N.1 2018 - I modelli biblioteconomici

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Dalla evidence-based librarianship alla narrative-based librarianship: percorsi di ricerca emergenti in Italia

Egizia Cecchi

Biblioteca civica “Elio Filippo Accrocca”, Cori; cecchi.egizia@gmail.com

Chiara Faggiolani

Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche, Sapienza Università di Roma; chiara.faggiolani@uniroma1.it

Roberta Montepeloso

Scuola di specializzazione in Beni archivistici e librari, Sapienza Università di Roma; roberta.montepeloso@gmail.com

Il contenuto dell’articolo è l’esito del confronto tra le tre Autrici, tuttavia la prima parte (La svolta narrativa della biblioteconomia italiana) è stata scritta da Chiara Faggiolani; la seconda parte (La biblioteca nell’immaginario: analisi della costruzione di un’idea) è stata scritta da Egizia Cecchi; la terza parte (Immaginario, percezione e visione della biblioteca pubblica contemporanea) è stata scritta da Roberta Montepeloso. Le immagini utilizzate nella seconda parte sono state recuperate dal web nel corso delle interviste.

Le fotografie della Memo sono ricavate dall’archivio del contest fotografico Wiki Loves Monuments Italia in Provincia di Pesaro e Urbino, ed. 2017, e disponibili in <http://wikilovesmonuments.wikimedia.it/wlm2017-liste-monumenti-ed-elenco-enti/marche/provincia-di-pesaro-e-urbino>.

Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 4 maggio 2018.

Abstract

L’articolo prende in esame il passaggio dalla cosiddetta evidence-based librarianship (EBL) alla narrative-based librarianship (NBL). La ridefinizione degli strumenti necessari al management dei servizi bibliotecari è in linea con la cosiddetta “svolta narrativa” delle scienze umane e sociali ed è approdata recentemente anche in Italia, dove gli strumenti della metodologia qualitativa sono stati rielaborati in una chiave specifica anche grazie al proliferare di indagini sul campo che ne fanno uso. Vengono descritte due ricerche sul campo sviluppate presso la Biblioteca comunale di Cori e la Mediateca Montanari di Fano che approfondiscono rispettivamente il tema dell’immaginario e della identità della biblioteca pubblica contemporanea. Le indagini sono state svolte nella cornice istituzionale della Scuola di specializzazione in Beni archivistici e librari della Sapienza Università di Roma, dove da qualche anno si sta lavorando molto attivamente in una logica NBL, sia attraverso la didattica, ovvero l’insegnamento dei metodi narrativi e delle tecniche di analisi qualitative, sia attraverso la ricerca, incentivando ricerche sul campo che ne facciano uso.

English abstract

This paper examines the transition from the so-called evidence-based librarianship (EBL) to the narrative-based librarianship (NBL). The redefinition of the tools necessary for library services management is coherent with “narrative turn” of SSH. This “narrative turn” has been raised recently in Italian debate, where qualitative research has been evolved also thanks to the proliferation of empirical researches that use it. In this paper we described two empirical researches: first is about Cori Public Library’ imaginary; second is about Fano Mediateca Montanari’s perception identity. These qualitative studies were carried out in the institutional framework of the School for advanced study in Archival and library science (Scuola di specializzazione in Beni archivistici e librari) at Sapienza University of Rome, where we are working on NBL both through teaching of narrative methods and through research by encouraging field research that uses it.

La “svolta narrativa” della biblioteconomia italiana

Di Chiara Faggiolani

A partire dalla fine degli anni Novanta si comincia a parlare nella biblioteconomia angloamericana di evidence-based librarianship (EBL), un approccio biblioteconomico – che nasce sulla scia della evidence-based medicine (EBM), vale a dire la “medicina basata sulle evidenze” – che promuove la raccolta e l’analisi di dati prodotti attraverso ricerche sul campo, per lo più di tipo quantitativo, per contribuire allo sviluppo della riflessione scientifica, della professione e della progettazione dei servizi bibliotecari. Si tratta di un approccio al management dei servizi bibliotecari che Jonathan D. Eldredge in un lavoro del 2002 ha definito in questo modo:

Today, we might define EBL as the movement that seeks to improve library practice by utilizing the best available evidence in conjunction with pragmatic perspectives developed from librarians’ working experiences. The best available evidence might be produced from either quantitative or qualitative research designs, depending upon the specific posed EBL question. EBL nevertheless encourages using more rigorous over less rigorous forms of evidence, when appropriate, while making decisions.

È più recente l’introduzione dell’espressione narrative-based librarianship (NBL), un approccio che enfatizza il ruolo che le tecniche etnografiche e la ricerca qualitativa possono avere nella logica evidence-based, a partire dall’idea che gli strumenti quantitativi da soli non possano essere sufficienti e che l’approccio narrativo si vada profilando come uno strumento fondamentale di interpretazione del senso e dell’identità della biblioteca contemporanea:

What does all this mean for the practice of librarianship? Well, perhaps it suggests that in order to improve our management practices, and the delivery of services to our clients, we need to take much more seriously the role of “story” and we need to find ways to capture “story” systematically as part of our evidence base. We need to acknowledge explicitly that, in fact, good managers have always relied on story – the anecdote shared in the corridor or the “war stories” swapped over a drink in the conference bar. But sharing anecdotes in a haphazard and random fashion is by no means an adequate response to the challenge of managing libraries in the moder world. Rather we need to develop new ways of capturing, sharing and using narrative as a systematic part of service delivery and management.

Questa ridefinizione degli strumenti necessari al management dei servizi bibliotecari è in linea con la cosiddetta “svolta narrativa” delle scienze umane e sociali ed è approdata recentemente anche in Italia, dove gli strumenti della metodologia qualitativa sono stati rielaborati in una chiave specifica anche grazie al proliferare di indagini sul campo che ne fanno uso. Del resto il fulcro del rapporto tra bibliotecari e utenti è esattamente una dinamica relazionale di matrice narrativa che rende tutte le tecniche di raccolta dati che fanno uso di questo approccio particolarmente congeniali alle attività di ricerca nel nostro settore.

La svolta narrativa, dunque, ci interessa particolarmente perché – come gli studi sociologici, psicologici e semiotici hanno dimostrato, nonostante per lungo tempo la ricerca basata sulle narrazioni abbia faticato a trovare pieno riconoscimento e legittimazione – il nostro ambiente di vita quotidiana è così tanto permeato di narrazioni che essa finisce per toccare anche «le nostre forme fondamentali di pensiero e la nostra stessa identità».

Per quanto riguarda la biblioteconomia italiana, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, non si è affatto trattato di un tentativo di esportazione/emulazione. Infatti, l’avvicinamento alla narrazione come strumento di conoscenza non è ascrivibile al passaggio dalla EBL alla NBL, ma al cosiddetto slittamento di paradigma della “biblioteconomia gestionale” verso la “biblioteconomia sociale” – di cui pure si parla in altri contributi di questo fascicolo – caratterizzato dall’ampliamento del bagaglio metodologico disciplinare e in particolare dall’acquisizione degli strumenti della metodologia della ricerca sociale. Fatto che spiega anche il significato dell’aggettivo “sociale” attribuito da alcuni alla biblioteconomia in questa sua fase evolutiva.

Potrebbe anche essere definita in modo diverso – “relazionale”, “interpretativa”, “ermeneutica” ecc. – ma credo che valga la pena pagare il prezzo dell’equivoco che l’aggettivo “sociale” porta inevitabilmente con sé per le ricadute teoriche, epistemologiche e metodologiche sulla disciplina.

L’avvicinamento alla metodologia della ricerca sociale, qualitativa in particolare, nel nostro Paese è stata una conseguenza naturale e diretta della centralità che alcuni temi hanno acquisito nella riflessione scientifica e professionale e della necessità – avvertita principalmente dal basso – di strumenti utili a spiegarli e comprenderli: il tema dell’identità della biblioteca contemporanea è il principale.

Il tema dell’“identità” non è ovviamente oggetto di studio specifico della nostra disciplina – «termine chiave d’ogni tempo, parola magica oggigiorno che sembra essere il movente e insieme il fine d’ogni concreto processo di significazione» –  ma quello dell’“identità della biblioteca” sì, e non sarebbe saggio e utile delegarlo ad altri.  Questo oggetto di studio è un esempio paradigmantico della necessità della nostra disciplina di riflettere sul valore delle proprie procedure conoscitive.

Dunque, l’apertura alla narrazione e l’acquisizione dei metodi che ne fanno uso può essere considerata una pratica acquisita bottom up, intreccio costante di elaborazione teorica e ricerca sul campo, fonte di ispirazione reciproca: la metodologia non è costruita in modo astratto ma viene elaborata in funzione del suo livello empirico soggiacente, ossia dei dati che ha in proposito di spiegare e comprendere, ma non senza la consapevolezza della necessità di un fondamento teorico ed epistemologico.

La narrazione diventa un metodo di studio della biblioteconomia italiana – un po’ come è accaduto in ambito sociologico – ed è la disciplina stessa a valorizzare il suo uso come mezzo per comunicare ma anche come strumento di indagine, restituendo legittimità alle parole degli individui coinvolti nelle indagini in biblioteca.

Come emerge chiaramente dalle ricerche empiriche che fanno uso di tecniche qualitative le narrazioni, ricavate attraverso interviste in profondità, focus group ecc. non hanno mai una funzionalità puramente “indicale” o descrittiva  – non sono cioè una semplice traccia lasciata dagli eventi – ma sono da intendersi come una vera e propria attività di costruzione strettamente relazionata all’assegnazione o al riconoscimento dell’identità della biblioteca. Le narrazioni, le storie raccontate sono uno strumento potentissimo di conoscenza poiché riflettono il punto di vista dei soggetti narranti e la collocazione della frequentazione della biblioteca nella loro personale organizzazione del mondo.

In questo contributo, con l’obiettivo di rendere conto di alcune sperimentazioni di questo approccio narrativo – o di questo passaggio dalla EBL alla NBL – e per sottolineare il ruolo e il valore che i racconti, le storie, le narrazioni possono avere per approfondire l’identità e l’immaginario connessi alla biblioteca, presentiamo due ricerche sul campo sviluppate all’interno della Scuola di specializzazione in Beni archivistici e librari della Sapienza Università di Roma, dove da qualche anno stiamo lavorando molto attivamente in una logica NBL, sia attraverso la didattica, ovvero l’insegnamento dei metodi narrativi e delle tecniche di analisi qualitative, sia attraverso la ricerca, incentivando ricerche sul campo che ne facciano uso.

Dagli studi in corso – come si vedrà, anche dai due che si presentano in queste pagine – emerge nitidamente come il nuovo paradigma biblioteconomico stia producendo una rielaborazione del precedente all’interno di nuove categorie interpretative, mettendo a punto strumenti di analisi capaci di esaltare e valorizzare il patrimonio di conoscenze già in essere. L’esito è una visione più complessa dei fenomeni che deriva dal tentativo di operare una sintesi tra posizioni che nelle fasi precedenti venivano considerate forse più incompatibili di oggi.

La prima ricerca è stata sviluppata da Egizia Cecchi nel contesto della Biblioteca civica di Cori, un piccolo comune in provincia di Latina: si tratta di una indagine che può essere particolarmente utile per il lettore proprio perché sviluppata in una tipologia di biblioteca che, come sottolinea l’Autrice stessa, possiamo considerare l’unità “più elementare” ma anche la più diffusa nel nostro Paese.

Qui il tema approfondito è quello dell’immaginario – inteso come l’insieme delle immagini interiori ed esteriori che fanno parte del patrimonio simbolico di un soggetto, di un gruppo o di una società – e l’obiettivo della ricerca è l’identificazione dei fattori che contribuiscono a definirlo. L’Autrice descrive un metodo molto interessante che combina la tecnica dell’intervista in profondità con la sociologia visuale, con l’obiettivo di renderlo replicabile in ricerche simili.

La seconda indagine è stata condotta da Roberta Montepeloso presso la Mediateca Montanari (Memo) di Fano, una biblioteca multimediale di informazione generale inaugurata nel 2010 che si configura in Italia come un progetto biblioteconomico tra i più innovativi. Obiettivo della ricerca è indagarne il senso e il valore per la città in particolare in relazione a una realtà biblioteconomica più tradizionale, la Biblioteca Federiciana. Dunque, in questo caso è oggetto di riflessione una realtà con caratteristiche molto meno diffuse della precedente ma di sicuro interesse proprio per il suo livello di innovazione.

Le due ricerche hanno alcuni punti di contatto, in primis ovviamente gli strumenti di indagine utilizzati: parallelamente alla raccolta dei dati attraverso interviste in profondità si è proceduto alla trascrizione e all’analisi delle narrazioni con il supporto del software Atlas.ti, un programma implementato secondo l’approccio Grounded theory (GT) capace di tenere traccia dell’itinerario mentale che il ricercatore intraprende fino a far emergere una teoria a partire dai dati.

Le due ricerche presentano inoltre alcuni interessanti elementi di originalità nei risultati ottenuti. Per questa ragione non sono da intendersi soltanto come esempi di un certo trend delle indagini biblioteconomiche attuali – si pensi al già citato tema dell’immaginario e agli strumenti specifici per indagarlo o a quello dell’identità percepita – ma si configurano come contributi essenziali alla costruzione di nuove ipotesi teoriche e al consolidamento del paradigma stesso.

La biblioteca nell’immaginario: analisi della costruzione di un’idea

Il disegno di ricerca

Di Egizia Cecchi

Consultando la banca dati dell’Anagrafe delle biblioteche risulta che in Italia ci sono 5.908 biblioteche di tipologia funzionale pubblica. Di queste circa l’80% si trova in contesti abitativi al di sotto dei 15.000 abitanti.

Se non è possibile utilizzare questo dato demografico per definire caratteristiche e fisionomia comuni alle biblioteche che vi appartengono è anche vero che questa evidenza può aiutare a riconoscere di questa particolare categoria una specificità legata al rapporto strettissimo con il contesto di riferimento – il paese – che rende alcune dinamiche più facilmente osservabili e le ricadute in termini di impatto evidenti, anche in assenza di indagini ad hoc.

Le biblioteche di piccole dimensioni in Italia non sono spesso oggetto di ricerche che superano il livello di raccolta di dati quantitativi e di elaborazione di indicatori, sono lontane dalle pratiche di certificazione della qualità e raramente sono soggette a ricerche mirate e strutturate come quelle per rilevare l’impatto sociale, anche se questo tipo di studi sono la bussola che dovrebbe guidare ogni progetto biblioteconomico e dovrebbero essere i bibliotecari a sentirne la massima necessità.

Le circostanze affinché tali analisi vengano effettuate devono essere ricercate continuamente dai bibliotecari, anche in prima persona, nonostante la scarsità di risorse e di tempo disponibile.

Esattamente questa esigenza, che posso definire di carattere personale, è stata la molla che ha innescato l’idea della ricerca che si descrive in questo paragrafo.

La biblioteca di Cori, paese di poco più di 10.000 abitanti in provincia di Latina, non è mai stata oggetto di una ricerca approfondita. Questa biblioteca nasce negli anni Settanta su iniziativa popolare: è un’associazione di paese che dà vita alla prima biblioteca di comunità e sarà solo sul finire degli anni Settanta che essa diventerà comunale. L’Associazione italiana biblioteche, soprattutto grazie alla bibliotecaria Ezilda De Gregorio, ha sempre rappresentato la strada per mantenere un respiro e un approccio al mondo biblioteconomico che superasse i confini locali.

Negli ultimi cinque anni, a seguito di un processo di esternalizzazione, è stata avviata una gestione che, aspirando alla biblioteca come «luogo di opportunità concrete, di crescita per la persona, facilitando la creazione e la fruizione di conoscenza» ha raggiunto buoni risultati in termini di rinnovata aggregazione, socialità e frequentazione, almeno in termini di entrate e prestiti, anche se ciò non basta certamente a descriverne il progetto biblioteconomico.

Il contatto diretto e quotidiano di chi lavora in una realtà di piccole dimensioni come quella delle biblioteche civiche di paese – una realtà che possiamo definire forse l’unità “più elementare” tra le tipologie di biblioteche – e la conseguente capacità di osservare, come si diceva, gli impatti delle attività nel piccolo contesto in cui si situa, porta a percepire con grande chiarezza l’esistenza di due biblioteche: quella vissuta in base alla propria personale frequentazione e quella immaginata a prescindere da un contatto diretto.

Questo dualismo percepito diventa esplicito quando il bibliotecario si confronta personalmente con le aspettative che i cittadini hanno nei confronti della biblioteca: essere confusa con un baby parking, non essere distinta da un’edicola o, in egual modo, essere percepita come un’eccezione positiva in un panorama desolante, porta alla necessità di una comprensione profonda della costellazione di significati che compongono l’idea di biblioteca che, pur partendo da un contesto di piccole dimensioni, può contribuire ad arricchire il dibattito generale intorno al ruolo che viene riconosciuto alle biblioteche dalla società contemporanea.

Infatti, se il contesto in cui nasce la domanda può essere definito di ridotte dimensioni, di certo ciò non implica una riduzione di complessità della questione: non si vuole proporre un modello della piccola comunità fatta di forti tradizioni, cerchio caldo e zattera della salvezza contro la confusione postmoderna né tantomeno quello di luoghi provinciali, tendenzialmente arretrati.

Il cambiamento avvenuto negli ultimi anni – e che coinvolge tanto il quadro economico quanto quello politico, sociale e tecnologico, la crescente mobilità fisica e virtuale – portano a comprendere lucidamente alcune dinamiche sociali che sono trasversali a tutti i contesti, di piccole e grandi dimensioni, e che Michel Maffessoli lucidamente descrive attraverso il concetto di neo-tribalismo: 

Oggi non si tratta più di aggregarsi a una banda, a una famiglia, a una comunità, ma di saltellare da un gruppo ad un altro […] in opposizione al tribalismo classico, il neo-tribalismo è caratterizzato dalla fluidità, dai raggruppamenti puntuali e dallo sparpagliamento […] condensazioni istantanee, fragili sì, ma al contempo oggetto di forte investimento emozionale.

Maffessoli utilizza la metafora del neo-tribalismo per restituirci l’immagine di una nebulosa di tribù in cui «esiste una molteplicità di loci che producono valori propri e che fungono da cimento per coloro i quali fanno e appartengono a questi valori».

La mia ricerca è stata mossa inizialmente da una suggestione tutto sommato semplice che riguardava le ripercussioni sulle piccole biblioteche di paese quando le città capoluogo di riferimento vengono coinvolte in importanti progetti architettonici (e biblioteconomici) che portano alla costruzione di una biblioteca innovativa.

Dopo che i cittadini di una zona hanno potuto vedere, e magari vivere, uno spazio bibliotecario profondamente diverso e innovativo, si possono dire totalmente coinvolti in nuova visione di biblioteca? Potremmo pensare che l’“immaginario” di quella comunità si sia evoluto, che abbia, sotto la spinta di diversi fattori, avviato un percorso che cambi in profondità l’idea diffusa della biblioteca e del ruolo che essa riveste nella propria comunità?

Focalizzare in questi termini la domanda iniziale sarebbe stato impossibile senza la lettura di Gilbert Durand e, in generale, senza l’approfondimento degli strumenti della sociologia dell’immaginario, che mi ha permesso l’uso di un linguaggio specifico e la focalizzazione di concetti base tali da scomporre e rendere indagabile il problema biblioteconomico.

Il concetto di “neo-tribalismo” e di “immaginario” hanno portato ad ampliare e focalizzare meglio la domanda iniziale:

Quali sono le componenti che contribuiscono alla costruzione dell’immaginario legato alle biblioteche pubbliche contemporanee? Quali sono le spinte che agiscono sulla creazione (e la vita) dell’idea di biblioteca?

Occuparsi dell’immaginario, come Durand osserva, porta il ricercatore a essere diviso «tra una sensazione di facilità insolita e difficoltà ineluttabile». Ciò che risulta evidente è la profondità delle domande in questione e proprio questa constatazione ha guidato la scelta della metodologia d’indagine: «la ricerca qualitativa nasce dalla necessità di un approccio metodologico utile alla conoscenza e all’approfondimento di un oggetto di studio ritenuto complesso, integrato nel proprio contesto di riferimento».

Cercare di focalizzare l’immaginario che le persone hanno dentro di sé è cosa alquanto ardua, tra gli strumenti a disposizione della metodologia qualitativa, la tecnica dell’intervista è stata, senza dubbio, la scelta migliore per permettere un’indagine più profonda.

Le interviste possono essere condotte in diversi modi, in questo caso si è deciso di optare per la modalità semi-strutturata e cioè non direttiva: l’intervista si apre con un quesito generico, che lascia all’intervistato la possibilità di esprimersi liberamente e in profondità sulla propria esperienza specifica. Nella conversazione l’intervistatore cercherà di ottenere quante più spiegazioni sui dettagli emersi spontaneamente dalle parole dell’intervistato e che egli ritiene utili all’indagine cercando di addentrarsi nell’universo valoriale dell’interlocutore al fine di poter avere una corretta interpretazione dei dati raccolti.

Il dominio del contesto è una delle caratteristiche più importanti per un ricercatore che fa uso di tecniche qualitative, è ciò che permette di porsi le giuste domande, comprendere le risposte in relazione all’ambiente e riconoscere i dati rilevanti.

Se queste caratteristiche sono già in possesso dei bibliotecari, che quotidianamente lavorano “in ascolto” della propria utenza, essere interni al contesto di ricerca potrebbe comportare il vizio di avere una visione sbilanciata dal proprio punto di vista. La risposta a questa diatriba è data, da una parte, dal lasciarsi guidare dall’oggetto di ricerca e, dall’altra, dalla conoscenza delle tecniche della ricerca sociale che traducono la suggestione in dati.

Il disegno della ricerca, in linea con la natura emergente e situazionale della metodologia qualitativa, mi ha consentito di arrivare a uno schema di intervista finale attraverso un processo ricorsivo, tipico del metodo Grounded theory, che ha permesso di testarne la validità strada facendo. Da una prima fase esplorativa, che è consistita in quattro interviste, è nato lo schema di intervista finale in sei fasi che descrivo di seguito:

1. Introduzione sul tema della ricerca

L’intervista si apriva con una spiegazione sul concetto di immaginario, senza collegarsi direttamente alle biblioteche, ma capace di dare all’intervistato una meta cognitiva alla conversazione. Per esempio qui si chiariva la differenza tra immaginario e immaginazione.

2. Definizione della “biblioteca immaginale”

Nella seconda parte dell’intervista veniva introdotta l’esperienza di biblioteca. Si chiedeva di chiudere gli occhi e di immaginare (pensare, rappresentare mentalmente) una biblioteca. Al fine di non sovraccaricare di significato questa domanda è importante prendere in considerazione che:

  • la biblioteca immaginale serve innanzitutto come avvio della conversazione;
  • viene definita “immaginale” e non “immaginaria” proprio per sottolineare le spinte reali che agiscono sulla creazione dell’immagine piuttosto che sugli aspetti fantastici;
  • da sola non restituisce l’idea di biblioteca dell’intervistato, su cui invece si concentra la ricerca.

3. Comprensione delle componenti che hanno influenzato tale immagine

Si chiedeva quindi all’intervistato, a partire da tale immagine, di fornire una descrizione fisica, le emozioni evocate e una tipica situazione in essa accaduta.

Quando la rappresentazione della “biblioteca immaginale” risultava definita, si procedeva con la fase di indagine dei fattori che avevano agito direttamente sulla specifica biblioteca immaginale, cercando di capire cosa aveva permesso la costruzione di quell’immagine (ad esempio: ricordi, biblioteche famose, romanzi letti, film visti ecc.).

4. Individuazione delle tre componenti: desiderio, simbolo, esperienza

In questa fase dell’intervista l’attenzione veniva focalizzata su tre componenti emerse dalle interviste pilota che sembrano essere sempre presenti nella descrizione della propria idea di biblioteca, seppure non emerse nella descrizione della propria biblioteca immaginale. Chiamiamo questi tre livelli: 1) livello desiderio: ciò che l’interlocutore desidera da e per le biblioteche; 2) livello esperienza: ciò che l’interlocutore conosce delle biblioteche perché lo ha vissuto in prima persona; 3) livello simbolo: ovvero la ricerca di immagini capaci di rappresentare ciò che la biblioteca è in termini valoriali.

5. La ricerca dell’immagine e le parole chiave

In conclusione veniva posta un’ultima domanda, che si è rivelata estremamente interessante: si chiedeva agli intervistati di cercare in rete un’immagine che si avvicinasse alla biblioteca immaginale precedentemente descritta. Tale richiesta prevede uno sforzo da parte dell’intervistato per la cristallizzazione delle parole di ricerca e apre la possibilità di commentare i risultati che compaiono, arricchendo e completando l’interpretazione della descrizione iniziale.

6. Domande anagrafiche e domande conoscitive

Terminata l’intervista sono state poste le domande anagrafiche (età, titolo di studio, professione) ed è stata chiesta la formulazione di una breve autobiografia.

L’analisi dei dati e i risultati ottenuti: cinque livelli che intervengono sull’idea

Con questo schema sono state condotte venti interviste a cittadini coresi che, in egual numero, rappresentassero le seguenti tre categorie: non utenti (persone che non sono mai state in una biblioteca o che non lo fanno da diversi anni), utenti e frequentatori solo della biblioteca di Cori e utenti e frequentatori di diverse biblioteche. Il numero delle interviste non è, nel campo della ricerca qualitativa, una variabile che può essere perfettamente prevista, è necessario giungere a quello che viene definito il livello di “saturazione”: in una ricerca GT la raccolta dei dati e la loro elaborazione sono fasi che avvengono contemporaneamente, raggiungere al livello di saturazione significa avvertire che la raccolta e l’analisi di nuovi dati non produce nuove prospettive di ricerca. Lo spazio a disposizione non consente di entrare nel merito dei singoli risultati ottenuti dall’analisi delle note etnografiche – ciò che il ricercatore ha osservato e vissuto – e dall’analisi delle trascrizioni delle interviste. Di seguito si riporteranno, dunque, solo alcune suggestioni che fanno capo essenzialmente a tre aspetti: le immagini emerse; le tematiche connesse all’idea di biblioteca; i livelli che interagiscono nella costruzione dell’idea.

Le immagini emerse

Attraverso l’analisi delle immagini scelte sul web dagli intervistati per rappresentare la loro biblioteca immaginale è stato possibile avviare una interpretazione iconografica. Si è cercato di individuare i modelli di biblioteca che si esplicitano soprattutto nella biblioteca immaginale ma che risultavano ricorrenti anche nel corso di tutta l’intervista. Quando il motore di ricerca restituiva la schermata generale delle immagini selezionate grazie alle specifiche parole usate dall’intervistato come chiave di ricerca, si avviava una conversazione ricca di spunti poiché permetteva, attraverso un processo di contrapposizione e analogie, di visualizzare concetti espressi durante la descrizione della biblioteca immaginale e nel corso dell’intervista. L’immagine scelta non è quindi rappresentativa della biblioteca reale nella sua totalità, bensì semplicemente per l’immagine che casualmente veniva restituita dalla ricerca dell’intervistato. Di seguito si riportano alcune delle immagini più diffuse.

La biblioteca storica (Fig. 1)

Alcuni intervistati la sceglievano come biblioteca immaginale, altri hanno inserito piccoli dettagli come ad esempio: «fuori ha un aspetto antico». Questa sfumatura viene così esplicitata da due intervistati:

Solo pensando a una biblioteca del Novecento si può pensare a una biblioteca di tipo storico, con librerie in mogano e grandi quantità di libri, le biblioteche di oggi sono diverse.

Scaffali così alti che non si possono raggiungere [...] ma io non la vorrei così…

Figura 1 Biblioteca Angelica (Roma)

La biblioteca innovativa (Fig. 2)

Facendo perno su una architettura contemporanea e sugli elementi d’arredo in molti hanno parlato di una biblioteca innovativa, che rispecchi la contemporaneità negli strumenti e negli spazi. Dalle parole di un intervistato:

Penso a un’alta efficienza tecnologica, spazi molto grandi, tipo hangar, spazi enormi che però sono sempre una biblioteca e non uno spazio polifunzionale. Io non sono mai stata in una biblioteca così...

Figura 2 Hans W. Klohn Commons at Saint John Campus (University of New Brunswick, Canada)

La biblioteca fantastica (Fig. 3)

Harry Potter docet e non solo per le fasce più giovani. Questa biblioteca non deriva esclusivamente da film o libri, ad esempio uno degli intervistati ha scelto come chiave di ricerca le espressioni: “biblioteca dei sogni” e “bibliotecario che sa tutto”.

Figura 3 The “Memorial Library” of Bedales Schools (Petersfield, Inghilterra)

Biblioteca polverosa (Fig. 4)

Questa biblioteca rappresenta la biblioteca come luogo triste e moribondo. In pochi l’hanno scelta come biblioteca immaginale e chi l’ha fatto è stato per ricondurla a un ricordo (come l’immagine scelta).

Luogo asettico che non fa sviluppare la fantasia.

Tristi, senza personalità.

Polverosa e anche un po’ claustrofobica.

Figura 4 Biblioteca di Fisiologia (Sapienza Università di Roma)

Le tematiche connesse all’idea di biblioteca

In questa ricerca le tematiche emergenti sono cominciate a divenire ridondanti dalla diciassettesima intervista, cioè da quel momento in cui è stato possibile codificare le conversazioni senza che la presenza di nuove tematiche emergessero costringendo alla formulazione di un nuova etichetta.

Da questa fase di analisi e codifica, avvenuta come anticipato nel primo paragrafo con il software Atlas.ti, sono state individuate 204 tematiche emergenti cioè 204 concetti che formano il bacino semantico relativo all’idea di biblioteca nel contesto scelto. Le tematiche emergenti descritte possono essere racchiuse in famiglie (di codici) sulla base di elementi comuni che si riferiscono ad affinità di contenuti.

Tale azione è utile per consegnare una visione d’insieme, tuttavia non è possibile sistematizzare il raggruppamento: ogni tematica, per quanto afferisca a una famiglia, manterrà legami non solo con altre famiglie ma anche con altre tematiche emergenti, e saranno proprio queste relazioni a restituire una visione completa e profonda.

Le tematiche individuate e le famiglie sotto cui sono raggruppabili forniscono informazioni utili per l’individuazione del bacino semantico di cui si nutre l’idea di biblioteca pubblica contemporanea nel contesto di riferimento scelto. Sebbene, in questa sede, non sia possibile fornire un riscontro oggettivo, è facile intravedere un certo dinamismo trasformatore rispetto alla narrazione canonica delle biblioteche, quello che Durand chiama il “tragitto antropologico dell’immaginario” che permette all’immaginario di modificarsi nel corso della storia culturale.

NOME FAMIGLIA

DEFINIZIONE

 Studio e conoscenza

L’insieme delle tematiche legate al libro, all’apprendimento e alla conoscenza. Questa famiglia presenta il più alto numero di relazioni e ricorrenze. Tra i codici più rappresentative troviamo: libro, conoscenza, patrimonio, conservazione, digitale, cartaceo, aggiornamento, lettura, studio, studio accademico, luogo dove imparare ad apprendere, impegno, ricerca.

Ideologia

L’accesso democratico alla conoscenza, i diritti umani ma anche le tematiche legate al servizio pubblico, al welfare, fino a giungere all’attenzione ambientale, alla multiculturalità e alla biblioteca come luogo di unità sociale.

Struttura

La descrizione degli spazi veniva richiesta esplicitamente dall’intervista, quindi questa famiglia è molto ricorrente e racchiude: gli aspetti architettonici e d’arredo, l’accessibilità e il posizionamento. Molti di questi elementi sono stati usati per definire atmosfere e tipologie di biblioteche: librerie in mogano scuro o colori sgargianti, palazzi storici o architetture innovative.

Luoghi del libro e altri luoghi della cultura

Biblioteche, istituti culturali come archivi e musei, ma anche luoghi come fab lab, makerspace e coworking. In questa categoria troviamo prevedibilmente le librerie, ma anche le edicole. Qui sono inserite anche le biblioteche famose che vengono menzionate in maniera specifica (tra le più ricorrenti: la Biblioteca nazionale di Roma, la Biblioteca Vaticana e curiosamente la Salaborsa di Bologna).

Questa famiglia è particolarmente ricorrente poiché contiene l’etichetta “Biblioteca di Cori”.

Biblioteche conosciute attraverso film e libri

La capacità della letteratura e della cinematografia di imprimere immagini indelebili si mostra anche in questo caso, tra le più citate troviamo: “Harry Potter”, “Il nome della rosa”, “La biblioteca di morti” di Zafòn, “La bella e la bestia” e, in misura diversa, la Biblioteca d’Alessandria.

Professionalità

Intesa non solo in senso positivo, ma come consapevolezza di una specificità professionale dei lavoratori e dei servizi erogati: il bibliotecario e la fiducia nei suoi confronti, l’efficienza (e in contrapposizione l’inefficienza), i servizi specifici come il prestito, il prestito interbibliotecario e la consulenza bibliografica.

Esperienza di conoscenti

Amici, genitori e parenti frequentatori di biblioteche insieme alla conoscenza diretta di persone che lavorano nel mondo dell’editoria (librai e bibliotecari).

Luogo di crescita personale

Seppure questa categoria potrebbe apparire facilmente assimilabile allo studio si è preferito tenerla separata poiché in questo caso il focus non è la finalità dei processi di apprendimento. Alcune citazioni per comprendere meglio:«io grazie alla biblioteca ho iniziato la mia carriera di lettrice», «far crescere delle persone curiose e consapevoli del fatto che l’apprendimento è un processo infinito», «aiutare una persona a coltivarsi», «ci sono molte attività e attenzioni alla persona».

Luogo di frequentazione e crescita comunitaria

Se la famiglia precedente prevede comunque un percorso di crescita legato all’apprendimento (pur senza finalità) questa famiglia non prevede nulla di legato al libro e allo studio, anzi nasce proprio in contrapposizione a quest’ultimo: «una biblioteca usata non solo per lo studio ma anche come punto di ritrovo, come per alcuni può essere l’oratorio o per altri il bar», «per passare il tempo», «un punto di aggregazione non solo di consultazione», « una biblioteca del vivere ci si studia ma ci si frequenta», «io non ho mai studiato in una biblioteca, per me è un luogo ludico, vado lì perché sto bene», «calore umano», «rilassamento, piacere relax», «clima accogliente». Oltre alla dimensione personale e amicale vi sono anche gli aspetti legati alla condivisione degli spazi e alla finalità di «istruire le persone al quieto vivere».

Luogo per i bambini

I bambini in biblioteca e le attività di avvicinamento alla lettura sono tematiche estremamente ricorrenti sia in termini di spazio pubblico per i bambini sia per il sostegno scolastico.

Luogo moribondo

Tutti gli intervistati hanno avuto la necessità di parlare anche di esperienze negative, a volte vissute in prima persona, altre volte come puro pregiudizio «non tutte le biblioteche sono così belle» e ancora: «scarsità», «triste», «senza personalità», «polverosa, leggermente claustrofobica», «luogo asettico che non fa sviluppare la fantasia», «poca frequentazione», «luogo poco collaborativo e moribondo».


I livelli che interagiscono nella costruzione dell’idea

Come più volte sottolineato l’intervista si è mossa su tre livelli – “desiderio”, “simbolo”, “esperienza” – che rappresentano il tentativo di comprensione delle motivazioni e quindi delle relazioni tra tematiche. A conclusione dell’analisi sono state individuate strutturazioni interne a questi tre livelli e due nuovi livelli emergenti, che chiameremo: “emotivo” e “pregiudizio”.

Il “livello esperienziale” è riscontrabile in relazione a tutte le tematiche emergenti riguardanti luoghi o altri tipi di elementi che hanno a che fare con la vita dell’interlocutore e con luoghi reali. Questa esperienza può essere:

  1. “diretta”, ovvero può comprendere tutte le esperienze reali vissute dall’interlocutore e ricordate attraverso una memoria di tipo dichiarativo (ovvero semplice rievocazione dell’evento);
  2. “mediata”, nel senso di un’esperienza filtrata da un media sia esso una persona fisica, un amico o l’esperienza di una persona vicina, oppure un social network o un’attività di promozione come la pubblicità attraverso manifesti o locandine.

Il “livello desiderio” attiene alle tematiche che emergono in relazione a ciò che si vorrebbe, che si auspica. Tale livello agisce secondo la spinta di due componenti:

  1. vi sono i desideri “personali”: quei bisogni che si leggono chiaramente legati alla propria persona, e che si ritiene possano essere affini, e quindi richiesti, agli istituti bibliotecari;
  2. i desideri spinti dalla “necessità” in relazione a diverse urgenze ed esigenze sociali rispetto alle quali la biblioteca può esercitare una azione importante (welfare?).

Il “livello simbolico” attiene alle rappresentazioni collettive ed è risultato costituito da tre aspetti:

  1. una componente “fantastica”, legata alle biblioteche dei cartoni animati, alla sensazione di meraviglia e scoperta, una biblioteca romantica e avventurosa;
  2. una componente “reverenziale” che chiama in causa la sensazione che si ha quando la biblioteca diventa simbolo di conoscenza, di sapere, che si manifesta davanti alla sensazione di imponenza e maestosità di alcune biblioteche, la tradizione degli eruditi che arriva fino a diventare terrore, quello che si prova davanti a simbolici detentori del sapere;
  3. una componente legata agli “ideali”: tutte le tematiche emergenti riguardanti il diritto umano alla conoscenza rimangono a un livello simbolico poiché non vi è una vera e propria contestualizzazione di un diritto umano ai giorni nostri, piuttosto si rintraccia un’aspirazione simbolica alla democrazia.

Questi primi tre livelli, risultati stabili solo alla fine delle interviste grazie anche a queste articolazioni interne, in realtà erano stati rintracciati fin dal principio.

Sono stati invece introdotti due ulteriori livelli: il “livello emotivo” e il “livello pregiudizio”.

Il “livello emotivo” è stato riscontrato soprattutto quando si entrava nel merito dei ricordi, legati a un passato remoto o prossimo. I neuropsicologi dei processi cognitivi riconoscono l’esistenza di una memoria emozionale ovvero il significato affettivo legato a un determinato evento: «Questo tipo di memoria sembra giocare un ruolo determinante nella formazione dei ricordi fotografici, quelli che rimangono vividi, dettagliati e persistenti, come un’istantanea, che preservano tutti i particolari anche irrilevanti di un determinato episodio».

La biblioteca, a quanto pare, è un luogo che rimane impresso, di cui si ricordano sensazioni e stati d’animo, e gode di quelli che possono essere chiamati rinforzi emotivi.

L’ultimo livello rintracciato era chiaro fin dal primo paragrafo di questa tesi ma ha rischiato di non essere compreso fino in fondo: il “pregiudizio” «quello che ognuno di noi crede di sapere non sulla base di una vera informazione ma di una percezione più o meno passivamente condivisa».

La lettura sistematica di questi livelli è tutto fuorché lineare, a differenza di quanto potrebbe apparire dalla presentazione appena fatta: innanzitutto i livelli si presentano nei casi studio in modo estremamente mescolato, e, in secondo luogo, il loro contenuto in alcuni livelli può assumere ogni sorta di qualità (al medesimo significato corrispondono diversi significanti), come ad esempio il livello di matrice ideologica in cui si passa dal diritto umano, al socialismo, alla multiculturalità; in altri livelli invece il significante rimane costante fino a diventar quasi una rappresentazione collettiva pressoché stabile, come è possibile riscontrare nel livello simbolico reverenziale o fantastico. 

Immaginario, percezione e visione della biblioteca pubblica contemporanea

A partire da una buona domanda

Di Roberta Montepeloso

Lo studio della metodologia qualitativa e la sperimentazione di alcune tecniche di raccolta dei dati (l’intervista semi-strutturata e il focus group) insegnano non soltanto che la questione dell’oggetto è preliminare a quella del metodo ma soprattutto che lo è rispetto alla definizione della domanda di ricerca. Questa considerazione è il frutto dell’esperienza di indagine empirica svolta nell’arco di un anno e mezzo nella città di Fano. Prima di passare alla sintesi del lavoro, ci soffermiamo sul suo oggetto: la Mediateca Montanari (Memo).

La Memo appare agli occhi del ricercatore come un caso di studio interessante per diversi ordini di ragioni, che hanno a che fare con la sua origine tanto quanto con la sua esistenza, che richiamano le specificità del contesto locale e al contempo alcune dinamiche delle biblioteche pubbliche italiane. La struttura, inaugurata nel 2010, è innanzitutto espressione di una nuova forma di mecenatismo in ambito culturale, secondo il quale il privato non si limita a promuovere finanziariamente la realizzazione di un bene pubblico, ma diventa co-protagonista del processo di ideazione, realizzazione e mantenimento dell’opera.

Spostando l’attenzione dal momento fondativo allo stato presente, riconosciamo nella Memo un progetto architettonico e biblioteconomico innovativo che la rende esempio paradigmatico dello sviluppo dell’istituzione bibliotecaria nella contemporaneità. Quello che dalla nostra prospettiva appare un oggetto di studio denso, nella quotidianità cittadina è uno spazio attraversato (fisicamente e mentalmente) da molti soggetti; una realtà che, seppur siano trascorsi otto anni dall’apertura, richiede ancora tempo ed energie per essere metabolizzata.

Guidati da questa sensazione e per non rimanere al livello delle mere intuizioni, abbiamo deciso di avviare una ricerca empirica con l’intenzione di raccogliere la percezione che i cittadini di Fano hanno della Memo. Uno dei tratti caratteristici della metodologia adottata, derivante dalla Grounded theory, è il radicamento nell’esperienza ovvero la disponibilità a rimanere aperti, durante l’intero processo, ai dati.

Questa preferenza strategica per il fatto d’esperienza non implica però che il ricercatore debba rinunciare ad ogni radicamento nella sua disciplina; piuttosto lo induce a impiegare le conoscenze teoriche ai fini di una costante reinterpretazione del reale.

Il disegno d’indagine qualitativo è destrutturato e situazionale; così è stato anche nel nostro caso.

Sin dal primo momento, ponendo la domanda circa la Mediateca, ci siamo accorti che ottenevamo, piuttosto che una risposta chiara e distinta, la manifestazione di un’esigenza. Un bisogno sintetizzabile in questo modo: l’urgenza di riformulare la questione specifica sotto forma di interrogativo generale. In altre parole, l’esperienza sul campo ci ha consegnato quale suo frutto il tema che il dibattito biblioteconomico degli ultimi anni ha codificato come il problema dell’“identità” della biblioteca pubblica contemporanea.

Ingresso della Mediateca Montanari, bancone informazioni

Il termine “identità” ci fa immediatamente pensare allo sforzo che affronta l’individuo nel prendere consapevolezza di se stesso; uno sforzo – potremmo dire tipico del lavoro di sintesi – che compie ciascuno per tenere insieme la propria storia, le aspettative circa il futuro e l’idea del posto che, in quel momento, sente di occupare nel mondo.

Provando a narrare, in sintonia con il filone di studi che applica gli strumenti letterari al fine di produrre conoscenza sulle organizzazioni, il delinearsi del profilo dell’istituzione in analogia con il processo di fabbricazione dell’identità individuale, ci accorgiamo che nonostante cambi il materiale da comporre si conserva il senso del compito, di «qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto». Nel caso dell’istituzione bibliotecaria si tratta della sfida di integrare gli elementi che la caratterizzano (le componenti del servizio) e che concorrono a qualificarla all’interno di un determinato contesto sociale, culturale, ambientale ed economico. Un’impresa difficile oggi – nella complessità ambientale in cui siamo immersi – quando alla biblioteca vengono avanzate molteplici richieste non sempre coincidenti con funzioni e comportamenti coerenti, secondo gli addetti ai lavori, con la missione della biblioteca. Si tratta di qualcos’“altro” – azioni, atteggiamenti, valori che hanno a che fare con quella che potremmo chiamare una domanda sociale di biblioteca[4] – che si aggiunge al senso codificato dell’istituzione o meglio alla sua anima documentaria, quella di luogo deputato alla conservazione oltreché alla disseminazione del sapere; un’alterità che nella pratica quotidiana è già in atto mentre attende ancora di essere afferrata concettualmente.

Piano terra, bar con 20 posti a sedere e pianoforte
Sotterranei, scavi archeologici

La progettazione della ricerca

L’esistenza di un modo altro di intendere e di vivere la biblioteca pubblica è il primo dato che emerge nella fase iniziale della ricerca empirica (dicembre 2016), quella delle cosiddette interviste pilota: brevi scambi di battute (la durata media è di circa due minuti) che complessivamente hanno coinvolto 20 persone incontrate al di fuori della biblioteca, in un ambiente “neutro” ovvero non immediatamente associabile a essa ma densamente frequentato (un supermercato, una palestra ecc.). La traccia di intervista era “leggera” (tre domande) e finalizzata a inquadrare il tema ovvero a esplorare il contesto nel quale si colloca, nell’immaginario comune, la frequentazione della biblioteca. Le conversazioni restituivano un’idea stereotipata dell’istituto bibliotecario ma al contempo svelavano nuove sfumature che stonavano con la rappresentazione canonica.

La Memo infatti viene raffigurata come un’“altra cosa” rispetto alla biblioteca “per definizione” (a Fano la Federiciana), una cosa che si può descrivere in tanti modi («bel luogo», simile al «centro culturale» o addirittura alla «piazza, dove i cittadini viv[ono] la città», cioè uno «spazio pubblico» «in cui accadono cose» che lo rendono «adatto a tutti») ma difficile da definire per mezzo di espressioni compiute.

Accolta la suggestione, è stata scritta una nuova traccia di intervista (19 domande, spunti cui attingere in base all’andamento della conversazione) adatta a un colloquio in profondità. Uno scambio che grazie alla maggiore estensione temporale (almeno 30 minuti) consente di avvicinarsi al punto di vista altrui. Tra febbraio e maggio 2017 sono state realizzate otto interviste in profondità a utenti e non utenti del servizio individuati secondo lo stile di campionamento “a scelta ragionata” ovvero non sulla base di criteri definiti a priori bensì, in maniera induttiva, seguendo lo sviluppo concettuale dell’indagine, con lo scopo di massimizzare l’informazione prodotta grazie all’incontro con soggetti particolarmente significativi.

Parallelamente alla raccolta dei dati si è proceduto alla trascrizione e all’analisi dei testi generati, con il supporto del software Atlas.ti.

Il processo di concettualizzazione nell’indagine qualitativa si raffina contemporaneamente all’accumulo di nuovi materiali. Nel nostro caso, dopo le interviste, si è deciso di approfondire il senso attribuito alla Mediateca esplorando le percezioni delle persone a diretto contatto con essa. Sono stati condotti due focus group (FG) con utenti fedeli seguendo un’unica traccia creata appositamente. Al primo incontro (luglio 2017) hanno partecipato sei studenti che frequentano abitualmente la Memo mentre al secondo (novembre 2017) sette adulti che utilizzano con costanza i servizi offerti dalla Mediateca.

Se con le interviste si è cercato di far affiorare l’“immaginario” comune di biblioteca, attraverso le conversazioni di gruppo si è tentato di porlo a confronto con le “percezioni” (dirette e indirette) scaturite dalla frequentazione della Memo. Infine per provare a individuare una “visione” condivisa della direzione cui tende il servizio – o, potremmo dire a posteriori, un modo di concepire la biblioteca pubblica contemporanea – si è interpellato (agosto 2017), tramite intervista specializzata e seguendo un’ulteriore traccia, un soggetto esperto: quello che in letteratura è chiamato opinion leader, nel nostro caso è stato l’Assessore del Comune di Fano con delega ai servizi bibliotecari. Infine, completata l’analisi dei materiali empirici, si è giunti a delineare una rete concettuale capace di inglobare l’idea tradizionale di biblioteca pubblica e, accanto, una serie di fenomeni nuovi – “l’altro” raccontato dagli interlocutori – sottolineando l’aspetto innovativo ma anche la continuità.

I risultati emersi: la metafora del bambino che cresce

La struttura connettiva cui siamo approdati è del tipo della metafora, una metafora già custodita in alcuni dei testi fondativi della biblioteconomia. In particolare ci riferiamo all’immagine di biblioteca-organismo che permea l’opera di Ranganathan. Una rappresentazione illuminante, quella dell’essere vivente soggetto a fisiologico mutamento, che abbiamo ritrovato nelle parole di una studentessa del primo FG:

La Memo per come l’ho vista dall’inizio fino ad adesso, è un po’ come un bambino. […] Sta crescendo.

A otto anni dall’apertura, la Mediateca sembra scontrarsi con le problematiche di una prematura adolescenza: sperimenta il disagio di una fase travagliata nella quale è faticoso definirsi perché non ci si sente più qualcosa ma nemmeno si è pronti a riconoscersi in qualcos’altro. Una difficoltà che però non è extra-ordinaria bensì costituisce una tappa dello sviluppo e di conseguenza, più che una rivoluzione, comporta una metamorfosi: processo nel quale l’identità si conserva accogliendo l’alterità.

L’organismo-biblioteca visto da questa prospettiva – con una focalizzazione in “campo lungo” – resta l’istituto culturale che agisce da intermediario tra il circuito della produzione di conoscenza e i suoi possibili fruitori pur acquisendo nuove funzioni (ad esempio di laboratorio, makerspace o luogo di aggregazione) e responsabilità (come contribuire alla formazione permanente e all’alfabetizzazione digitale, al benessere dei cittadini e all’integrazione sociale e culturale): quelle che nell’accomodarsi all’habitat decide di sviluppare.

Così intesa la biblioteca pubblica contemporanea è un fenomeno sociale complesso nel senso – svelato dall’etimologia del termine – che tiene unite una pluralità di sfaccettature (missioni, servizi, persone) assecondando stimoli e tensioni che provengono dall’interno e dall’esterno. Non è una sola di queste dimensioni ma nemmeno nessuna, è tutte insieme, centomila, quelle nelle quali si declina un servizio pronto a confrontarsi con il mondo circostante (il micro ambiente locale e la macro infosfera universale). Al fine di rendere comprensibile al pubblico il mutamento che la biblioteca sta vivendo è necessario continuare a fare di essa un oggetto di dibattito, anche politico.

Secondo quanto emerso dalla ricerca empirica, parlare di biblioteca è una delle prime azioni da esercitare per evitare che venga relegata ai margini della sfera sociale. D’altra parte, quello di interpretare il cambiamento del mondo bibliotecario e spiegarlo in termini comprensibili non solo agli specialisti è uno dei compiti della biblioteconomia sociale – paradigma che abbiamo assunto come punto di riferimento.

La seconda operazione con cui impratichirsi consiste invece nel passaggio dal dialogo alla pianificazione. Ci riferiamo all’attivazione di progetti partecipativi di ideazione e di attuazione del disegno biblioteconomico che aiuterebbero a interpretare l’“altro” esperito in biblioteca non come evento occasionale bensì come esito di un percorso condiviso, perciò ricostruibile passo dopo passo. Il presupposto di entrambe le imprese, quello a cui non può rinunciare il professionista del settore, è continuare a nutrire attenzione e curiosità per la biblioteca in quanto fenomeno sociale della contemporaneità. Un fenomeno complesso sul quale è opportuno, con metodo rigoroso e a partire dalle evidenze empiriche, continuare a interrogarsi.