più terribili e parla di femminicidio, quindi è attualissima e si presta a innumerevoli riflessioni. Beatrice Masini, autrice sensibile e oserei dire quasi perfetta, se l’è presa a cuore e l’ha portata avanti di un livello rendendola una storia da grandi (e per grandi si intende lettori dagli 11 anni). Virginia Mori è stata scelta da noi perché ci sembrava nata apposta per accompagnare questa storia.
Nella collana Occhiaperti testo e immagine dialogano, c’è un’attenzione particolare all’illustrazione: infatti dichiarate che gli occhi devono stare incollati alla pagina. Solitamente i libri illustrati sono pensati per la primaria, voi invece avete sfidato le regole del mercato, e i lettori e le lettrici adolescenti, con libri che intrecciano perfettamente testo e immagine, dando ai due linguaggi la stessa importanza, creandone così testi che stanno a cavallo tra l’albo illustrato e il graphic novel. Come mai questa sfida? E come vi pare sia stata accolta?
La collana Occhiaperti è la nostra maggiore scommessa, perché è un ibrido, come avete definito anche voi. Mi piace dire che un libro Occhiaperti è un libro-ponte: offre un buon racconto lungo con ottime caratteristiche narrative, ma ha le illustrazioni o, in qualche caso, anche strisce o tavole di fumetto, per contaminare i linguaggi e coinvolgere anche i più restii. Non esiste nulla di simile in Italia e, una volta superata la diffidenza dell’adulto che è mediatore, i ragazzi apprezzano molto la formula. Questa collana ha avuto un apprezzamento più lento di Neroinchiostro, ma ci sta dando delle piccole soddisfazioni perché stiamo ristampando numerosi titoli.
Altra scelta molto coraggiosa, da noi molto apprezzata, è stata quella di recuperare un racconto di Buzzati, I topi, (che si trova nella raccolta La boutique del mistero) e ridarle nuova vita attraverso le immagini di Lorenzo Conti. Come è stato accolto e quali sono state le reazioni del giovane pubblico? Avete altri progetti di questo tipo in cantiere?
Siamo nati a Milano e siamo milanesi, tutti fan di Buzzati. I topi è stato il nostro manifesto iniziale. Il testo che ci ha presentato al mondo. Abbiamo scelto lui perché è il modello giusto per noi. Non tutti i ragazzi italiani sanno chi è Dino Buzzati, ma tutti si emozionano leggendo il suo racconto. Abbiamo fatto centinaia di letture e laboratori su questo racconto e ancora ce lo chiedono dopo cinque anni. I grandi autori e le grandi autrici sono per me un riferimento imprescindibile. Sono nutrimento quando sono incerta e sono ancora da esplorare. Abbiamo in lavorazione un’altra proposta di un grande autore ma, per scaramanzia, non voglio anticipare troppo.
Nella collana Neroinchiostro ci sono libri fortemente disturbanti: prendo per tutti lo splendido e coraggioso Santa Muerte di Marcus Sedgwick, autore molto importante oltremanica ma praticamente sconosciuto in Italia, forse proprio per questo suo taglio. Si tratta di un romanzo di formazione, immerso però in un contesto preciso che è un atto di denuncia sul presente: c’è il confine tra Messico e Stati Uniti e i drammatici tentativi di migrazione, c’è la malavita locale, lo sfruttamento, la violenza sulle donne, un orizzonte senza speranza. Ci racconti qualcosa su questa scelta?
L’ho letto più volte prima di decidere, ma ogni volta trovavo spunti di luce in questa storia durissima e amara. Quindi ho deciso di osare. Ho preso un impegno con i miei lettori: quello di non edulcorare nulla e questo romanzo rispetta totalmente la scelta. I ragazzi si sentono presi sul serio e non hanno paura di confrontarsi, dopo la lettura.
La collana Piccole piume copre un vuoto, che è la narrativa per la scuola primaria, perché rari sono i casi di libri belli per questa fascia d’età. Data la tua grande esperienza sulle prime letture quali sono gli obiettivi che ti hanno spinto a creare questa collana, e quale lo spirito?
È in questa fascia di età che si creano i lettori ed è la fascia più maltrattata in Italia. Io non l’ho mai abbandonata come autrice, e come editore cerco di fare del mio meglio. Pelledoca vuole qualità e cerca piccole chicche letterarie, non scrittura di mestiere. Almeno ci prova. Questi bambini se lo meritano.
Una domanda antipatica: devi presentare lo spirito della tua casa editrice, e hai a disposizione solo due libri del catalogo. Quali scegli?
Santa Muerte di Sedgwick e Ti ho visto di Sara Colaone.
Quali sono i libri nel cassetto?
Abbiamo un programma intenso per il 2023, sono contentissima. Tanti esordienti, un autore ‘anziano’ di talento infinito e un illustratore con la ‘I’ maiuscola per reinterpretare un classico. Potenzieremo le nostre tre collane per costruire un catalogo sempre più solido. E per il 2024 qualche pensiero per una nuova collana, ma è troppo presto per parlarne.
Altre voci: l’apertura a lingue, culture, paesi finora poco battuti
di Nicola Galli Laforest
Ancor più che l’editoria per adulti, il settore specifico per ragazzi e ragazze in Italia è rimasto a lungo molto ancorato all’importazione da pochi paesi e troppo impermeabile rispetto alla possibile traduzione di opere da identità geografiche e culturali altre. Fatti salvi casi molto rari, pochissimo o quasi nulla è arrivato dagli altri continenti (con l’ovvia eccezione degli Stati Uniti che, anzi, coprono una fetta decisamente importante del mercato in entrata) e neanche la maggior parte di lingue e Stati europei hanno avuto, e hanno ancora, spazi. Più aperto è senz’altro il mercato dell’albo illustrato e del fumetto (limitatamente ad alcune aree), mentre la narrativa rimane chiusa anche rispetto a lingue e paesi contigui. Non ci sono ricerche o dati in questo senso, ma chi conosce l’editoria italiana sa bene che dall’intera Africa, dall’intero Oriente (Vicino, Medio, Estremo), dall’America del Sud, dall’Oceania, così come dall’Europa orientale si pesca quasi nulla, rispetto alla totalità. Nell’editoria per adulti in realtà, recentemente, si sono aperti filoni di ricerca rispetto ad altre voci, e alcune case editrici stanno facendo un meritorio lavoro di scouting e traduzione, con intento e risultato duplice: portare altri modi di scrivere, e spesso grande letteratura da un lato, e agire in senso politico dall’altro, dichiarando di fatto che il mondo deve essere davvero rotondo, abbandonare confini e baricentri totalizzanti.
Sulle ragioni di questo grande e difficilmente comprensibile vuoto molto bisognerebbe interrogarsi, oggi in proporzione ancor più di ieri, visto quanto in pochi decenni il mondo e i confini si siano drasticamente ristretti, tanto più che il nostro Paese ospita dal 1964 la più grande fiera mondiale del settore – la Bologna Children’s book fair – che ha proprio nella vocazione internazionale il suo punto di forza: già nel secondo anno di esistenza gli editori stranieri presenti erano 104 su 128 e nell’ultima edizione, quella di ripartenza dopo le chiusure dettate dalla pandemia, e dunque limitata, erano presenti 1.070 editori provenienti addirittura da 90 paesi, con il 40% dei visitatori arrivati dall’estero (Comunicato stampa). Un’apertura e una ricchezza enorme che rappresenta una grande eccellenza nel nostro Paese, ma che non ha alcun riscontro nella produzione editoriale, che solo in maniera assolutamente saltuaria, disordinata e davvero minima è in grado di ampliare la propria mappa di culture e tradizioni che escono dal piccolo alveo cui siamo tradizionalmente abituati. Una gigantesca quantità di occasioni mancate anche e soprattutto dal punto di vista degli sguardi possibili, del modo di intendere, percepire, raccontare il mondo e l’infanzia, a noi stessi, e al pubblico bambino. Scrive a proposito di questa assenza, pensando al suo paese, il traduttore, editor, autore inglese Daniel Hahn: «Se dicessi che i bambini del mio paese devono leggere solo libri scritti in inglese, equivarrebbe a dire che devono leggere solo libri scritti da autori del segno del Sagittario o da autori il cui nome inizia per vocale. Sarebbe una gran quantità di libri, sì, ma sarebbe anche una scelta totalmente arbitraria che taglia fuori il 90% del mondo» [Valvo, 2021].
Negli ultimi anni però, col favore di istituzioni nazionali e internazionali, e anche grazie alle meritorie, pionieristiche esperienze di piccoli e coraggiosi editori che a partire dai primi Duemila hanno spostato l’asse fortemente anglo e francocentrico aprendo soprattutto alle letterature nordiche, qualcosa va cambiando, e l’impatto è evidente ed estremamente felice. In particolare, un ruolo fondamentale va riconosciuto alle due romane apripista nate nello stesso anno, il 2002: Beisler, che ha subito iniziato a portare autori e autrici soprattutto da Germania, Olanda, Svezia, Norvegia, tra cui nomi di primissimo piano come Jutta Richter, Maria Parr, Ole Könnecke, e La nuova frontiera junior, che pur tenendo largo il campo di azione, è ampiamente attiva sugli stessi Paesi (tra i nomi eccellenti gli olandesi Annet Huizing, Sjoerd Kuyper, Annet Schaap) e, da missione originaria della casa madre, su quelli iberici (su tutti Isabel Minhós Martins), altrimenti inspiegabilmente rari sui nostri scaffali.
A confermare questa attenzione verso il Nord e ai suoi modi differenti di sentire l’infanzia, c’è il merito dell’emergente e dell’instancabile lavoro di persone come Anna Patrucco Becchi, giustamente premiata nel 2019 anche con il Premio Strega ragazze e ragazzi per le sue belle traduzioni dal tedesco e dal nederlandese. Questo clima finalmente favorevole ha consentito il nascere di realtà davvero interessanti, alla costante e rigorosa esplorazione di scritture altre, con sensibilità, immaginari, visioni d’infanzia, nuovi modi di giocare con la lingua. Ecco che arrivano personaggi bambini diversi, come diversi sono gli adulti, e le relazioni che tra loro intercorrono: la sensazione è davvero di aria fresca, di essere immersi in qualcosa di diverso nelle atmosfere che questi testi, pur con il filtro della traduzione, portano. Va anche notato che le traduzioni sono in questi casi sempre ottime, attente, rispettose e musicali.
Miniborei (Iperborea, Milano)
Nel 2017 Iperborea, casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani nel 1987, compie trent’anni di attività, tutta dedicata sistematicamente, con uno stile elegante e riconoscibilissimo sin dal formato unico, dalla carta, dalle impostazioni grafiche, alla traduzione di autori e autrici del Nord: classici e contemporanei dai Paesi scandinavi soprattutto, ma anche dalla letteratura baltica, nederlandese, canadese, islandese. Ha da poco dato vita, a Milano e in altre città, al festival I Boreali, dedicato alla cultura nordica, quando corona un sogno in attesa da sempre: tentare una collana per piccoli, tanto più che dalla Scandinavia vengono alcuni dei personaggi più importanti della letteratura per l’infanzia mondiale: Pippi Calzelunghe, per esempio, o i Mumin. Il progetto Miniborei si rivolge a diverse fasce d’età, dai 3 ai 14 anni, e sta portando opere con un approccio all’infanzia davvero diverso rispetto a quello mediterraneo, più libero, leggero, fatto di humour e autonomia.
Tra gli autori e le autrici di punta figurano Astrid Lindgren, Selma Lagerlöf, Katarina Taikon, Ulf Stark, Barbro Lindgren, Jakob Wegelius, spesso illustrati da artisti nordici.
Intervista a Cristina Gerosa, direttrice editoriale
In occasione dei trent’anni di vita, forse anche grazie al restyling grafico di poco prima che ha ampliato anche spazi di immaginazione, e sulla spinta dell’ottimo momento per l’editoria di settore, Iperborea si è fatta, e ha fatto al nostro paese, un regalo: è arrivata Miniborei, una collana tutta dedicata all’infanzia e alla preadolescenza, che sta portando anche per un pubblico giovane un vento nuovo. Ci racconti i mesi precedenti, quando avete iniziato a immaginare il contenitore (che però veniva da lontanissimo, vista la passione di Emilia Lodigiani per certa letteratura per l’infanzia), gli obiettivi, e a mettere in fila i primi titoli? Tra l’altro le tre uscite inaugurali sono già un manifesto, avendo scelto da un lato di mostrare anche una continuità col catalogo adulti, dando evidenza a due colossi come Astrid Lindgren e Lagerlöf, dall’altro di avvicinare a queste un gigante della contemporaneità, che ci aveva appena lasciati.
Ho incontrato Ulf Stark e sua moglie Janina Orlov nel 2015, loro erano a Milano per un seminario di traduzione organizzato da Laura Cangemi, e abbiamo passato una magnifica serata insieme. Per me e per Emilia Lodigiani conoscere Ulf e i suoi libri è stato un vero e proprio colpo di fulmine! Una persona straordinaria e un autore fantastico, sembrava assurdo che non avesse un posto d’onore nelle librerie italiane tra i grandi della letteratura per l’infanzia. Alcuni suoi libri erano già stati pubblicati nel passato da Battello a Vapore e Feltrinelli, ma erano spesso introvabili o fuori catalogo. Dunque la prima reazione dopo quell’incontro così speciale è stata “dobbiamo subito aiutarlo a trovare un editore italiano”, ma poi il pensiero seguente è stato: apriamo una nuova casa editrice, una collana, pubblichiamoli noi! Negli anni precedenti al lancio dei Miniborei avevo letto tantissimi libri per ragazzi insieme ai figli del mio compagno ed è venuto facile e naturale, anche grazie al lavoro di restyling che avevamo appena fatto e alla fiducia che sentivamo da parte di lettori e librai, sentirci pronti per qualcosa di ‘nuovo’: c’era da cambiare formato, cosa impensabile fino a quel momento, immaginarci un nuovo contenitore e provare a esplorare un nuovo settore che ci è immediatamente parso tra i più ricchi, fertili, divertenti e creativi della cultura nordica. In Scandinavia la produzione era ed è di altissimo livello, la letteratura per ragazzi gode di una notevole considerazione e riflette spesso i temi della letteratura per adulti. In Svezia su dieci libri pubblicati due sono per bambini, spesso recensiti e discussi dai media più importanti. Già dagli anni Ottanta esiste in Svezia una cattedra universitaria di letteratura per ragazzi, ogni anno si premiano i libri migliori e le organizzazioni che incoraggiano bambini e ragazzi alla lettura.
Inoltre, come lei giustamente scrive, Emilia Lodigiani si è innamorata della letteratura nordica proprio attraverso le sue letture da bambina: dai Mumin, gli scanzonati, anarchici e nevrotici ‘troll’ filosofi di Tove Jansson, alla geniale Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, fino a Bibi, l’undicenne figlia di capostazione di Karin Michaëlis che poteva girarsene da sola in treno per tutta la Danimarca. Tutto questo per dire che pensare i Miniborei è stato semplice e spontaneo, quasi ovvio, ma ci è voluto Ulf Stark per prendere coraggio. Oltre a pubblicare tutta la sua opera, volevamo cercare narrativa di qualità per bambini e ragazzi, con una speciale attenzione ai grandi temi della letteratura nordica, all’accuratezza delle traduzioni, alle illustrazioni e anche al libro come oggetto, mischiando autori contemporanei alla riscoperta di grandi classici. Fondamentalmente volevamo provare a fare nel mondo dell’infanzia quel che abbiamo sempre fatto per il catalogo per adulti. E in effetti pensavamo che Stark, Selma Lagerlöf e Astrid Lindgren sarebbero stati i nostri autori ‘guida’. Nell’anno precedente al lancio della collana abbiamo cercato di studiare, ci sentivamo molto inesperti in questo settore, così ricco e dinamico anche in Italia, ma ci sono state persone molto importanti e generose che ci hanno guidato e saputo dare consigli preziosi, editori come Francesca Archinto di Babalibri, librai come Guido Affini della Nuova libreria Il Delfino, Vera Salton della Libreria dei ragazzi Il treno di Bogotà, Silvana Sola della Libreria per ragazzi Giannino Stoppani, e molti altri.
Prenderei proprio Ulf Stark, per tentare di inquadrare un modo diverso di intendere l’infanzia che, tagliando con l’accetta, distingue nettamente i ‘popoli nordici’ dai ‘popoli latini’, come già notava Paul Hazard quasi un secolo fa in un suo saggio ancora illuminante sulla letteratura per l’infanzia [Hazard, 1958]. Nils Holgersson (di cui avete ritradotto la versione integrale), Bibi, Pippi, sono personaggi che hanno libertà, domande e intuizioni rispetto alla vita che ritroviamo in tanti autori e autrici che state portando, ma che mancano nell’immaginario nostrano e che ce li rendono magnifici ma anche alieni (a noi adulti, non certo a bambini e bambine!). Come si colloca la visione d’infanzia di autori e autrici che scegliete, e di riflesso la vostra, rispetto a un momento storico in cui sembra che un libro debba per forza veicolare in maniera diretta grandi temi di attualità?
Se penso a Bibi, ai Mumin, a Nils Holgersson e a Pippi penso immediatamente all’idea di un mondo anticonvenzionale di libertà e indipendenza, di una natura magica e selvaggia e un mondo in cui fantasia, amicizia, curiosità e spirito di avventura erano i soli requisiti richiesti per cavarsela sempre nella vita. Personaggi con una libertà, una schiettezza e un’ironia tutte speciali, che negli anni hanno fatto scuola e che ancora oggi caratterizzano la visione d’infanzia del Nord Europa. Gli autori che pubblichiamo nei Miniborei, ma forse più in generale tutti gli autori nordici per ragazzi, non hanno mai paura di confrontarsi con i veri problemi della vita e della società. Ma sanno farlo in modo divertente e lieve, mai programmatico o superficiale. Penso a Ulf Stark, a Bjarne Reuter, a Jenny Jägerfeld: con grande naturalezza, grazia e ironia nei loro libri si parla dei grandi temi di attualità (malattia, morte, funerali, malattia mentale, genitori separati, questioni di genere o crisi di identità), ma non si tratta mai di libri ‘a tesi’, da leggere accompagnati da un adulto e pensati per aiutare il bambino in una situazione specifica. Sono storie autentiche e spesso divertenti che sanno parlare ai ragazzi della vita, quella vera. Credo che questo sia un aspetto molto sentito e molto speciale della letteratura nordica per ragazzi, una sensibilità che da editore siamo molto felici di portare in Italia.
Miniborei inizia ad avere all’attivo tanti titoli, che spaziano tra età e sensibilità, e immagino si inizi a creare una specie di mappa delle reazioni alle diverse uscite. C’è qualche titolo che vi ha particolarmente stupite, nel bene o nel male, per l’accoglienza che ha ricevuto? Ci racconti come avviene la fase di selezione delle proposte che entreranno poi in catalogo?
Sicuramente la mia più grande sorpresa è arrivata proprio dall’edizione integrale de Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson (667 pagine!) che ha venduto quasi diecimila copie, siamo alla terza edizione. Abbiamo deciso di pubblicarlo perché era importante farlo ma onestamente sembrava una grande impresa e non pensavamo di riuscire a venderne tante copie. E un’altra bella sorpresa è arrivata da Elise e il cane di seconda mano di Reuter, uno dei primi libri pubblicati dopo il primo durissimo lockdown del 2020. Era un momento davvero strano, non sapevamo cosa sarebbe successo a noi stessi ma anche ai nostri libri. E invece il romanzo di Elise è stato subito ‘preso per mano’ e amato da insegnanti, librai e giovani lettori, e siamo oggi alla settima ristampa. Rispetto alla selezione, pubblichiamo solo 7/9 titoli all’anno. Di questi, tre sono di Stark (e ne abbiamo ancora moltissimi da pubblicare) dunque non sono molti titoli da scegliere. Andiamo alle principali fiere del settore, monitoriamo i più importanti premi per la letteratura per ragazzi, e al tempo stesso riceviamo molte proposte da parte degli agenti e degli editori scandinavi: la scelta è spesso difficile ma ci aiuta molto lavorare a stretto contatto con bravissime traduttrici (che sono anche le nostre lettrici), prima tra tutte Laura Cangemi, ma anche Eva Valvo, Maria Valeria Davino, Silvia Cosimini, Samanta K. Milton Knowles che in questi anni ci hanno consigliato e fatto loro stesse delle proposte.
Domanda antipatica. Se dovessi presentare lo spirito dei Miniborei a chi non li conosce, avendo a disposizione solo due dei vostri titoli, quali sceglieresti di raccontare, e perché?
La grande fuga perché è l’ultimo libro di Stark, illustrato magnificamente da Kitty Crowther e pubblicato postumo. Racchiude tutti i temi e la poetica di Ulf, un inno alla vita e alla libertà, un’ode lieve che, con l’inconfondibile, tenero umorismo di questo gigante della letteratura per l’infanzia, tra qualche lacrima e molti sorrisi smuove temi pesanti come macigni, dall’amore tra le generazioni e tra i vivi e i morti fino al grande mistero dell’aldilà. E poi La scimmia dell’assassino di Jakob Wegelius perché è un grande libro d’avventura (e noi Iperborei amiamo l’avventura!) che sa restituire ai ragazzi e anche agli adulti quello straordinario piacere della lettura che è solo dei grandi della letteratura. Ovviamente senza mai perdere di vista i grandi temi della vita, come l’amicizia, la lealtà, l'amore e il potere della musica.
Come è formata la redazione?
In Iperborea siamo una squadra di sedici persone ‘interne’, più ovviamente numerosi collaboratori esterni, che lavorano però non solo sui Miniborei ma anche sui libri per adulti e gli altri nostri progetti, come The Passenger e Cose spiegate bene.
Io e Cristina Marasti ci occupiamo specificamente delle acquisizioni e della cura dei libri per l’infanzia, lo studio xxy ha curato il progetto grafico e disegna le singole copertine, Anna Oppes segue la parte commerciale e di promozione fin dall’inizio. Come accennavo sopra per le letture spesso ci affidiamo a persone molto vicine alla casa editrice come Laura Cangemi o Samanta K. Milton Knowles.
Kira Kira (Bologna)
Kira Kira nasce nel 2018 dalla passione di Elena Rambaldi per la cultura giapponese, in particolare per il libro per l’infanzia. Seleziona e traduce albi giapponesi mai arrivati prima, e parallelamente dà vita a libri originali, mescolando sensibilità nipponica e italiana. Caratteristica di tutti i titoli pubblicati è il raccontare storie quotidiane in cui il punto di vista bambino mostra in tutta naturalezza aperture al fantastico. Prima di diventare casa editrice, il progetto da due anni viveva sotto forma di blog (Kira Kira ehon), che portava all’attenzione di persone incuriosite a vario titolo dall’Estremo Oriente e dai libri, approfondimenti, recensioni, reportage, ritratti d’autore, curiosità provenienti dal panorama editoriale e culturale in senso più ampio giapponese. Accanto alla produzione di libri, Kira Kira organizza per i piccoli lettori e lettrici incontri, laboratori, mostre, letture animate nelle librerie e nelle biblioteche.
Intervista a Elena Rambaldi, editrice
Prima che come casa editrice, Kira Kira nasce come blog di approfondimento della cultura per l’infanzia giapponese. Hai mirato subito alto, con ritratti d’autore, racconti di progetti editoriali, interviste, percorsi tematici, reportage da mostre, sempre con un taglio molto caldo e personale, per la voce e per l’attenzione anche nelle tante immagini e fotografie. Insomma, hai raccontato un mondo, cercando forse di preparare un potenziale pubblico e anche te stessa al grande salto che poi in un paio d’anni è arrivato (e in un momento storico non facile, anche se maturo per accogliere questa novità). Ci racconti questa gravidanza, e il momento in cui Kira Kira ha deciso di nascere?
Quando ho aperto il blog l’intenzione principale era la condivisione. Era il 2016 e c’era questo desiderio profondo di raccontare le mie scoperte, le mie letture, gli albi, gli autori. Il simbolo del blog era un libro da cui uscivano delle stelle, in sintonia con il nome Kira Kira ehon, ovvero libri illustrati che brillano. Volevo mettere in luce quel modo di raccontare che tanto mi colpiva, raccontare il mondo giapponese che mi appassionava, dandogli però un taglio trasversale che passasse attraverso l’infanzia e la cultura che le ruota attorno. Libri, giocattoli, mostre, illustrazione sono le cose che più amo, che studio e ricerco e quindi è stato naturale coglierle in questa cultura che, pur così lontana, mi ha regalato un sentire che mi era molto affine. Per questo il tono del blog è informale e appassionato. Perché era come se raccontassi a un’amica o a un amico una cosa a cui tengo molto e che voglio donare attraverso le parole. Raccontare di albi e di autori che mancavano totalmente nel nostro mercato ha fatto scaturire qualche domanda di lettori che mi chiedevano: “ma esiste in italiano?”. Nonostante io la risposta la sapessi già, è come scattata una scintilla, o un brillio di stelle se vogliamo rimanere in tema, e ho maturato l’idea di condividere in un modo differente.
Kira Kira ha un campo d’azione molto preciso, e questo la rende immediatamente riconoscibile. Ma l’identità di un progetto editoriale è fatta anche di singole scelte e dell’ordine temporale in cui le si propone. Quasi tutti i vostri titoli sono traduzioni e di fatto potete pescare in un numero enorme di ottimi titoli; ma una piccola casa editrice deve fare scelte oculate: come ti muovi nella selezione delle uscite e nella pianificazione editoriale? Cosa ti fa scattare la scintilla?
Molti degli albi e autori fino a ora pubblicati, sono quelli di cui ho parlato nel blog. Era come un piano editoriale ideale da cui ora sto attingendo. Le scintille erano già scattate e sedimentate, ma il piano si è ampliato includendo nuove scintille e nuovi incontri. Cosa fa scattare la scintilla? Sicuramente un insieme di fattori. Gli albi che scelgo di pubblicare prima di tutto mi emozionano. Un’emozione profonda e istintiva che accolgo mettendomi in ascolto con una parte di me che non ho mai dimenticato. Ma questo non basta. Ho lavorato nel campo dei libri per bambini e ragazzi per tantissimi anni potendolo studiare da diversi punti di vista e sono anche un’appassionata di libri e di illustrazione. I miei criteri di scelta affondano le radici nello studio dell’editoria di qualità. Ci sono anche scelte estetiche, che si possono vedere chiaramente guardando il catalogo. È difficile per me spiegarle, forse perché sono molto personali. Ma sono sicuramente coerenti con la comunicazione, il brand e tutto quello che è Kira Kira edizioni. Infine, quando scelgo un albo, immagino sempre di leggerlo ai bambini, a voce alta.
Al di là della tua personale sensibilità, cosa pensi che abbiano da dare i libri giapponesi ai nostri piccoli lettori e lettrici?
Il Giappone mi è sempre sembrato un popolo bambino. C’è un legame speciale fra visibile e invisibile, ci si siede spesso ancora a terra e questo comporta uno sguardo diverso, una visuale bassa. C’è una speciale attenzione all’infanzia piccola. Quello che fa parte di una cultura fluisce nella sensibilità degli artisti, degli scrittori e di quanti decidono di dialogare attraverso i libri illustrati. Mi interessa quella spiritualità in senso lato, quell’attenzione che parte da uno sguardo basso, da un’osservazione attenta, dalla necessità di raccontare ai bambini ma anche di raccontare i bambini. Se vogliamo parlare di dare qualcosa, questo mi sembra già un bel dono da cogliere.
Parte del progetto è anche la creazione di albi originali, che è in qualche modo un altro mestiere che mette insieme l’identità della casa editrice, quella di chi scrive e quella di chi illustra. Ci dici qualcosa?
Progettare opere che fossero ponte fra Italia e Giappone era ed è uno degli intenti della casa editrice. L’abbiamo fatto in diversi modi, lavorando sempre in squadra, perché si tratta di progetti e nei progetti si sperimenta. Nel primo caso, si trattava di A casa dell’ape, il primo albo edito da Kira Kira. C’erano le tavole di questa mostra di Maki Hasegawa e una futura editrice che davanti alle opere, come in un film di fantascienza, le muoveva nell’aria (in realtà nella mente ma se provo a ricordare mi sembra di averlo fatto per davvero come in un film!) per fargli prendere forma. La storia c’era già ed era già fortemente presente uno dei temi fondanti della casa editrice, quello che mostra quel sottile velo tra quotidianità e magia che sta a fondamento dell’infanzia. Mancavano le parole, che dovevano essere appoggiate con delicatezza sulle pagine, accompagnate con grazia per fare da contrappunto alle figure. Conoscevo da anni Alice Keller e mi sembrava avere la sensibilità giusta. A casa dell’ape è un albo complesso. Ci sono strati e storie e tematiche che puoi vedere o non vedere. Puoi leggerlo in tanti modi e con i libri non è poi sempre così? Se hanno la giusta profondità, ognuno coglierà una o più storie che si intrecciano nella narrazione. Mi interessa fare anche questo tipo di libri. Per Yukie e l’orso invece, è andata in modo completamente diverso. C’era un personaggio realmente esistito e una storia che sentivo il bisogno di raccontare. Per questo ho chiamato il mio dream team che ha subito amato la storia di Yukie. Abbiamo lavorato per costruirla, Alice dal punto di vista narrativo, Maki con la scelta dei colori e di un visivo coerente, io a cesello per mescolare bene gli ingredienti. È un albo lungo, di quelli che ‘vendono’ meno, ma colpisce ogni persona a cui lo racconto, è diventato protagonista di percorsi con le scuole e ha preso la sua strada. Ogni libro ha bisogno delle sue modalità per continuare la sua vita. Con Maki e Alice stiamo lavorando al terzo albo, che sarà ancora differente. Il terzo lavoro originale è Il mio posto preferito, qui c’è un altro tipo di ponte ovvero l’incontro con un’artista giapponese, Mayumi Oono. Fin da subito è scattata una collaborazione ideale, una comunione di intenti e sensibilità. Il libro era un progetto che lei mi ha presentato alla Fiera del libro di Bologna. Graficamente alto, omaggiando Iela Mari, questo albo si rivolgeva ai piccolissimi. Mi è sembrata una piccola perla che non poteva mancare in catalogo.
Ci sono tante storie pienamente immerse nel paesaggio culturale, nelle abitudini, nelle quotidianità di un popolo che oltre a esserci lontano conosciamo pochissimo. Come ti comporti quando in un libro che vorresti portare c’è qualcosa che ti pare troppo alieno e difficile da comprendere? (Ti sei mai trattenuta per questo motivo?)
In molti dei nostri libri il Giappone è accennato, nascosto tra le pagine. Vediamo un bambino togliersi le scarpe prima di entrare in casa, carpe colorate sventolare nel vento, una merenda inedita a base di onigiri. Qualche volta spieghiamo in fondo al libro con una piccola appendice che ci racconta una curiosità, come del resto anche nei romanzi giapponesi per adulti spesso in fondo al libro c’è un glossario dei termini. Altre volte non serve spiegare, la narrazione non ne ha bisogno e inserire elementi altri suscita curiosità, apre la mente, solleva l’immaginazione. C’è capitato in un progetto solo, che poi non è andato in porto, che un elemento della narrazione la rendesse complessa per l’età di riferimento dell’albo. In quel caso gli editori stranieri ti propongono una piccola modifica al libro. Ci sono altri libri che invece nascono chiaramente per il pubblico giapponese e sono di difficile traduzione, per i temi, per il tipo di illustrazioni o per il testo che nella traduzione perderebbe la sua musicalità perché sono albi che nascono intorno alle parole. In questi casi mi sono trattenuta è vero. Ma non è detto che nel futuro non si trovi un modo di presentare opere di valore, trovando la giusta narrazione.
I primi anni di vita per una casa editrice sono fondamentali, e a Kira Kira è toccato tra l’altro un periodo ‘interessante’. In questi quattro anni ci sono già stati piccoli cambiamenti, trasformazioni, virate, sorprese rispetto a quello che ti immaginavi in partenza?
Sì, assolutamente. Mi ero data un tempo per il lancio e l’avvio, ma gli anni che stiamo vivendo dal 2020 hanno cambiato le carte in tavola e ancora adesso vari elementi del mercato, delle materie prime influiscono duramente sull’editoria. Mi sento tuttavia di dire che nonostante questo i risultati ci sono stati. A passo di tartaruga forse e non di lepre, ma avere il tempo per osservare il viaggio è stato certamente formativo.
Una domanda antipatica: devi presentare lo spirito della tua casa editrice, e hai a disposizione solo due libri del catalogo. Quali scegli e perché?
Scelgo Komako Sakai per il racconto del velo che separa la quotidianità dei bambini dal mondo magico alimentato dall’immaginazione. Già nel suo primissimo albo illustrato, La scatola magica, questa rappresentazione prende vita nel gioco che si svolge dentro e fuori la scatola in cui la piccola Riko vive la sua avventura. Nel mondo dell’immaginazione le dimensioni sono labili e possono cambiare come ci ha insegnato Alice. Il secondo libro è Yukie e l’orso. La scelta di raccontare una vita lontana da noi utilizzando l’elemento fantastico è un modo per raccontare tematiche importanti e molto attuali come le differenze, l’inclusione, il bullismo, la ricerca di identità. Sono temi trasversali e universali che appartengono a molte vite, anche quelle che sembrano meno accostarsi alla nostra realtà culturale italiana. Il racconto delle vite arricchisce, solletica le domande, sbriglia la fantasia, dona un esempio.
Il team di lavoro in redazione: come nascono i vostri libri? Chi ci lavora?
Kira Kira è una piccolissima realtà e con una piccolissima squadra. Elena Baboni si occupa della grafica editoriale mentre Roberta Tiberi della traduzione dal giapponese e della supervisione scientifica per gli elementi giapponesi in caso di opere tradotte da altre lingue. Quando ci troviamo a preparare un nuovo libro, lavoro a stretto contatto con entrambe per curare ogni aspetto, dalla scelta del titolo all’editing sul testo. È un lavoro di squadra importantissimo perché amplia la visione, lo sguardo e la comprensione sull’albo e sulla versione che ne stiamo proponendo. Degli altri aspetti, dalle scelte editoriali al social networking, mi occupo invece io.
Rendez-vous (Besa Muci, Nardò - LE)
Il primo atto non ufficiale di una ‘Besa’ (parole di origine albanese che sta per ‘parola d’onore, parola data’) è del 1991, quando un’associazione culturale con lo stesso nome dà alle stampe un’antologia che presenta al lettore italiano le voci più interessanti del panorama letterario albanese, proprio mentre stanno iniziando i primi sbarchi sulle coste pugliesi. Besa Muci nasce ufficialmente nel 1995 dalla passione e dall’intuizione dell’editore Livio Muci, già in forze presso Einaudi che nel decennio precedente, grazie ad alcuni viaggi, ha scoperto e si è innamorato della letteratura albanese prima e di quella dei Balcani dopo. Da quel momento lo sguardo di Besa Muci si è allargato a tutte le letterature che restano ai margini dei grandi circuiti commerciali, come il crogiolo multietnico del bacino del Mediterraneo (e di altre parti del mondo), concentrando sempre di più l’attenzione sul grande complesso regionale, multiculturale e multilinguistico dei Balcani. Nel 2019 arriva il momento di aprire la strada anche sul versante giovani lettori, e nasce la collana Rendez-vous, collezione di storie al confine tra nazioni, lingue, tradizioni, con due sezioni: Narrativa e Illustrati.
Intervista a Matteo Sabato, responsabile di collana
La collana per ragazzi e ragazze Rendez-vous nasce all’interno della casa editrice salentina Besa Muci, che si è sempre caratterizzata per l’attenzione alle letterature ‘altre’, colpevolmente meno battute dal mercato italiano. Anche i primi titoli della collana che dirigi disegnano una prima mappa in cui il riferimento principale sono i Balcani, ma con aperture anche a Romania e Polonia. Ci racconti com’è iniziata l’avventura? Se l’obiettivo è portare in Italia una letteratura ancora tutta da scoprire, come avviene la selezione dei testi?
L’avventura è nata nell’alveo di una tradizione decennale di promozione in Italia di letterature ‘altre’ che la casa editrice porta avanti come progetto culturale identitario. La passione e l’interesse per la letteratura per ragazzi e l’educazione alla lettura sono nate di pari passo al mio ingresso in casa editrice sette anni fa. Abbiamo ragionato a lungo, insieme all’editore, sulla possibilità di aprire la nostra esperienza anche alla fruizione dei giovani lettori; in passato erano stati fatti alcuni tentativi, ma episodici, perlopiù legati ad autori locali, e senza una coerente visione del tutto. Il fatto che nel 2019 il progetto culturale di Besa fosse ormai chiaro e affermato ha contribuito finalmente ad avere chiaro anche l’orizzonte rispetto alla letteratura giovanile. La collana Rendez-vous doveva inserirsi in un solco già tracciato, innanzitutto quello della scoperta, della traduzione e della pubblicazione delle esperienze letterarie più feconde dei diversi paesi dei Balcani senza tralasciare, in linea con quell’apertura senza pregiudizi o limitazioni al mondo che è della linea editoriale, anche altre possibilità letterarie e narrative. È così che abbiamo cominciato a delineare un percorso nuovo, di scoperta anche per noi, nel quale abbiamo provato a coinvolgere quanti da anni fanno parte della famiglia allargata di Besa. Gli autori, innanzitutto: ho chiesto ai nostri autori balcanici di raccontarmi le loro letture, i loro autori preferiti quando erano bambini e ragazzi, di aiutarmi a selezionare quelli che sono ritenuti i classici di ognuno dei loro paesi di provenienza; accanto a questi fondamentale è il lavoro che abbiamo chiesto ai traduttori e agli operatori culturali che si agitano nel mare magnum della letteratura di ogni stato dell’Europa orientale: sono stati e sono tuttora il nostro sguardo più attento sui fenomeni in atto e sulle tendenze letterarie, e il loro contributo è stato prezioso. In ultimo sono arrivati gli editori: grazie ai contatti mediati dai centri per il libro di ogni paese abbiamo raggiunto e avviato contatti costanti con l’editoria per ragazzi di paesi linguisticamente e culturalmente molto diversi. È così che cerchiamo di costruire il catalogo di Rendez-vous: studiando i cataloghi degli editori esteri, selezionando le cose che ci sembrano interessanti e chiedendo, laddove possibile, di leggere la traduzione di servizio in inglese o, nei casi più fortunati, le edizioni inglesi di quei libri; in alternativa ci affidiamo al parere e al fiuto dei traduttori: a loro chiediamo una valutazione, quando non sono essi stessi a proporre dei titoli, e un parere per poter operare una scelta. Sulla base di schede, letture personali e un po’ di intuizione, alla fine valutiamo se quei libri vogliamo davvero farli conoscere ai giovani lettori italiani: a guidarci è l’attenzione costante ai gusti e alle richieste dei lettori (e so bene che se non mi occupassi anche di educazione alla lettura, con un contatto costante con diversi gruppi di lettura, sarebbe davvero faticoso) ma allo stesso tempo il bisogno di introdurre in Italia un nuovo canone (se è possibile parlare di canone), nuovi temi e nuovi modi di raccontare, anche se questi possono spiazzare o non essere facilmente compresi in prima battuta.
C’è qualcosa che attraversa queste letterature e culture così diverse, per esempio sul modo di guardare il mondo e l’infanzia, che ti sembra di poter trovare in tutte queste esperienze e che le differenzia da quelle a noi più note?
Riuscire a individuare un modo unico di guardare il mondo e l’infanzia è molto difficile, considerata la natura multietnica e plurilinguistica dei Balcani: c’è chi ha dovuto fare i conti con una guerra che ha lacerato nel profondo la vita di una generazione – penso all’ex Jugoslavia – e che negli anni ha affrontato una ricostruzione culturale dall’interno, spesso con esiti diversi. La Serbia, per esempio, ha guardato molto a Occidente e ai nostri modelli culturali; la sua letteratura per ragazzi è fortemente orientata a stilemi, tendenze e gusti sociali, culturali, letterari dell’Europa occidentale: penso al successo che sta ottenendo in Italia un’autrice come Jasminka Petrovic, i cui libri sono stati tradotti in più di trenta lingue, che ha curato l’edizione serba del National geographic kids e scrive per la televisione sulla scorta anche di un’esperienza linguistica che la porta a dialogare con più lingue. La Slovenia, dal canto suo, sta registrando una fortissima crescita che la rende una delle nazioni più interessanti sul piano della letteratura per ragazzi, grazie anche al forte sostegno del locale Centro per il libro e alla sezione nazionale di IBBY: una visione attenta al mondo dell’infanzia in relazione alle contraddizioni e alle fratture che attraversano la società slovena caratterizzano i libri di molti autori (da Janja Vidmar a Peter Svetina, forse il più famoso autore sloveno, per ben tre volte nella sestina finalista dell’Hans Christian Andersen Award, le cui narrazioni e liriche solleticano la fantasia dei più piccoli spingendosi ai limiti dell’assurdo). Altri paesi sono molto ancorati alla tradizione che, nel caso dei Paesi dell’ex Jugoslavia, è servita a cementare l’identità nazionale (in Croazia, la scrittrice Ivana Brlić-Mažuranić, tre volte candidata al Nobel agli inizi del Novecento, è un nume tutelare della letteratura per ragazzi e il suo Hlapić, protagonista di un romanzo di chiaro intento pedagogico – seppur godibilissimo – rappresenta ancora uno degli emblemi dell’infanzia). In tutti però c’è, a mio avviso, il bisogno di fare i conti con la propria storia, la storia di decenni sotto il blocco sovietico (pubblicheremo il prossimo anno il nuovo romanzo di Janja Vidmar incentrato proprio sulla figura di un adolescente che entra a far parte dei Pionieri di Tito nella Jugoslavia socialista) o la storia della guerra fratricida degli anni Novanta (come nel romanzo della Petrovic, L’estate in cui ho imparato a volare) e con la complessità e la differenza linguistica tra paesi vicini che caratterizza molti dei romanzi e che si impone come uno degli elementi ereditati dall’infanzia odierna. Nondimeno c’è il bisogno di leggere queste storie in un contesto preciso che è quello dell’eredità culturale e sociale che ogni stato dei Balcani porta con sé.
A proposito di peculiarità che spiazzano, scelgo un libro che mi ha colpito per la sua bizzarria: Darko Branko del poeta e scrittore sloveno Peter Svetina. Racconti del tutto realistici, sembra, ma poi accade che dei bambini per giocare a biglie scavino un buco che inghiotte tutto, autobus compresi, o che una fornaia golosa si introduca dentro le sue ciambelle per rosicchiarne la marmellata, o che una gerarchia di diavoli visiti una delle nostre città per rubare una gonnella, e via dicendo. Il senso dell’assurdo entra nelle categorie del normale. Ci sono altre caratteristiche che ti hanno sorpreso?
Darko Branko, l’allegra orchestra di fiati e altre storie cosà di Svetina è senza dubbio il titolo più eccentrico della collana sotto diversi punti di vista, e ci ha permesso anche di avviare una proposta editoriale nel campo dei racconti per ragazzi. Leggere Svetina con la sua tendenza a spingere la fantasia oltre ogni limite, per bambini ma anche per adulti, mi ha ricordato molto una delle tante lezioni di Rodari, di cui Svetina sembra essere un perfetto alter ego dell’est europeo. Abbiamo temuto, solo per un attimo, che la sua letteratura dell’assurdo e del nonsense potesse non essere compresa o accolta favorevolmente dai giovani lettori, ma in realtà Svetina non fa altro che assumere proprio il punto di vista dei bambini quando iniziano quei racconti senza fine, senza capo né coda, ironici e divertenti spesso solo per loro ma per i quali ridono a crepapelle: Svetina è un grande osservatore, ascoltatore e interprete del punto di vista bambino e questo lo rende un grande autore che i piccoli possono amare. L’altro elemento – sebbene sia ancora prematuro tracciare una sorta di compendio di temi e caratteristiche ricorrenti – è senza dubbio il richiamo costante alla questione linguistica, alla tradizione culturale, alla compresenza di credi religiosi e costumi che caratterizzano da sempre l’intera regione e che in un modo o nell’altro entrano sempre a pieno titolo nelle storie. Tutti i ragazzi protagonisti di questa narrativa prima o poi finiscono con lo scontrarsi con una visione della Storia, di cui è portatore il mondo adulto, e con i retaggi di cui, proprio con l’originalità propria dell’infanzia, arrivano a ridefinire i contorni.
Riesci a scegliere un titolo che può essere particolarmente rappresentativo dell’identità della collana?
Diciamo sempre, con un po’ di orgoglio, che il primo titolo della collana, Il nastro rosso di Vidmar, ne rappresenta a tutti gli effetti anche il manifesto programmatico. È la storia di una bambina della comunità rom in Slovenia, che si chiama Kebarie ma che il padre ha soprannominato Kedi, che nella sua lingua significa ‘leggere’ (il padre la sprona continuamente a farlo e la accompagna raccontandole ogni sera una storia); è una bambina che ha un rapporto difficile con la scuola perché non si capacita del fatto che la sua maestra le vieti di usare la lingua della sua comunità di appartenenza; nel contempo si ribella alla sua famiglia troppo chiusa nei ranghi di leggi e consuetudini proprie della comunità rom, quando, per suo conto, le piace anche la relazione con la società in cui vive. Tanto che alla fine Kedi arriverà a dire che non appartiene a nessuno, appartiene a tutti e a sé stessa. C’è tutto quello che è la nostra idea di progetto editoriale: l’incontro tra culture diverse, l’incontro tra lingue diverse, la questione migratoria che da sempre è al centro dell’attività della casa editrice, il rapporto tra i piccoli e il mondo adulto, la convivialità delle differenze che è un’espressione tanto cara a un santo della nostra terra che ci piace trasferire nella nostra ricerca di storie da portare ai lettori italiani. Da lì abbiamo scelto di caratterizzare i libri della collana con una lettera di apertura al lettore nella quale lo aiutiamo a entrare nei suoni di una lingua lontana e sconosciuta, che attraverso la musicalità della sua pronuncia diventa anche un po’ loro.
C’è poi, nell’ancora minima sezione Illustrati, lo strano caso di Norman Mommens e dei suoi indiani. Ci racconti qualcosa?
Norman Mommens è una delle scoperte più interessanti e curiose del nostro catalogo, preesistente all’idea stessa di Rendez-vous. Quando abbiamo cominciato a riflettere sul progetto della collana, un giorno l’editore Livio Muci è arrivato in redazione con un plico che conteneva l’edizione originale di un libro illustrato pubblicato in Inghilterra alla fine degli anni Cinquanta (Polutin e gli indiani, che uscirà nel 2023) insieme a una serie di documenti, carteggi tra l’autore e la casa editrice, stralci di giornale, lucidi e tavole preparatorie, lettere di alcuni bambini e una bozza di traduzione in italiano. Uno dei nostri traduttori dall’inglese di lunga data, Aldo Magagnino, gli aveva passato quel prezioso materiale anni prima e lui lo aveva conservato in attesa del momento giusto per dare seguito a un progetto di pubblicazione. Me lo ha consegnato perché gli dessi un’occhiata e valutassi la possibilità di inserirlo nella nostra programmazione. Sono rimasto subito colpito dalla freschezza delle illustrazioni e della storia raccontata da questo artista capace di far sorridere con arguzia ancora oggi a distanza di quasi settant’anni; in un periodo in cui da più parti c’è la tendenza a ripubblicare classici del passato, coevi a Mommens in molti casi, ci sembrava non solo importante inserirci in un filone di riscoperta che ha un grande valore simbolico, ma al contempo offrire la possibilità ai piccoli lettori di avere tra le mani, per la prima volta in Italia, libri che i piccoli lettori inglesi avevano conosciuto alla metà del secolo scorso e che ancora oggi hanno molto da dire. Anche la storia che li ha portati fino a noi merita di essere raccontata, perché Mommens, fiammingo, artista a tutto tondo con una particolare predilezione per la scultura e le sperimentazioni con la pietra, dopo l’esperienza da illustratore e autore di alcuni libri per la Faber&Faber di Londra, ha cominciato a girare il mondo insieme alla compagna, la giornalista Patience Gray, prima di approdare, negli anni Settanta, nel punto più a sud della Puglia, dove si è stabilito in una masseria che ha trasformato in un laboratorio artistico e in un cenacolo culturale che è stato vivo e attivo fino al 2000, anno della scomparsa di Norman. Di quel cenacolo ha fatto parte anche Aldo Magagnino, che ha ricevuto in dono dall’autore quei libri e ha scelto di tradurli. Oggi stiamo lavorando a braccetto a questo progetto, grazie anche alla collaborazione e ai ricordi degli eredi di Mommens che abitano ancora lì, a Spigolizzi, nel profondo sud pietroso e pieno di luce, come le storie che ruotano attorno alla comunità degli indiani.
Editoria militante. Quando fare libri è intervenire sul mondo
di Federica Rampazzo
Pubblicare libri è naturalmente un mestiere, una questione imprenditoriale. Ma in alcuni casi la vera spinta, in partenza e in corsa, è davvero tutt’altra, e anzi l’orizzonte economico passa in secondo o terzo piano. Si va addirittura contro qualsiasi logica di mercato per dare spazio a una vera e propria urgenza: al centro c’è una visione del mondo che si ritiene fondamentale far passare, un posizionamento rispetto al vivere sociale che è anche pratica quotidiana. Fare libri, e anzi fare libri anche per bambine e bambini, è un atto politico, che mira a produrre domande e anche cambiamenti nel mondo.
Nel 2010, a seguito di un bando europeo, un gruppo composto da diciassette migranti dai 19 ai 48 anni, dalle provenienze più disparate, si ritrova con Fausta Orecchio e Simone Tonucci di Orecchio acerbo, che hanno già alle spalle importanti percorsi professionali e umani, e si ritrovano per fare a pezzi alcuni libri: devono capire come sono fatti, per ricostruirli, e forse quel gesto diventa anche uno smontare il proprio sé, le proprie vite spezzate da così poco tempo, per provare, insieme al gruppo, a ricostruirsi. Da quella esperienza, che porta a raccontarsi storie personali e a disegnare, e a stampare il libro in serigrafia Radici, e dall’imparare insieme un sapere anche professionale, nasce Else (Edizioni libri serigrafici e altro). Galleggiare nel mare della competizione editoriale appariva evidentemente impossibile, eppure Else gode ancora oggi di ottima salute, ha prodotto splendidi libri, fatto lavorare e restituito identità a tante persone, creato incontri umani ed estetici di grande rilievo.
La missione di Settenove è altra, ma anch’essa fortemente radicata nel nostro tempo, e a esso necessaria, urgente e legittima. Anzi, forse è più facile riconoscere l’importanza di questo ruolo oggi, che certe battaglie sono finalmente panorama non così bizzarro, che all’atto di nascita, un decennio fa: portare all’attenzione di tutti e tutte la discriminazione e la violenza di genere insite in quasi ogni società, in quasi ogni epoca. Il nome Settenove viene proprio da 1979, un anno in cui sono successe tante cose seminali in questo campo, che hanno acceso luci su certe storture vissute come naturali ed eterne, e che hanno aperto la strada a tante lotte e rivoluzioni, grandi o quotidiane, che questa casa editrice, anche solo con la propria esistenza, contribuisce a trasmettere e tenere vive tra le nuove generazioni e tra le persone adulte che con esse hanno a che fare ogni giorno.
Else (Roma)
Una casa editrice, un laboratorio artigianale di stampa serigrafica e un’associazione che nel 2012 nasce a Roma dall’incontro tra professionisti in diversi campi dell’editoria, della grafica, dell’illustrazione e della stampa d’arte. Un esperimento eccezionale, che si rifà a quelli già in atto in Argentina, con Eloisa Cartonera, in Perù con la sua ‘gemella’ Sarita Cartonera, in Messico, con Taller Leñateros, in India, con Tara Books. Libri innanzitutto belli, potentissimi nell’impatto fisico, per bambini e per adulti, tutti fatti a mano con quella tecnica antica, faticosa e lentissima che è la serigrafia, e che qui si fa atto di unione e pensiero collettivo. Tratto distintivo è anche l’accoppiare illustrazioni contemporanee a testi classici, riletture e riscritture d’autore che portano a nuove interpretazioni. Tra queste, l’incontro tra il segno di Davide Reviati e i testi di Stig Dagerman o Ambrose Bierce, tra Armin Greder e Daphne du Maurier o Richard Matheson, tra JooHee Yoon e James Thurber.
Intervista a Marco Carsetti, direttore editoriale
Else è l’acronimo di Edizioni libri serigrafici e altro. Che cos’è questo ‘altro’?
L’altro è ciò che ci sfugge, è sempre l’altro a mancarci. Else è un modo di andare alla ricerca di questo altro che è essenzialmente crescere nell’infanzia, nella pubertà, nell’adolescenza, ma anche da adulti cercando di risvegliare il sé bambino attraverso cui guardare il mondo con stupore, meraviglia, passione e malinconia. L’altro è la tecnica e la macchina, le macchine con cui realizzare le opere, ma è soprattutto lo strumento, il prolungamento del proprio corpo per operare, come un cacciavite così la racla dello stampatore. L’altro è il laboratorio come spazio sociale, antico e modernissimo, dove costruire relazioni affettive, dove imparare a fare con le mani, dove la ritualità dei gesti operativi si unisce a quelli della convivialità: la tazza di tè, il caffè, il pranzo. L’altro è l’altrove delle storie, è l’andare lontano per riavvicinarsi a sé e trovare stimoli per cambiare, per continuare, per sintonizzarsi con il fuori, per mettere in comunicazione il dentro con il fuori. Non c’è un noi senza l’altro.
Quali sono gli obiettivi iniziali che ti hanno spinto ad aprire la casa editrice? Nel corso di questi ultimi anni sono cambiati? Se sì in che modo?
Else è una realtà che non nasce spontaneamente da sola, potremmo dire che non è ‘selvatica’, ma non è neppure ‘coltivata’ cioè preparata in lunghi anni di formazione lavorativa o accademica. Else è un innesto tra diverse storie ed esperienze che si sono incontrate: una ‘specialmente editoriale’, quella di Orecchio acerbo, e una ‘specialmente educativa’ che era la mia e degli altri collaboratori di Else. Nella tradizione dell’educazione attiva a livello internazionale si è sempre usato come strumento didattico e politico l’autoproduzione di libri, riviste e manifesti attraverso il ciclostile, la lineografia, la serigrafia e la tipografia a caratteri mobili. Lo faceva in Francia un grande pedagogista come Célestin Freinet e lo faceva in Italia Mario Lodi che ha insegnato per esempio a Don Milani il testo collettivo da cui è nato Lettera a una professoressa.
Ecco, una parte di Else nasce dall’ambito dell’educazione attiva e che si è sviluppato in particolare nell’educazione degli adulti con rifugiati e richiedenti asilo all’interno di una scuola di italiano. Nasce quindi dentro un fare cooperativo e di autoproduzione di materiale didattico in cui la parola e l’immagine avevano un grande peso e una grande importanza per imparare la lingua e cominciare a mettere in condivisione immaginari, parole, e costruire così un terreno di incontro. In questo percorso abbiamo incontrato Fausta Orecchio che ci ha proposto di dotarci di una tecnica come la serigrafia per rendere più efficace il nostro lavoro e così è nata Else.
Fin dalla sua nascita Else incorpora in sé essenzialmente tre diversi aspetti che dialogano tra loro: la casa editrice, il laboratorio di stampa e i laboratori con bambini, ragazzi e adulti attraverso attività legate alle tecniche di stampa per la realizzazione di libri illustrati, scritti, stampati e rilegati dai partecipanti.
Else non esisterebbe se una di queste sue caratteristiche venisse meno. I libri sono le storie e sono gli autori, è la letteratura; il laboratorio artigianale è la tecnica, gli strumenti, i macchinari, i materiali, e soprattutto il luogo delle relazioni e del fare; i percorsi intorno al libro con gruppi di diverse età sono la possibilità di risvegliare l’intimo nesso tra mano e testa e quindi quella che la Montessori chiamava ‘l’intelligenza delle mani’.
Perché hai scelto di stampare in serigrafia?
Prima di tutto perché è un tipo di tecnica accessibile e conviviale. Cioè una tecnica che permette di mantenere un certo grado di controllo da parte dell’artigiano, la macchina non lavora al suo posto. Mi piace la definizione di macchina che dà Simone Weil quando dice che la macchina/strumento ha con l’operaio lo stesso rapporto che ha il marinaio con la sua nave. Invece poi ci sono le macchine automatiche dove l’uomo interviene solo per la sorveglianza. Noi usiamo un banco manuale e poi una semi-automatica in cui per certi aspetti il corpo umano diventa parte di un ingranaggio, ma mantiene ancora un alto grado di libertà.
La serigrafia è una tecnica conviviale nel senso che dava a questa parola Ivan Illich: conviviale perché esalta l’energia e l’immaginazione personale e di gruppo ed estende il raggio d’azione di ciascuno all’interno di una dimensione creativa e lavorativa.
Si tratta inoltre di un tipo di tecnica che ci permette di avvicinarci all’aura degli originali, dell’opera d’arte, perché molto spesso nel nostro lavoro non esiste l’originale, ma lo è la serigrafia che realizziamo.
Un’ulteriore ragione è che forse soffriamo la sindrome del collezionista. Il collezionista secondo Walter Benjamin è quello che ha l’ambizione di riportare in vita i libri antichi attraverso il loro possesso. Noi più che il possesso dei libri antichi abbiamo l’ambizione, un po’ come è dell’infanzia, di rinnovare la vita attraverso la pubblicazione e l’illustrazione delle storie che ci piacciono, che sono urgenti per noi. La serigrafia è quella tecnica che ci permette di fare i libri che vorremmo leggere, è una tecnica nobile e popolare allo stesso tempo e che offre una qualità di stampa e di vivacità di colore superiore alla norma con un tocco materico e morbido sulla carta.
Se dovessi scegliere un titolo capace più di altri di definire l’identità di Else quale sceglieresti e perché?
Sceglieremmo Chickamauga di Ambrose Bierce, illustrato da Davide Reviati perché condensa in sé le principali linee di ricerca di Else. Prima di tutto ben rappresenta il processo di arte combinatoria tra un autore dei primi del Novecento, maestro di un horror realistico ben piantato nella realtà politico sociale del suo tempo (Chickamauga è il nome del fiume in cui si consumò una delle più feroci battaglie della guerra civile americana dove in una sola giornata morirono più di 30.000 persone) e un autore contemporaneo, italiano, ben piantato a sua volta nella sua realtà ravennate, come Reviati. La sfida era tutta in questo incontro inconsueto che ha permesso di restituire in forma di immagini un racconto che non è semplicemente sull’atrocità della guerra vista con gli occhi di un ragazzino, ma è un racconto che fa luce sull’ambiguità della natura umana in rapporto alla violenza e al male fin dalla sua infanzia. Reviati è un profondo conoscitore dell’animo dei ragazzi nella loro età più critica e questa sua sensibilità ha reso possibile questo incontro tra due mondi così distanti in termini di tempo e di spazio su un tema cruciale: il male appartiene al genere umano fin dalla sua più tenera età.
L’altro aspetto per cui Chickamauga è un libro in cui identificarsi è il tipo di sfida legata alla stampa ovvero alla riproduzione dell’opera originale non espressamente pensata per la serigrafia come tecnica. I disegni di Reviati erano delle opere pittoriche in cui strati di nero, grigio, rosso e bianco si sovrapponevano e quindi dal punto di vista tecnico molto complicate da riprodurre soprattutto per la tiratura di un libro. Quindi il tentativo è stato quello di restituire l’aura dell’originale attraverso un processo di riproduzione e che questo appartenesse all’intero volume.
Le scelte editoriali che fai hanno un valore politico. Ne senti il peso? E in che modo si inseriscono nel panorama editoriale per ragazzi e ragazze?
Si parte sempre da un’urgenza comunicativa che è personale e di gruppo. Questa urgenza nasce dall’epoca in cui viviamo, dallo stato delle cose, dal desiderio di assumersi le proprie responsabilità rispetto al proprio tempo e in funzione di un cambiamento. La responsabilità più importante la sentiamo nei confronti delle nuove generazioni in termini educativi e i libri sono dei potenti media perché utilizzano due linguaggi principali: la parola e l’immagine che incidono sulla percezione, sui modi di vedere e sentire e quindi sull’esperienza. Attraverso i libri possiamo dialogare con loro e con gli adulti che gli sono più vicini, genitori, insegnanti, educatori. Attraverso le sue pubblicazioni Else dialoga soprattutto con il mondo adulto, mentre con i laboratori, dunque con il fare i libri insieme, dialoga direttamente con i giovani. Retrospettivamente, se andiamo a guardare il catalogo di Else ci rendiamo conto che il nostro tentativo è sempre stato quello di instaurare con i ragazzi più grandi e gli adulti un dialogo a partire da una letteratura che, anche quando viene dal passato, ci aiuta a decifrare il presente. Possiamo quindi individuare quattro principali linee di ricerca che sono: il disagio/degrado dell’umanità (Work, Lemming, Ballata di chi approva questo mondo, Gli Uccelli, L’invenzione dell’amore), uno sguardo partecipe sull’infanzia e l’adolescenza (Le memorie della Menta Piperita, Ingrandimenti, Re tigre, Chickamauga, Ho remato per un Lord), una riflessione sulle migrazioni a partire dalle loro voci (Radici, Famiglie, I capelli del Giuggiolo) e la poesia attraverso la musica dei Fratelli Mancuso così come attraverso il romanzo Platero Y Yo di Juan Ramón Jiménez.
Principalmente i libri di Else nascono dall’incontro con un testo letterario capace di risvegliare il nostro sguardo sul presente, il nostro modo di guardare l’infanzia e l’adolescenza provando a comprenderle, le mutazioni antropologiche e sociali in atto, i cambiamenti delle condizioni del nostro vivere comune. La sfida è quella di avvicinare due diversi dizionari che sono quello della parola e quello dell’immagine attraverso un processo che assomiglia a un’arte combinatoria. Che cosa succede, per esempio, a un testo come Re Tigre di James Thurber quando a molti anni di distanza dalla sua scrittura chiediamo a un’artista come Joohee Yoon di illustrarlo? Ecco, la sfida è questa, le immagini non sono la traduzione del testo a fronte ma devono permettere al lettore di abbandonarsi a delle proprie combinazioni. E le combinazioni, i contrasti e le alleanze fra parti diverse sono strumenti che arricchiscono sempre la nostra coscienza.
L’altro aspetto che pure è politico riguarda la creazione dell’oggetto libro. Un oggetto curato in tutti i suoi particolari e stampato a mano in serigrafia in tiratura limitata. Un oggetto che non vuole essere solo merce ma dove si può rintracciare la mano della persona che l’ha realizzato.
Nella scelta di pubblicare un libro arriva prima l’urgenza del testo e poi il lavoro con l’illustratore o l’illustratrice, oppure è una scelta combinata? Potresti raccontare il dietro le quinte di queste scelte editoriali?
Nella maggior parte dei casi viene prima il testo, poi si pensa a quale illustratore o illustratrice e la scelta è molto difficile, si può ragionare per affinità ma anche per contrasti, per vicinanza ma anche per lontananza, ma la cosa fondamentale è che l’illustratore/illustratrice a sua volta possa sentire se quel testo gli risuona dentro, se incontra una sua urgenza comunicativa. Se questo avviene si comincia a lavorare. La lavorazione di ciascun libro può durare anche anni. In questo tempo, piano piano, il libro prende forma, cresce e trova le sue soluzioni tecniche, numero di pagine, formato, tipo di copertina, a quanti colori stamparlo ecc. Una fase fondamentale per noi che realizziamo i libri in serigrafia è tutta la parte dedicata alla prestampa, ovvero alla separazione dei colori e poi alla prova colori prima di andare in stampa. È un lavoro collettivo, che coinvolge diverse persone e professionalità in un dialogo continuo con l’illustratore/illustratrice. È un tempo in cui si continua a crescere e a sperimentare, a trovare nuove soluzioni e ad affinare le proprie capacità immaginative perché ogni libro è un oggetto diverso che deve dialogare con il testo e con le illustrazioni e che quindi ha bisogno di tipi particolari di allestimento. Il senso della storia non la si legge solo con le parole e le immagini ma anche attraverso il tipo di oggetto che teniamo in mano. Per esempio, in Platero y yo illustrato da Juan Bernabeu, l’esigenza di usare per la sua copertina un cartone a tripla onda è nata riflettendo sull’ultimo capitolo del libro in cui il poeta ci parla di un piccolo Platero di cartone che stava sempre in bella mostra sulla sua libreria e che gli ricordava l’amicizia con il suo asino protagonista del romanzo. E così l’idea della copertina di cartone è nata come omaggio a Jiménez e alla memoria del suo asino Platero.
Nel 2018 pubblichi Come tu mi vuoi - Come io ti voglio, che è una visione tutta al femminile sull’Eros. Qual è l’urgenza che ti ha spinto a farlo?
Il libro Come tu mi vuoi - Come io mi voglio nasce inizialmente da uno scambio di battute con Fausta Orecchio durante una cena. Avevamo voglia di proporre qualcosa di molto diverso rispetto ai nostri libri precedenti, qualcosa di gioioso e vitale, di inaspettato per chi solitamente leggeva i nostri libri, ma allo stesso tempo qualcosa di molto profondo, in qualche modo lirico, qualcosa che, come Radici e Famiglie, potesse comunque continuare a unire e collegare un sentire comune, un’intimità comune. Per questo l’amore, l’eros, soprattutto l’amore visto nell’incontro e nell’unione dei corpi, l’amore carnale e poetico e, specialmente, sfaccettato. Dodici diverse visioni estemporanee, mutevoli ma messe perfettamente a fuoco, realizzate da dodici diverse illustratrici di diverse provenienze, dodici stili uniti dall’utilizzo di tre stessi colori ma in tonalità differenti.
In un’epoca in cui sul corpo della donna continuano a riversarsi antiche frustrazioni e riaffermazioni del potere maschile, in questo libro l’eros e la sessualità sono vissuti e mostrati nella loro forza vitale e sovversiva, sono narrati non come atto di denuncia ma come potenzialità per il benessere individuale e comune e si affrancano dai toni della cronaca nera e della sessualizzazione consumistica.
Come fai a coniugare la pratica editoriale con la pratica educativa? Hai dei maestri in questo campo che ti hanno particolarmente ispirato?
Come abbiamo detto, Else si inserisce all’interno di una tradizione di educazione attiva che ha sempre visto le tecniche artigianali di stampa al centro del fare didattico. È da questa tradizione e dai molti maestri (Lodi, Freinet, Ciari, Faè e tanti altri) che abbiamo voluto prendere il testimone e portarlo avanti in un’epoca di forti mutamenti legati alla digitalizzazione e alla conseguente dipendenza da schermi. La forza di Else è proprio in questa combinazione: quella editoriale, il lavoro di scavo sulla letteratura e con gli illustratori, le abilità tecniche del laboratorio artigianale e la messa a disposizione di tutto questo a bambini e ragazzi attraverso laboratori che mettono al centro la loro crescita come persone a partire da un lavoro intorno al libro, alla scrittura, al disegno, alle immagini, al fare manuale. Tutto ciò che ci insegna il lavoro di editori e di artigiani del libro è quello che offriamo nei laboratori didattici con i giovani. Crediamo che ‘farsi un libro’ sia molto di più di un invito alla lettura perché si ha la possibilità di stare dentro al processo del libro come editori, autori, stampatori e rilegatori e quindi vivere in prima persona l’intera filiera. Ma c’è di più: c’è l’educazione che ci viene dagli oggetti, dalla realtà materiale. ‘Farsi un libro’ non è solo un modo di condividere con gli altri i propri sentimenti ma è anche un modo per non subire gli oggetti come destinatari passivi diventando dei produttori e imparando la cura attraverso l’utilizzo degli strumenti e dei materiali per realizzare qualcosa di prezioso insieme agli altri.
Potresti raccontare il progetto TOOL?
TOOL nasce per consolidare a rafforzare in una sede dedicata i tanti anni in cui Else è stata impegnata in laboratori didattici con gruppi di bambini, ragazzi e adulti. Grazie al finanziamento di una fondazione abbiamo avuto l’occasione di rigenerare e allestire uno spazio-laboratorio per offrire attività gratuite dedicate alle nuove generazioni. Così è nato TOOL, un luogo del fare artigianale legato alle immagini (illustrazione e fumetto), alle tecniche di stampa (serigrafia, tecniche di incisione a rilievo e in cavo, stampa a caratteri mobili), alla grafica, alla cartotecnica, alla rilegatura e all’allestimento del libro nelle sue diverse forme.
Un luogo di socialità e formazione dove pratiche e teorie ruotano intorno al libro come oggetto, come sintesi creativa tra parola e immagine, tra storie e narrazioni, manualità e competenze tecniche. Un laboratorio, una scuola per riaffermare l’importanza della lenta prassi produttiva che culmina nella realtà di un oggetto realizzato a regola d’arte, cooperativamente e a mano.
In questi tempi in cui il fare e l’agire cooperativo perdono terreno, in cui enormi quantità di tempo sono assorbite da schermi e strumenti tecnologici, in cui le proposte educative sembrano non cogliere le mutazioni in atto e anzi le rincorrono adeguandosi, sentiamo forte la necessità di proporre a bambini e ragazzi un operare artigianale fondato su attività e pratiche che mirino, come negli antichi mestieri, a risvegliare l’intimo nesso tra mano e testa, l’intelligenza delle mani, in un continuo dialogo tra le pratiche concrete e il pensiero, rimettendo al centro l’importanza e l’urgenza della riappropriazione della fisicità, della manualità.
La soddisfazione che si prova nel ‘farsi un libro’ significa anche la riscoperta del processo che si configura nella sequenza: segno (scrittura e illustrazione), gesto (il fare manuale attraverso tecniche e strumenti), oggetto (ideazione/progettazione/design del prototipo libro), azione (il fare insieme all’interno di un contesto educante e la sua diffusione all’esterno). Infatti, si è convinti che il deterioramento del rapporto con il manufatto ha comportato non solo disaffezione al lavoro ma anche, e in modo più profondo, il decadimento della qualità delle relazioni umane.
Settenove (Cagli - PU)
Nata nel 2013 con una forte identità e un progetto editoriale chiaro, ovvero la prevenzione della discriminazione e della violenza di genere, ha fin dall’inizio evidenziato una chiara volontà di portare questi temi urgenti a bambine e bambini, ragazzi e ragazze, a insegnanti e altri adulti che lavorano in ambito educativo/sociale.
Attraversando tutti i generi, dall’albo illustrato alla narrativa alla saggistica, in questi anni ha dimostrato una prospettiva pedagogica e culturale capace di approfondire e sviluppare un immaginario libero da stereotipi promuovendo un'educazione paritaria e incoraggiando modelli positivi di collaborazione e rispetto, attività che persegue non solo in ambito editoriale ma anche attraverso laboratori e incontri nelle classi.
Con un ampio catalogo che racchiude veri e piccoli gioielli dell’illustrazione per l’infanzia come Selvaggia di Emily Hughes, Cip e Croc di Alexis Deacon e Buffalo Bella di Olivier Douzou, dove lo sguardo bambino si interroga e riflette sulla diversità e l’identità senza moralismi e stereotipi, fino alle voci italiane di Pina Caporaso e Giulia Mirandola che con Pioniere: le donne che hanno fatto l’Europa (illustrazioni di Michela Nanut) raccontano la vita di undici donne che hanno contribuito a costruire il ‘vecchio continente’, e con la collana Educazione al genere, dove ci si interroga su una cittadinanza attiva rispetto ai temi dell’identità e delle discriminazioni attraverso strumenti didattici, Settenove rimane un esempio, non solo editoriale ma anche politico, di buone pratiche da seguire.
Intervista a Monica Martinelli, direttrice editoriale
Nella homepage del sito si legge «Una casa editrice per la prevenzione della violenza di genere». Cosa ti ha spinto ad aprire una casa editrice con una impronta così netta e quali sono oggi gli obiettivi più urgenti che senti di poter portare avanti?
Settenove è nata dalla consapevolezza di una stortura della nostra società: per l’opinione comune la violenza si combatte con la repressione, prendendo le distanze da un problema che riguarda ‘altri’: il violento, la vittima, l’hater, il bullo. Sappiamo, invece, che siamo tutti e tutte immerse in una cultura patriarcale e sessista che impedisce di notare la ripartizione iniqua del potere tra i generi e la discriminazione che ne consegue. Il seme dell’idea, più di dieci anni fa era quella di fare ‘qualcosa’ contro la violenza di genere sfruttando le competenze che stavo sviluppando in quel momento per ragioni di studio, lavoro e passione: la legislazione in tema di violenza maschile contro le donne, l’editoria e il mondo dell’illustrazione. Il confronto con le donne dei centri antiviolenza e altre realtà associative hanno fatto il resto, offrendomi una visione di prospettiva, più ampia: per prevenire la violenza occorre riconoscerla e creare un disvalore sociale attorno alla discriminazione, prima ancora di ulteriori leggi repressive. Partire dai bambini e dalle bambine significa offrire strumenti critici per attivare dei meccanismi di difesa verso gli atteggiamenti sessisti diffusi. Durante la prima lezione di giurisprudenza il concetto che il professore volle farci capire fu la differenza tra legge e giustizia. La legge è impositiva, non sempre è giusta. La giustizia è sempre auspicabile, ma non sempre è raggiunta con le leggi.
L’obiettivo più urgente, quindi, è creare e diffondere consapevolezza rispetto ai diritti che ciascuno ha come persona, come essere umano, al di là della legislazione esistente.
Ti va di spiegare la scelta del nome Settenove?
Certo, Settenove è un riferimento diretto all’anno 1979 e il nome tradisce il mio background giuridico. Il Settantanove, infatti, è l’anno della CEDAW, la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, la convenzione che, per la prima volta, individua nello stereotipo di genere il seme della violenza e invita tutti gli Stati aderenti a eliminare gli elementi culturali che diano per scontato una prevalenza di un genere sull’altro. L’Italia la ratificò nel 1985 ma è ancora lontana dall’essere pienamente implementata.
Nello stesso anno la Rai ebbe l’audacia di mandare in onda il documentario Processo per stupro, con la regia di Loredana Rotondo. L’avvocata in difesa della vittima di stupro era Tina Lagostena Bassi. Il documentario ebbe il merito di mostrare al Paese il trattamento ignobile subito dalle vittime di stupro dai tribunali, trattate come imputate, poco di buono, distruttrici di una morale che era doveroso rispettare. Il documentario creò molto scalpore e a partire dalla sua messa in onda partì la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che avrebbe dovuto modificare gli articoli del Codice penale relativi allo stupro. Solo nel 1996 si giunse a un cambio legislativo che portò al passaggio del reato di stupro da reato contro la morale pubblica a reato contro la persona, un cambiamento epocale che arrivò solo nel 1996 ma che partì da quel documentario del 1979.
La casa editrice è divisa in sei collane. Potresti, a partire da un titolo (uno per collana) che ritieni emblematico, raccontare la specificità di ogni settore?
Ciò che mi preme raccontare è che Settenove è un progetto ‘integrato’ contro la discriminazione di genere che contiene strumenti con registri diversi nel proprio catalogo, e questo consente all’albo illustrato maggior libertà narrativa: nessun albo è investito di qualche responsabilità e ciò consente di non incorrere in stereotipi o forzature. Ecco un libro per collana e il suo obiettivo:
Selvaggia, nella collana Albi illustrati e cartonati, per raccontare in modo divertente e romantico i sentimenti che derivano dalle pressioni sociali e capacità di autodeterminarsi, cercando di raggiungere ogni tipo di pubblico, nella speranza che ciascuno possa farsi domande sull’idea di normalità.
L’intera collana Storie nella storia per raccontare il grande contributo delle donne e di altri soggetti che la didattica della Storia si ostina ancora a non menzionare nell’evoluzione della nostra umanità.
Period girl, nella collana di narrativa, per smontare i tabù in una storia avvincente che intreccia femminismo, ecologia e alleanze intergenerazionali.
Leggere senza stereotipi, nella collana EDU (Educazione al genere), per offrire strumenti di formazione a educatori, educatrici, insegnanti e genitori, che vogliano affrontare i temi del corpo, delle relazioni, delle discriminazioni attraverso il gioco e gli albi illustrati.
Le conseguenze: i femminicidi e lo sguardo di chi resta nella collana Lo scellino, per denunciare l’abbandono sociale delle famiglie che hanno sofferto un femminicidio e promuovere un dibattito sul tema.
Riguardarsi: i centri antiviolenza fra politica, competenze e pratiche di intervento nella collana Documenti, l’esito della riflessione dei centri antiviolenza italiani sorti dal movimento politico delle donne per offrire risposte puntuali e decise alla violenza maschile verso le donne.
Quando pubblichi un libro per bambini e bambine come lo scegli? Quali sono le prime necessità che ti spingono a pubblicarlo?
A volte alcune proposte sembrano perfette per essere inserite nel catalogo, altre volte sento la necessità di affrontare temi specifici e aspetto il libro adatto attraverso il quale trattare l’argomento. Nella scelta i criteri sono molti e soggettivi ma la linea editoriale è tanto rigida quanto semplice nella sua descrizione: la trama può riguardare qualsiasi cosa, ma le storie devono raccontare la realtà senza filtri o pregiudizi, e non solo di genere. Prestiamo attenzione alle caratteristiche dei personaggi, ai ruoli e alla rappresentazione della violenza, nel caso della narrativa. La parte più impegnativa del lavoro è proprio l’editing, che si svolge con rigore sia nei testi che nelle immagini per evitare stereotipie da un lato e artifici dall’altro. Il lavoro di concerto con autori, autrici, illustratori e illustratrici quindi è fondamentale, così come la loro e nostra volontà di metterci in discussione e analizzare insieme pregiudizi e cliché inconsapevoli.
Qual è oggi il ruolo della scuola nel contrasto alle discriminazioni di genere?
Al di là del programma e degli argomenti delle materie di studio – che ovviamente hanno un’incidenza considerevole – chiunque stia a contatto con l’infanzia e l’adolescenza dovrebbe prendere coscienza del proprio ‘curriculum nascosto’ e farci i conti. Le ricerche pedagogiche chiamano curriculum nascosto quell’insieme di valori, credenze, idee che ci arrivano dalla storia familiare, dal contesto, dalla provenienza geografica o sociale, che inevitabilmente riversiamo durante la relazione educativa. È difficile contrastare un immaginario discriminatorio interiorizzato, ma farci caso è un passo importante, far caso alle nostre azioni spontanee: chi censurano, chi premiano, perché? Il perché è la domanda centrale che dovremmo porci.
Dal 2013 a oggi rilevi una trasformazione in ambito editoriale nel panorama italiano e non solo rispetto ai temi dell’identità di genere e al contrasto degli stereotipi? Se sì quali sono?
Ora se ne parla molto più di prima. Settenove nasce a settembre del 2013, poche settimane prima dello scoppio mediatico del fenomeno ‘ideologia gender’ e da allora si è progressivamente creato un muro contro muro tra due fazioni opposte: una visione aperta e progressista ispirata all’autodeterminazione e alla libertà delle persone e una reazionaria preoccupata per la tenuta dell’ordine sociale, minacciato dalla rottura dei ruoli tradizionali che coinvolge uomini e donne, senza troppe distinzioni, purtroppo. Tuttavia, i ruoli tradizionali si fondavano e si fondano ancora sull’oppressione del genere non maschile a favore di uomini che in questo modo possono mantenere il controllo della società sfruttando i privilegi del proprio genere, uno tra tutti: avere la possibilità di sviluppare la propria personalità, competenza, carriera e passione con il supporto e l’abnegazione delle donne totalmente a loro dedicate.
L’impegno nel mostrare la stortura di questo sistema a uomini e donne, a evidenziare come i ruoli tradizionali non siano di supporto alla famiglia ma solo a quegli uomini che vogliono mantenere i privilegi a scapito delle relazioni umane, ha avuto effetti positivi e sempre più persone hanno il desiderio di essere coinvolte in questo ambito di lotta, anche attraverso le letture offerte ai più piccoli o un approfondimento. Dal 2013 a oggi sono nate tante case editrici indipendenti che offrono una saggistica popolare sui temi di genere. E, complice anche la maggior attenzione mediatica, anche la letteratura per l’infanzia ha riservato un’attenzione sempre maggiore a questi temi in modo più o meno esplicito.
Potresti raccontare il progetto Cut all Ties, finanziato dalla Commissione europea e ideato dall’associazione italiana ACRA (Milano), ABD (Barcellona) e Citibeats (Barcellona)?
Cut all ties è uno dei primi progetti internazionali per il contrasto alla violenza di genere tra adolescenti. Nota come teen dating violence, ossia violenza nelle prime relazioni affettive, è un fenomeno molto presente ma totalmente sottostimato per ragioni culturali e non trattato adeguatamente per un gap nella legislazione: le ragazze minorenni vittime di violenza non possono essere prese in carico dai centri antiviolenza, i luoghi competenti per la minore età restano i consultori ma spesso non sono formati per la presa in carico di un problema così specifico. La prevenzione quindi è fondamentale. Il kit realizzato prevede una formazione specifica per gli insegnanti e, in seguito, un percorso nelle classi.
Arriva il graphic novel per bambini e bambine
di Elisabetta Mongardi
«Valutare lo stato di salute del fumetto per ragazzi e ragazze in Italia è un’operazione complicata» [Gaspari, 2019, p. 184]: così si apriva un approfondimento pubblicato sull’edizione 2018 della guida bibliografica Scelte di classe. A distanza di soli quattro anni, l’incipit è ancora valido ma i presupposti sono completamente cambiati: se nel 2018 si lamentava una produzione sottodimensionata del fumetto per l’infanzia e l’adolescenza, oggi la condizione è quella opposta.
Nel corso degli ultimi tre anni, infatti, quasi tutti i principali editori di narrativa per l’infanzia hanno ampliato o inaugurato collane di fumetti rivolte a bambini, bambine (specialmente tra gli 8 e gli 11 anni) e adolescenti.
Secondo i dati dell’Associazione italiana editori pubblicati in occasione dell’ultimo Salone internazionale del libro, nel 2021 sono state vendute, nelle librerie fisiche e online, 11.543 milioni di copie di fumetti, con una crescita del 256% rispetto al 2019. Sempre secondo il rapporto, «dei 100.245 milioni di euro spesi in fumetti nelle librerie e nei supermercati nel 2021, 58,3 milioni (il 58,1%) sono manga, 29,7 milioni (il 29,7%) graphic novel, fumetti e comic strip, 12,2 milioni (il 12,2%) fumetti per bambini e ragazzi”» [AIE, 2022a].
Il risultato di questi numeri è un panorama fin troppo variegato fatto di cataloghi che tengono insieme, spesso senza un progetto di fondo esplicito, best seller internazionali, produzioni autoriali, adattamenti e trasposizioni (di classici della letteratura, serie animate, progetti nati su YouTube e TikTok), fumetti di pura fiction e divulgativi (rientrano qui l’esplosione delle biografie e i libri che tentano di spiegare gli argomenti più disparati, dal femminismo alla fusione degli atomi), fumetti in senso stretto e testi che si muovono al confine con l’illustrazione.
Per orientarsi in questo contesto è utile mettere dei punti fermi, a partire dalle origini: l’Italia ha una tradizione radicata nel fumetto per bambini e bambine almeno dall’inizio del XX secolo, quando sulle pagine de Il Corriere dei piccoli pubblicavano nomi come Attilio Mussino, Antonio Rubino, Sergio Tofano e più avanti Grazia Nidasio. Pur trattandosi di veri giganti, la loro produzione è rimasta a lungo relegata a pubblicazioni specializzate, contribuendo a rafforzare l’idea – ancora oggi, in certi contesti, difficile da scardinare – che il fumetto sia un linguaggio infantile.
Questo primo punto serve a comprendere alcune tendenze ancora oggi diffuse, come l’aumento dei progetti editoriali che propongono il fumetto come linguaggio più semplice della parola scritta, più accessibile, più adatto a lettrici e lettori considerati ‘deboli’.
Negli anni Dieci del Duemila, alcune case editrici hanno provato a scalfire questo pregiudizio, avviando un processo che ha portato all’attuale boom di mercato.
Tra queste vanno nominate Tunué, la prima a lanciare una collana di fumetti per ragazzi e ragazze nel 2010; Il Castoro, che nel 2014 ha portato in Italia Raina Telgemeier aprendo il mercato al graphic novel per la fascia 11-13 anni; e, sul fronte dell’editoria indipendente, Canicola, che con la pubblicazione dell’antologia Canicola bambini nel 2011, e più tardi con il progetto editoriale omonimo, ha mostrato un modo ricercato di rivolgersi all’infanzia con il fumetto. Nelle interviste che seguono, ogni editore ripercorre l’evoluzione del proprio catalogo per tentare di ricostruire i movimenti che hanno aperto la strada all’arrivo massiccio del fumetto per l’infanzia sul mercato.
Oggi, infatti, si assiste a un ribaltamento rispetto al punto di partenza: se prima il fumetto era relegato ad arte minore perché considerato un linguaggio ‘da bambini’, per lo stesso motivo oggi se ne produce moltissimo, a fronte di statistiche di lettura per nulla confortanti. Si tratta di una bolla che riguarda l’intero settore del fumetto – o del graphic novel, fortunata etichetta usata spesso a sproposito – ma che è ancora più interessante osservare quando si parla di lettori e lettrici giovani, spesso poco alfabetizzati al linguaggio, che difficilmente hanno la possibilità di scegliere in autonomia cosa acquistare (e quando ce l’hanno si dirigono verso altre pubblicazioni, come i manga).
Le storie di queste case editrici sono esemplari anche perché, avendo agito da pioniere, hanno dovuto misurarsi con la costruzione di un pubblico che un decennio fa non esisteva nei termini in cui lo si definisce oggi. Le loro riflessioni, così come i loro inciampi e colpi di fortuna, possono quindi essere utili per immaginare il futuro del settore.
Tunué (Latina)
Nata nel 2004, è la prima in Italia a lanciare una collana di fumetto per ragazzi e ragazze, Tipitondi. L’anno è il 2010 e Tipitondi rimane a lungo l’unica a rivolgersi a una fascia altrimenti trascurata dall’editoria a fumetti. La collana inaugura con Octave di Alfred e David Chauvel, classico del fumetto francese, e conta a oggi decine di titoli che vanno dalle traduzioni di autrici e autori internazionali, specialmente di area francofona e statunitense (due nomi su tutti: Jérémie Moreau e Gene Luen Yang) alla produzione di fumetti italiani (Silvia Vecchini e Sualzo, Gud, Teresa Radice e Stefano Turconi). Tunué lavora molto anche sulla serialità e il suo catalogo ospita le trasposizioni a fumetti di celebri serie animate come Steven Universe e Avatar: the last airbender, le strisce di Pera Toons (autore, youtuber e tiktoker) e serie italiane come la storica Monster allergy.
Intervista a Massimiliano Clemente, direttore editoriale
Tunué è stata la prima casa editrice a lanciare una collana dedicata al fumetto per l’infanzia, Tipitondi, nel 2010. Ci racconti com’è nata questa intuizione?
C’era questo nome che mi frullava in testa fin da prima del battesimo della Tunué: la casa editrice avrebbe potuto chiamarsi Tipitondi, ma poi scegliemmo l’altro nome, non legato a particolari significati, dove a prevalere erano il suono e la suggestione. Dovevo assolutamente usarlo prima che qualcun altro se ne appropriasse! Al di là dell’aneddoto e del lato incosciente del nostro fare editoria degli esordi, quelli erano gli anni in cui cercavamo di sistematizzare il nostro progetto editoriale, declinando in collane la visione della casa editrice.
In Italia, salvo sporadiche uscite, nel settore fumetti per ragazzi non c’era un’offerta così estesa. Soprattutto mancava una piattaforma in grado di raccogliere un certo modo di fare fumetto, sia per tematiche sia per stili grafici: portare il graphic novel ai lettori più piccoli senza annacquare la forza delle storie, semplificare il segno, precludere certi temi. Perché con la narrativa si poteva parlare di tutto, e nel fumetto ancora non si arrivava a queste proposte?
Poi c’erano tanti disegnatori e sceneggiatori – soprattutto quelli legati alla serialità storica del fumetto italiano, dove i personaggi finivano con il prevalere sulle professionalità – che non vedevano l’ora di raccontare storie personali, di sfruttare il formato grande, di emergere come autori e trovarsi in un catalogo che avesse una sua coerenza. Ecco, i Tipitondi hanno assolto questa funzione e sono diventati un marchio riconoscibile di graphic novel per ragazzi e ragazze, conquistando la fiducia di insegnanti, educatori, bibliotecari e figliando collane simili in altre realtà editoriali.
Se dovessi ricostruire l’evoluzione della collana attraverso alcuni titoli significativi, quali sceglieresti?
Octave di Alfred e David Chauvel, un manifesto programmatico, il dialogo perfetto di storia e disegno, una tematica importante.
Viola giramondo di Teresa Radice e Stefano Turconi: il primo passo di due grandi autori emersi dal mondo Disney.
Timothy top, il lancio di Gud ai vertici del fumetto per ragazzi.
Fiato sospeso di Silvia Vecchini e Sualzo: pura poesia grafica e narrativa.
La memoria dell’acqua di Mathièu Reynes e Valérie Vernay: il nuovo fumetto francese che affascina anche gli adulti.
Monster allergy: il meglio degli autori italiani su una collana rivoluzionaria, Tipotondo honoris causa.
New kid di Jerry Craft: il mercato nordamericano, il primo graphic novel a vincere la Newbery Medal.
Il Regno di carta di Chad Sell: il ‘facciamo finta che’, l’avventura inclusiva e colorata.
Hai citato Monster allergy, una serie che ha esordito nel 2003 e che rientra nel tentativo, portato avanti da Disney Italia in quegli anni, di produrre serie originali che riprendessero lo stile di certi prodotti statunitensi, mescolate a un’estetica da manga mainstream (come PK o W.I.T.C.H.). Monster allergy raduna alcuni dei nomi più importanti della scuderia Disney (Alessandro Barbucci, Barbara Canepa, Francesco Artibani, Katja Centomo), ma Tunué è anche l’editore di serie internazionali, come l’adattamento di Avatar: the last airbender, saga ambientata in un mondo fantasy di ispirazione orientale e disegnata da Gene Luen Yang, o Steven Universe di Rebecca Sugar, a oggi la prima serie a marchio Cartoon Network creata da una donna. Quali differenze vedi rispetto al mercato italiano? Quanto l’influenza di altri contesti si fa sentire nella produzione di serie a fumetti in Italia?
Monster allergy è stata rivoluzionaria: ha portato per la prima volta in casa Disney argomenti forti (pensiamo alla morte) e stili ibridi. È stata una collana che ha visto sfilare autori che oggi stanno scrivendo l’attualità del fumetto italiano. Portarla in Tunué, sviluppando le nuove storie, è stato un risultato straordinario che ci ha permesso di lavorare a stretto contatto con il gruppo creativo, stabilendo rapporti lavorativi che stanno prendendo anche altre direzioni.
Le serie che hai citato (alle quali aggiungo The Legend of Korra di Michael Dante DiMartino e Irene Koh, che amplia l’universo di Avatar), pur utilizzando trame avventurose e fantastiche raccontano la contemporaneità, offrono ai lettori un elevato livello di immedesimazione nel vissuto dei protagonisti, si sviluppano per ampi cicli narrativi, hanno diramazioni simboliche nell’immaginario contemporaneo.
Oggi, infatti, la grande sfida è con i manga, che vincono perché non hanno limiti di durata, di trama, di tema. Non sono storie dritte, ma invitano a entrare in un mondo, alimentando sapientemente il desiderio di sprofondare negli universi narrativi.
Un nome che non hai citato ma che senz’altro dev’essere stato importante è Shaun Tan, in Italia conosciuto soprattutto per L’approdo. Il suo è un caso emblematico perché si tratta di un autore che si muove al confine tra fumetto e illustrazione, anticipando una tendenza a ibridare i linguaggi che oggi si è fatta più pervasiva. Come si pone Tunué rispetto alla mescolanza dei linguaggi? È una direzione in cui intendete lavorare?
Siamo orgogliosi di aver riportato Shaun Tan sugli scaffali delle librerie italiane in maniera organica e puntuale, con edizioni prestigiose e una cura editoriale di alto livello. Un gigante dell’illustrazione internazionale come lui meritava una presenza costante.
L’approdo è ormai un classico contemporaneo, sempre più necessario (e mai come in questo caso è lecito usare questo aggettivo), che parla a ogni generazione perché racconta di uomini e confini, e lo fa usando un linguaggio ibrido con il coraggio di osare, di spingere sulla sperimentazione senza preoccuparsi di piacere a un generico lettore tipo.
Questi sono i miracoli che riescono solo ai grandi, però: non sono lo standard e non garantiscono la riuscita di un progetto. Proprio per questo la sperimentazione deve essere gestita con estrema attenzione da editori come noi, perché l’obiettivo primario deve essere portare le storie ai lettori, diffondere il più possibile la lettura, creare una massa critica di appassionati, lavorare per gli autori affinché la loro creatività non sia vanificata.
Nel nostro catalogo abbiamo qualche esperimento di ibridazione, oltre a L’approdo: un lavoro di Silvia Vecchini e Sualzo, Forse l’amore; l’inedito di Luigi Bernardi curato da Otto Gabos, Quaderno di disciplina, un romanzo che alla prosa affianca il fumetto e l’illustrazione in un unico flusso narrativo.
Alcuni dei titoli del vostro catalogo sono sì fumetti, ma si inseriscono in un sistema culturale integrato che prevede il prolungamento di storie nate su altri mezzi: internet o la serialità TV. Ci vengono in mente le strisce di Pera Toons, che hanno una vita anche sul web. Qual è la vostra politica editoriale in questo senso?
In Tunué lavoriamo per espandere il più possibile gli universi narrativi che prendono vita nelle storie che pubblichiamo. Che siano cinema, TV, merchandising, animazione, social ecc., se una property è forte e se gli artisti sono pronti a cogliere le possibilità di sviluppo che si presentano, noi mettiamo a disposizione tutte le risorse disponibili.
Pera Toons è uno straordinario esempio di autore che cavalca da protagonista l’onda social, la conosce in profondità, sa che traiettorie prendere, padroneggia la tecnica e la teoria: dietro le sue freddure c’è un mondo sorprendente, una volontà di ferro, un metodo.
Poi c’è la serie 7CRIMINI di Katja Centomo ed Emanuele Sciarretta: la prima grande produzione seriale targata Tunué, pensata proprio per affrontare il sistema culturale integrato, progettata per essere declinata in più linguaggi. Viviamo in un sistema che vuole le storie e noi facciamo il possibile per dargliele.
Come gestite l’equilibrio tra importazione di fumetti esteri e produzioni originali?
Non è una questione di titoli esteri e produzioni originali, quanto piuttosto di temi, collane, target: cerchiamo di bilanciare le uscite per ogni giro promozionale senza sovrapporre i libri che potrebbero cannibalizzarsi a scaffale o farsi concorrenza nella comunicazione. Siamo felici quando una storia che abbiamo scelto, italiana o in traduzione, riesce a parlare da sola, dimostra la sua forza perché è il titolo giusto, nel momento giusto, e trova il suo lettore in modo del tutto naturale.
Come definiresti, dal punto di vista visivo, lo ‘stile Tunué’? C’è una predilezione per certi stili ed estetiche rispetto ad altri? Da cosa è mossa?
Vorrei andare oltre la dicotomia irrisolvibile che vuole una scelta tra libri ‘dai disegni magnifici che affiancano una storia mediocre’ o libri che hanno una ‘storia superba accompagnata da disegni approssimativi’. La magica perfezione (che però corre il rischio di sconfinare nelle massime di Riccardo Pazzaglia) esiste, la si può riconoscere sin dal primo incontro, ma è evento raro che richiede tempo e dedizione, pazienza e ricerca.
Nel quotidiano, mi piacerebbe che i libri Tunué, al di là della varietà grafica e stilistica, dei formati cartotecnici e dei temi trattati, fossero riconoscibili per un mood specifico: storie che valga la pena raccontare perché ci sono lettori che le desiderano.
Dal 2018 Tunué fa parte del gruppo Il Castoro, con cui arriva a coprire circa il 20% del mercato italiano del settore. Quali sono state risorse e vantaggi di questo connubio?
Siamo passati da un’editoria di entusiasmo, quasi ombelicale, a un approccio basato sull’ascolto. Ascoltare, pensare, agire. L’editoria non è affare di una persona né di idee granitiche, ma è fatta di confronti continui, condivisioni, aperture. Solo così le visioni che ci guidano possono trovare chi è in grado di recepirle.
Il Castoro (Milano)
Nasce a Milano come editore specializzato in cinema nel 1993 e nel 1999 comincia il suo percorso nel settore dei libri per ragazzi e ragazze. Ma è nel 2014 che si apre davvero al fumetto con l’inaugurazione della collana Graphic novel. Non è un caso che l’anno di nascita della collana coincida con l’uscita dell’edizione italiana di un fumetto che ha sconvolto il settore: Smile, esordio della statunitense Raina Telgemeier.
Le vicende di Raina, alter ego dell’autrice, nel periodo tra le scuole medie e le superiori, riprendono gli stilemi del graphic novel per adulti e li adattano a un pubblico giovanissimo. La formula funziona: Smile vende un milione e mezzo di copie e viene tradotto in ventidue paesi, arrivando a creare da solo un segmento di mercato fino a quel momento inesplorato, quello del graphic novel per la fascia 11-13 anni.
L’incontro felice con il successo di Smile permette a Il Castoro di allargare la produzione, generando una spinta che investe anche il resto dell’editoria specializzata. Negli anni, la collana ospita nomi importanti del fumetto statunitense – Mariko Tamaki, Hope Larson, Victoria Jamieson – e al contempo coltiva alcuni talenti italiani, primi fra tutti Silvia Vecchini e Sualzo. Il Castoro è anche l’editore italiano di un altro caso editoriale: Diario di una schiappa di Jeff Kinney: spesso considerato un fumetto anche se le sue caratteristiche lo rendono piuttosto un ibrido, ha venduto più di 250 milioni di copie in tutto il mondo, contribuendo a consolidare la centralità della casa editrice. Con un catalogo ampio per stili e fasce d’età, oggi Il Castoro rappresenta una fetta importante del mercato del fumetto per ragazzi e ragazze, anche grazie all’acquisizione, nel 2017 e nel 2018 rispettivamente, di una partecipazione nelle Edizioni Sonda e in Tunué.
Intervista a Giusy Scarfone, editor
La collana Graphic novel nasce nel 2014 anche grazie all’incontro fortunato con un fumetto in particolare, Smile di Raina Telgemeier, un titolo che da solo è riuscito a scuotere il mercato del fumetto per la fascia 11-13, negli USA e in Italia. Che importanza ha avuto questo libro nel percorso della casa editrice? In che modo il suo successo ha influenzato le scelte editoriali successive?
Quando abbiamo letto Smile è stato amore a prima vista. Era un libro nuovo, fresco, originale, e al tempo stesso aveva la caratteristica che da sempre ricerchiamo in tutte le nostre pubblicazioni: era una bella storia. Così abbiamo iniziato: Raina Telgemeier è stata in grado, da sola, di aprire il pubblico e il mercato a un prodotto nuovo, il graphic novel per ragazzi, e di tracciare delle linee guida che subito sono state seguite da molti fumettisti e fumettiste.
Nelle nostre scelte successive – pensiamo a nomi come Victoria Jamieson o Shannon Hale –, abbiamo sempre posto grande attenzione alla storia e al segno: questi due elementi dovevano sposarsi bene ed essere di immediata lettura per il nostro pubblico.
A partire dal successo di Smile, Il Castoro si è gradualmente aperto al fumetto per ragazzi e ragazze e oggi è una delle principali case editrici italiane del settore. Quali sono i titoli che più hanno segnato questa evoluzione?
Ci sono alcune tappe fondamentali che intrecciano la storia del graphic novel per ragazzi e quella del nostro catalogo. La prima è, come dicevamo, l’incontro con Smile di Raina Telgemeier nel 2014, che ha segnato l’inaugurazione della collana Graphic novel. È stato l’inizio di tutto.
La seconda è stata la scelta di aprirsi al graphic novel italiano. Qui il pensiero va all’incontro felice con una delle coppie più amate del fumetto per ragazzi in Italia, Silvia Vecchini e Sualzo, con la pubblicazione de La zona rossa nel 2017.
Un’ulteriore tappa che suggella il grande lavoro fatto in questi anni su progetti originali e homemade è costituita dai riconoscimenti e dai premi ottenuti da alcuni titoli prodotti in proprio: Girotondo di Sergio Rossi (Premio Andersen Miglior libro a fumetti 2021), Le parole possono tutto dei già citati Silvia Vecchini e Sualzo (Premio Laura Orvieto 2019-2021) e l’antologia Fai rumore (Premio Boscarato Miglior fumetto per un pubblico giovane 2022).
In questo senso, il vostro catalogo è molto variegato: si va dai best seller internazionali (un caso su tutti è Diario di una schiappa di Jeff Kinney) a fumetti che si muovono in una dimensione più vicina al fumetto d’autore per adulti (come quelli di Hope Larson o Ryan Andrews); dalla fiction pura a titoli divulgativi. C’è uno spirito affine che accomuna le vostre scelte, un modo di guardare il mondo e l’infanzia?
Ancora una volta, mi viene da rispondere che la caratteristica comune è la qualità delle storie. L’eterogeneità del nostro catalogo è sempre stata espressione di una volontà di ricerca, di interesse, di curiosità. Ci divertiamo a sperimentare, a leggere le cose più diverse e ogni tanto anche a osare. Ma tutto questo non deve mai far venire meno la qualità che ricerchiamo nei nostri libri e che i lettori si aspettano da noi.
A proposito di sperimentazione, di recente vi siete aperti al mondo supereroistico con la collana Graphic novels for young adults del colosso statunitense DC Comics. È una scelta insolita, considerando che la maggior parte dei fumetti di questo tipo in Italia viene pubblicata da editori con un’identità e una storia molto diverse dalle vostre? Come mai avete deciso di puntare su questa serie?
Questa collana è stata una sfida in molti sensi. Per noi, è stata un modo per avvicinarci al genere supereroistico senza perdere la cifra stilistica di qualità e coerenza editoriale (tutti i graphic novel della collana sono scritti da grandi autori e autrici, e illustrati da artisti e artiste incredibili. Qualche nome: Kami Garcia, Mariko Tamaki, Shannon Hale, Dean Hale, Gabriel Picolo). Ma è stata una sfida anche per DC Comics, che per la prima volta ha lavorato sul graphic novel, quindi su storie di ampio respiro e autoconclusive, e non sulla serialità che invece è la dimensione tipica delle sue pubblicazioni.
Come gestite l’equilibrio fra traduzioni e creazione di titoli originali? Quanto e come vi muovete a livello di scouting?
Negli ultimi anni abbiamo decisamente incrementato la produzione di fumetti italiani. È un lavoro lungo e complesso, ed è per questo motivo che una percentuale ancora molto alta dei fumetti che pubblichiamo è acquisita dall’estero. L’incremento della ricerca è una parte molto bella del nostro lavoro: le fiere del settore (Lucca Comics and games e ARF! su tutte) ci permettono di entrare in contatto anche con giovanissimi fumettisti, e di iniziare insieme a loro un percorso di crescita e scoperta.
Una domanda difficile: come vedete il futuro del settore?
Il successo dei fumetti continua: in libreria c’è sempre più attenzione verso questo linguaggio – un’attenzione trainata anche dall’esplosione del manga – e i lettori sono in costante aumento. È difficile prevedere cosa accadrà da qui a qualche anno, ma finché ci saranno buoni fumetti in circolazione abbiamo la sicurezza che i lettori non mancheranno.
Canicola (Bologna)
Canicola nasce nel 2005 a Bologna per volontà di Edo Chieregato, Liliana Cupido e di un gruppo di autrici e autori di fumetto: Andrea Bruno, Davide Catania, Giacomo Nanni, Giacomo Monti, Michelangelo Setola, Alessandro Tota e Amanda Vähämäki. Inizialmente costituita come associazione culturale, Canicola diventa negli anni una casa editrice indipendente a tutti gli effetti.
Nella prima fase della sua attività, si dedica alla pubblicazione della rivista antologica Canicola, che segna una frattura rispetto all’estetica delle riviste di fumetto di quel periodo. I racconti pubblicati sui suoi dodici numeri, infatti, si lasciano alle spalle l’immaginario della scena underground in favore di un segno espressionista, fragile e volutamente ‘incerto’. Questa tensione si ritrova anche nella produzione per bambine e bambini, inaugurata nel 2011 con il numero della rivista intitolato Canicola bambini che lancia una sfida ad artiste e artisti abituati a rivolgersi a un pubblico adulto: disegnare un racconto breve che sappia dialogare con l’infanzia senza sacrificare la complessità. L’esperimento funziona e diventa l’inizio di un progetto che sfocia, nel 2017, nella creazione della collana Dino Buzzati che raccoglie autrici e autori come Sophia Martineck, Marino Neri, Kalina Muhova, Michelangelo Setola, Nicolas Robel, Alessandro Tota, Tuono Pettinato. I titoli della collana sono spesso al centro di percorsi didattici organizzati con scuole, biblioteche, musei e istituzioni culturali per promuovere l’educazione alla lettura del fumetto dalla scuola dell’infanzia fino alle superiori.
Intervista a Liliana Cupido, editrice e editor
Canicola è un caso singolare nel panorama italiano del fumetto per l’infanzia: è nata come casa editrice di progetto ed è rimasta tale negli anni; e anche l’apertura all’infanzia è stata gestita secondo i criteri che guidano la produzione per adulti: un grande lavoro di ricerca artistica, uno stile sofisticato, la volontà di sfidare il pubblico con proposte ‘difficili’. Tutto nasce dall’antologia Canicola bambini del 2011, un volume che raccoglieva storie di grandi artiste e artisti: Anke Feuchtenberger, Vincenzo Filosa, Francesca Ghermandi, Giacomo Nanni ecc. Tutte persone che non si occupavano di infanzia. Ci racconti com’è nato il progetto?
Uno degli intenti di Canicola bambini era dimostrare che autrici e autori dal forte immaginario potessero intraprendere un dialogo con l’infanzia proprio in virtù della loro forza autoriale. Com’è naturale, alcune storie sono più riuscite e altre meno, ma i confini che quella raccolta ha tracciato – in una direzione più sperimentale e concettuale che strutturata – ci sembrarono un inizio molto buono.
È stata un’operazione provocatoria, una sfida e una riflessione su come raccontare a lettrici e lettori molto giovani attraverso il fumetto, allargando le prospettive stilistiche e le modalità narrative rispetto a modelli più tradizionali e stereotipati.
Quando abbiamo lavorato a Canicola bambini avevamo in testa stimoli provenienti dalle fonti più diverse: da Little Lit, la serie Mondadori curata da Art Spiegelman e Françoise Mouly, ai grandi come Joann Sfar o Lewis Trondheim; dai maestri del fumetto italiano che pubblicavano su Il Corriere dei piccoli alle opere sperimentali di José Parrondo. In definitiva, crediamo che i denominatori comuni di quelle storie fossero la voglia di mettersi in gioco e la massima libertà creativa di autrici e autori.
Da quell’esperienza siete arrivati, nel 2017, ad aprire la collana per l’infanzia Dino Buzzati. Una cosa che salta all’occhio osservandone i titoli è lo stile. Sono fumetti sofisticati, visivamente complessi e spesso più vicini, per estetica e atmosfere, ad alcune case editrici di albi illustrati – Topipittori, Corraini o Orecchio acerbo – più che alle tendenze attuali dell’editoria a fumetti per l’infanzia. Quando avete dato vita a questa collana che pubblico avevate in mente?
Come è successo con la nostra produzione per adulti, abbiamo sempre voluto rivolgere lo sguardo oltre il pubblico del solo fumetto, rivolgendoci a chi ama buone storie trasversali al cinema, alla letteratura, al teatro ecc. Così abbiamo concepito l’idea alla base della Dino Buzzati: proporre storie che per la loro apertura e specificità di stile potessero parlare a lettrici e lettori alla ricerca di visioni, di segni fuori dai cliché, di domande – senza necessariamente aspettarsi anche le risposte – e, in generale, di complessità linguistiche da decriptare con piacere.
A partire dalla veste grafica, progettata da Sarah Mazzetti, volevamo rivolgerci anche a un pubblico adulto che guarda al fumetto come a un prodotto per tutte le età, senza limitazioni. Non a caso nei nostri volumi non è mai indicata nessuna fascia d’età, questo anche a scapito dell’aspetto commerciale che punta al direct marketing.
Un’altra particolarità della collana è che include un buon numero di autrici e autori che normalmente non si occupano di infanzia. Quali sono le ragioni dietro questa scelta?
È vero: l’idea alla base della collana è coinvolgere principalmente autrici e autori non specialisti, la cui capacità visionaria possa però misurarsi con la narrazione per l’infanzia generando suggestioni uniche e punti di vista sul mondo in direzione di una complessità interpretativa lontana da stereotipi o banalizzazioni. Ci interessano storie che facciano perdere le coordinate, per cui lo stupore e la curiosità sono i motori che attivano il piacere della lettura.
Con autrici e autori, nel rispetto della loro libertà produttiva, abbiamo sempre un confronto assiduo sulla storia, sulla sceneggiatura, sull’impostazione grafica, sul lessico dei testi ecc. Fa tutto parte della scommessa pedagogica che vogliamo giocare, attribuendo un valore al concetto di complessità e rottura della simmetria, per stimolare una tensione alla dialettica e alla problematizzazione come strumenti importanti di interpretazione del reale.
C’è un legame molto stretto, nel vostro lavoro, tra produzione editoriale e attività didattica. La pubblicazione dei fumetti si accompagna a progetti di promozione della lettura nelle scuole, alla realizzazione di mostre e laboratori. Quanto queste due dimensioni sono integrate? Quanto sono motivate anche da questioni di sostenibilità economica?
Ci piace dire che con la produzione per bambine e bambini guardiamo i libri da dentro e da fuori: ne seguiamo l’ideazione e lo sviluppo, la progettazione grafica, l’impatto visivo, l’intreccio di immagini e testo, e contemporaneamente li pensiamo raccontati, immaginiamo la loro vita durante i laboratori e ci chiediamo quali possano essere gli spunti di riflessione che saranno capaci di sollevare in classe sul piano estetico e su quello della storia.
Questo doppio binario caratterizza il progetto da sempre, per una motivazione che prima ancora di essere di ordine economico è personale: la naturale prosecuzione di un percorso formativo (che vede me e Roberta Colombo in prima linea) in cui le attività laboratoriali erano l’oggetto principale di studio, esplorazione e sperimentazione.
Affrontare i percorsi pedagogici di Canicola ci ha aiutato a focalizzare gli obiettivi della collana. L’abbiamo intrapresa come una sfida, un po’ come facciamo con tutti i nostri progetti, ma forse ancor più degli altri vista la difficoltà di farla decollare da un punto di vista distributivo, di attenzione mediatica e conseguentemente economico.
In termini di sostenibilità, quindi, l’ancoraggio alle attività didattiche ha avuto una funzione importante, anche per garantire un prolungamento del ciclo vitale dei libri dopo i primissimi mesi dall’uscita.
Come si coniuga il lavoro di ricerca artistica e la necessità di rivolgersi a lettrici e lettori spesso digiuni di fumetto? Quali sono le vostre riflessioni rispetto alla necessità (o meno) di un’alfabetizzazione al linguaggio in questo momento di boom del mercato?
Sappiamo bene che, nonostante piccoli o grandi passi avanti mossi di recente da case editrici che hanno progetti dedicati all’infanzia continuativi e strutturati (solo per citarne tre: Tunué, Bao publishing e Il Castoro), ancora oggi il fumetto per bambine e bambini fatica a farsi strada nelle scuole. L’abitudine alla lettura del fumetto è raramente presente anche nelle famiglie, laddove il romanzo e l’albo illustrato hanno invece una collocazione e una funzione molto più precise. Questo dato di partenza, però, non influisce sulla sensibilità rispetto al linguaggio da parte di lettrici e lettori anche molto giovani. Se proponiamo loro buone storie, l’interesse verso il fumetto diventa fortissimo, e anche il desiderio di possedere i libri che raccontiamo è immediato.
Questo vale per le autrici, gli autori, la tipologia di racconti e gli stili più diversi. Il valore dei percorsi di alfabetizzazione al linguaggio è indubbio, così come lo è quello dei percorsi formativi rivolti a insegnanti che potrebbero essere veicolo di diffusione del fumetto a scuola, al pari di ogni altro linguaggio.
Alcuni dei vostri ultimi titoli, come Io sono Mare di Cristina Portolano o Diana sottosopra di Kalina Muhova, affrontano alcuni temi ‘caldi’ del presente (rispettivamente l’identità di genere e l’ecologia). Come si colloca la visione d’infanzia degli autori e delle autrici che scegliete, e di riflesso la vostra, rispetto a un momento storico in cui sembra che i libri debbano per forza affrontare in modo diretto temi di attualità?
Il punto di partenza per noi è sempre l’autrice o l’autore con cui scegliamo di lavorare, il suo stile, la sua poetica. Nella maggior parte dei casi sono proprio loro a proporci il nucleo narrativo attorno al quale sviluppare la storia, e quasi sempre questo nasce da un’urgenza di racconto personale, che va al di là dei confini tematici su cui poi la storia si muove.
Se la nostra scelta è dettata da un’intuizione rispetto al potenziale affabulatorio di una storia, o da un innamoramento verso uno stile o un certo mood narrativo, restiamo poi in ascolto per accogliere cosa realmente motiva l’autrice o l’autore a lavorare.
L’idea di affidare un progetto ai loro segni e al loro punto di vista è già di per sé una dichiarazione di intenti, e il confronto intenso durante la lavorazione mette sempre al centro quello che per loro dovrebbe essere il cuore – ben diverso dal tema – del racconto. Cerchiamo di lavorare sulla valorizzazione della loro espressione artistica, incentivando uno sguardo sull’infanzia il più possibile lontano da qualsiasi stereotipo e legato piuttosto all’idea di infanzia che si portano dentro, come esperienza vissuta.