N.2 2020 - La biblioteca nel mondo che verrà

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Digitalizzare, democratizzare

Robert Darnton

Department of History, Harvard University; robert_darnton@harvard.edu

L'articolo è disponibile in lingua originale in "Risorse".

Abstract

Traduzione dall’inglese di Rossana Morriello.

Qual è il futuro delle biblioteche di ricerca e come possiamo prepararci per affrontarlo? Queste domande non posso essere liquidate come “accademiche” – del tipo su cui si intrattengono i professori senza nessuna conseguenza sulla cittadinanza generale – perché vanno al cuore di ciò che il cittadino cerca ogni giorno: informazione e aiuto nel sistematizzarla per ottenere conoscenza pertinente.

Quando provo a prevedere il futuro, guardo al passato. Prendiamo, per esempio, la fantasia futuristica pubblicata nel 1771 da Louis Sébastien Mercier nel suo acclamato trattato utopistico L’an deux mille quatre cent quarante. Mercier si addormenta e si risveglia nella Parigi di sette secoli dopo la sua nascita (1740). Si ritrova in una società liberata da tutti i mali dell’Ancien régime. Nel capitolo culminante del primo volume, visita la biblioteca nazionale, aspettandosi di vedere migliaia di volumi splendidamente disposti come nella Biblioteca reale sotto Luigi XV. Con suo grande stupore, invece, trova solo una saletta con quattro piccoli scaffali. “Che cosa era successo all’enorme quantità di materiale a stampa che era stato accumulato fin dal XVIII secolo, quando già riempiva le biblioteche?” chiede. L’abbiamo bruciato, risponde il bibliotecario: 50.000 dizionari, 100.000 opere di poesia, 800.000 volumi sul diritto, 1.600.000 libri di viaggio e un miliardo di romanzi. Una commissione di eminenti studiosi li ha letti tutti, ha eliminato tutte le falsità e li ha ridotti all’essenziale: poche verità di base e precetti morali, che non occupano più di quattro scaffali.

Mercier era un sostenitore militante dell’Illuminismo e credeva fermamente nella parola scritta come agente di progresso. Non era favorevole al rogo dei libri. Ma la sua fantasia esprimeva un sentimento che oggi è diventato un’ossessione – la sensazione di essere sopraffatti dall’informazione e di impotenza di fronte alla necessità di trovare informazione pertinente in mezzo a montagne di effimero.

Il sovraccarico informativo non è una novità. Ha oppresso i lettori fin dal XVI secolo, se non prima. Ma adesso pone dei problemi rispetto alla progettazione della biblioteca del futuro. Deve essere elettronica, quasi senza libri, e simile alla sala di lettura immaginata da Mercier? Al posto dei suoi scaffali residuali, la biblioteca futura potrebbe contenere computer che si collegano ai motori di ricerca, e che cercano tra gli ammassi di dati per fornire ai lettori virtualmente qualsiasi libro al mondo.

Prima di perseguire questa idea, vorrei affermare due punti. Primo, dobbiamo essere consapevoli dei pericoli insiti nell’accumulo e nel controllo dell’informazione. Jorge Luis Borges ha mostrato in La biblioteca di Babele e Il libro di sabbia, e in altre storie, che le fantasie utopistiche possono rivelare futuri distopici. Una biblioteca universale integrata con i dati su tutte le nostre ricerche di informazione non minaccerebbe solo la nostra privacy; potrebbe porre le fondamenta per uno stato totalitario. Secondo, la nostra ossessione per i mezzi elettronici oscura il fatto che il codice – un libro che si poteva leggere voltando le pagine invece che srotolando un rotolo – ha resistito molto bene da quando è divenuto la modalità dominante di comunicazione nella seconda metà del II secolo d.C. Secondo Bowkers, sono apparsi 700.000 nuovi titoli in tutto il mondo nel 1998, 976.000 nel 2007 ed entro il 2021 il numero sarà ampiamente superiore a un milione. Solo per una piccola frazione erano elettronici.

Il potere durevole del codice illustra un principio generale nella storia della comunicazione: un mezzo non sostituisce un altro, perlomeno non nel breve periodo. La pubblicazione di manoscritti era ancora fiorente molto tempo dopo l’invenzione di Gutenberg; i giornali non hanno spazzato via i libri stampati; la radio non ha rimpiazzato il giornale; la televisione non ha distrutto la radio e internet non ha indotto gli spettatori ad abbandonare gli apparecchi televisivi. In realtà, la disponibilità di un libro ad accesso aperto su internet probabilmente stimola le vendite della versione a stampa di quello stesso libro. Il cambiamento tecnologico offre quindi un rassicurante messaggio di continuità?

No. L’invenzione dei mezzi di comunicazione elettronici è rivoluzionaria almeno quanto l’invenzione della stampa a caratteri mobili, e stiamo avendo le stesse difficoltà ad assimilarla che ebbero i lettori nel quindicesimo secolo rispetto ai testi stampati. Questa, per esempio, è una lettera che Niccolò Perotti, un erudito classicista italiano, scrisse a Francesco Guarnerio nel 1471, poco meno di vent’anni dopo l’invenzione di Gutenberg:

Negli ultimi tempi, mio caro Francesco, mi sono spesso congratulato con l’età nostra, quasi avessimo ottenuto proprio ora un dono grande, invero divino, con il nuovo tipo di scrittura di recente giuntoci dalla Germania. Vedevo infatti che un uomo solo poteva stampare in un mese ciò che parecchi amanuensi a stento avrebbero potuto portare a termine in un anno... Questo mi induceva a sperare che entro breve tempo avremmo avuto una tale quantità di libri, che non sarebbe rimasta una sola opera che non ci si potesse procurare per scarsità o mancanza di mezzi... Ora tuttavia – o fallacia dei pensieri umani! – vedo che le cose sono andate ben diversamente da come speravo. Infatti, adesso che chiunque è libero di stampare ciò che gli aggrada, sovente gli uomini trascurano l’eccellenza, per scrivere, a puro fine di divertimento, ciò che meglio sarebbe dimenticare, anzi cancellare da tutti i libri. E anche quando scrivono cose degne, le stravolgono e corrompono al punto che sarebbe di gran lunga preferibile fare a meno di tali libri, anziché spedirli in migliaia di copie in tutte le provincie del mondo, col rischio, ahimè, di diffondere un così gran numero di menzogne.

La posizione di Perotti somiglia a quelle dei critici di Google book search, me compreso, che si rammaricano per le imperfezioni testuali e le inesattezze bibliografiche del “nuovo modo di scrivere” portatoci da internet. Qualunque possa essere il futuro, sarà digitale, e il presente è un periodo di transizione, in cui i metodi di comunicazione a stampa e digitale coesistono. Stiamo già assistendo alla scomparsa di oggetti familiari: la macchina da scrivere è ormai relegata ai negozi di antiquariato; la cartolina postale, una curiosità; la lettera manoscritta va oltre la capacità della maggior parte dei giovani, che non sanno scrivere in carattere corsivo; il giornale quotidiano, estinto in molte città; la libreria locale, rimpiazzata dalle catene, a loro volta minacciate dai distributori su internet come Amazon. E la biblioteca?

I profeti della catastrofe avevano predetto che sarebbe stata annientata da Google. Nel 2004 Google si è avviato a digitalizzare tutti i libri del mondo. Ha cominciato ad Harvard e gli abbiamo dato accesso alle nostre collezioni, le più ampie di qualsiasi biblioteca di università al mondo. Ma quando Google ha chiesto di digitalizzare i nostri libri che erano coperti da copyright abbiamo detto di no. Google si è quindi rivolto con la stessa richiesta alle università del Michigan, di Stanford e della California. Loro hanno accettato e presto Google si è visto accusare di violazione del copyright dalla Authors Guild e dall’Association of American Publishers. Dopo tre anni e mezzo di negoziazione, le parti hanno raggiunto un accordo. Purtroppo, l’accordo ha trasformato quello che originariamente era un servizio di ricerca – Google aveva proposto di aiutare gli utenti a localizzare i testi all’interno del suo gigantesco database ma a non poterne leggere se non degli estratti – in una biblioteca commerciale. Com’è alla fine emerso, nelle intenzioni di Google book search noi del mondo delle biblioteche avremmo dovuto ricomprare i nostri libri in formato digitale con quote di sottoscrizione stabilite da Google che sarebbero state disastrose.

Il 22 marzo 2011 la Corte distrettuale federale per il Distretto meridionale di New York ha dichiarato l’accordo un monopolio illecito in concorrenza sleale. Di conseguenza, Google book search era morto. E tuttavia aveva fornito un esempio ispiratore e ancor prima di essere considerato illegale aveva generato una domanda: non sarebbe possibile creare una biblioteca non commerciale dedicata al bene pubblico collegando tutto il posseduto digitalizzato delle maggiori biblioteche in America?

Il 1 ottobre 2010, un gruppo di figure di spicco di fondazioni, biblioteche e nell’ambito delle scienze informatiche si è riunito ad Harvard per discutere la possibilità di applicare quel principio al mondo delle biblioteche nell’era digitale. Ci siamo subito trovati d’accordo che fosse possibile creare una Digital Public Library of America, e ci siamo messi al lavoro, individuando un’infrastruttura tecnica, una rete di biblioteche partecipanti e un centro amministrativo. Il 18 aprile 2013 la DPLA è stata lanciata. Le sue collezioni adesso contengono 35 milioni di libri e altri oggetti. Provengono da 4.300 istituzioni collocate in tutti e 50 gli stati, e sono utilizzate, gratuitamente, da lettori in tutto il mondo – con l’eccezione di una nazione, la Corea del Nord.

Esistono altri progetti simili – la Bibliotheca Alexandrina, Haithi Trust, Internet Archive. Uno di questi, Europeana, è particolarmente promettente, poiché collega le collezioni digitali di tutti i paesi dell’Unione europea. Nonostante l’UE la finanzi, ha bisogno di più supporto e maggiore crescita. Ciononostante, la sua infrastruttura tecnica è compatibile con quella della DPLA, aumentando le possibilità di creare un enorme sistema bibliotecario pubblico trans-Atlantico. La tecnologia e le risorse esistono per collegare le biblioteche in tutti gli altri continenti. Credo che entro il 2050 ci sarà una biblioteca globale, aperta a tutta l’umanità.

Tornando a Borges: l’ambizione di rendere tutti i libri disponibili per tutti gli esseri umani potrebbe sembrare la versione più oppressiva che si possa immaginare del sovraccarico informativo. Ma dobbiamo ricordare che solo una ristretta élite ha avuto accesso alle biblioteche per gran parte della storia. Anche la biblioteca apparentemente universale di Alessandria era chiusa a tutti eccetto pochi studiosi e la dinastia dei Tolomei. Ciò che conta principalmente, a mio avviso, è la democratizzazione dell’accesso alla cultura. Una volta che saranno all’interno della biblioteca globale, gli individui potranno farne quello che vogliono. Invece di annegare nella cultura consumistica di massa, saranno liberi di seguire il loro intuito, il loro istinto, le loro fantasie, i loro piaceri idiosincratici.

Se posso citare un esempio dalla mia esperienza personale: quando sono arrivato alla Harvard University come studente del primo anno ho appreso, con mio grande stupore, che agli studenti era consentito l’ingresso alla Houghton Library (la biblioteca di libri rari e manoscritti di Harvard). Raccogliendo tutto il mio coraggio, sono entrato e ho chiesto se, come avevo sentito, possedevano la copia di Melville dei Saggi di Emerson. Nel giro di pochi minuti è comparsa sul mio tavolo. Poiché Melville aveva scritto molte annotazioni a margine, mi sono ritrovato a leggere Emerson attraverso gli occhi di Melville – o almeno, a provarci.

Un frammento di quei marginalia è rimasto fissato nella mia memoria. Aveva a che fare con l’esperienza di Melville nel doppiare Capo Horn dove ci devono essere le acque più turbolente del mondo. A quei tempi pensavo che il mondo in generale fosse piuttosto turbolento, così sono stato catturato e coinvolto da una nota caustica posta vicino a un passaggio sul clima tempestoso. Emerson si era dilungato sull’anima del mondo e sulla natura transitoria della sofferenza, la quale, come qualsiasi marinaio poteva testimoniare, si placava come una tempesta. Melville si chiedeva a margine se Emerson avesse idea del terrore affrontato dai marinai sulle baleniere a Horn. L’ho letta come una lezione sul tratto ottimista della filosofia di Emerson.

Ritornato ad Harvard mezzo secolo dopo come bibliotecario dell’ateneo, quel ricordo è riaffiorato improvvisamente, accompagnato da una domanda: l’avevo interpretato bene? Tralasciando tutti gli appuntamenti in agenda, sono corso alla Houghton.

L’opportunità di sperimentare un déjà-vu non capita spesso. Ecco il risultato, un passaggio a p. 216 di Prudence nei Saggi di R.W. Emerson (Boston, 1847), che Melville aveva segnato con una grossa “X” a matita sul margine esterno: «Le paure della tempesta sono principalmente confinate al salotto e alla cabina. Il mandriano, il marinaio, ci si scontrano tutto il giorno, e la salute ne esce rinnovata da un pulsare vigoroso sotto il nevischio, così come al sole di giugno». Al fondo della pagina, Melville scarabocchia un’altra “X” e scrive: «Per uno che è stato esposto alle intemperie di Capo Horn come un comune marinaio, che cos’è questa roba».

Il commento a margine era persino più tagliente di quello che ricordavo, e la sensazione di avere in mano l’Emerson di Melville, un volumetto con una rilegatura economica in tessuto, era ancora più commovente. Questo genere di esperienza si può avere solo nelle sale libri rari. Tuttavia un’immagine digitalizzata della p. 216 di Prudence sarebbe sufficiente ad aiutare qualsiasi persona a leggere Emerson attraverso Melville. Difatti, la digitalizzazione rende possibile vedere cose che sono invisibili all’occhio senza un aiuto, come gli studiosi hanno imparato maneggiando le versioni digitali di testi quali l’antico manoscritto del Beowulf.

I cambiamenti tecnologici travolgono il panorama dell’informazione troppo rapidamente per consentire a chiunque di sapere come si presenterà tra dieci anni. Ma adesso è il momento di agire, se vogliamo incanalare il cambiamento per il beneficio di tutti. Abbiamo bisogno di azioni da parte dello stato per evitare il monopolio e interazione tra le biblioteche per promuovere un programma comune. Digitalizzare e democratizzare – non una formula facile, ma l’unica che funzionerà se ci prendiamo l’impegno di realizzare le possibilità aperte duemila anni fa con l’invenzione del codice.