Vol. 7 n°2 - Visioni, sogni, utopie: la biblioteca possibile e il mondo delle idee

Editoriale

Tra utopia e realtà: la biblioteca possibile

Le biblioteche sono luoghi fisicamente determinati e saldamente piantati in un preciso contesto: sono fatte di libri, pareti, scaffali, computer, persone. Vengono spesso percepite come sinonimo di solidità e concretezza. Eppure la loro essenza – cioè il servizio che erogano e l’atmosfera in cui si creano le emozioni che esse offrono – può essere impalpabile e inesprimibile. Si tratta, inoltre, di entità pervase da una fortissima carica simbolica, che trascende la realtà.

È sempre stato così: cosa sono i repertori bibliografici se non le prime grandi biblioteche virtuali? Cosa aggiungono le tecnologie digitali, dal punto di vista concettuale, a quanto era stato immaginato dai grandi bibliografi dell’antichità, dell’Umanesimo, del Rinascimento? E il Mundaneum realizzato a Mons oltre un secolo fa, nel 1918, da Paul Otlet e Henri La Fontaine non ha forse meritato la definizione di Google de papier?

L’idea stessa di biblioteca si fonda su principi che sembrano irrealizzabili per definizione: l’accesso a tutte le conoscenze prodotte dall’umanità e registrate nei documenti. Questa utopia trova la sua plastica espressione nei due fondamenti con cui la comunità bibliotecaria internazionale ha indicato la mission del ‘sistema delle biblioteche’ nella seconda metà del ventesimo secolo: UBC e UAP, il controllo bibliografico universale e la disponibilità universale delle pubblicazioni. 

I ‘sacri testi’ della biblioteconomia ci dicono che il ‘controllo bibliografico universale’ è il sistema internazionale finalizzato a rendere universalmente disponibili le registrazioni bibliografiche delle pubblicazioni prodotte in tutti i paesi e che tale sistema nasce dall’insieme dei sistemi nazionali di controllo bibliografico, responsabili della documentazione completa e autorevole della produzione editoriale dei singoli paesi. L’IFLA e l’Unesco misero a punto questo long-term program negli anni Settanta del Novecento come approdo, in termini moderni, di una delle più antiche aspirazioni dell’umanità, quella di dominare tutto il sapere del mondo e di poterne disporre senza limitazioni spazio-temporali e senza barriere linguistiche. Gli strumenti informatici, che in quegli anni cominciavano a mostrare le loro potenzialità, erano lo strumento per sognare che si potesse rendere finalmente realizzabile questo obiettivo, verso cui convergeva anche il lungo percorso di standardizzazione e cooperazione in ambito catalografico cui lavoravano da decenni gli organismi internazionali di settore. 

Ma se ci fossimo fermati qui non ci saremmo allontanati di molto dal supplizio di Tantalo, tramandato dalla mitologia greca.

Il naturale e conseguente completamento di questo programma arrivò qualche anno dopo, con l’avvio del programma UAP, finalizzato a garantire la universal availability delle pubblicazioni di cui l’utente può venire a conoscenza grazie alle bibliografie e ai cataloghi. Complementare all’accesso all’informazione è l’accesso ai documenti. Ai frequentatori delle biblioteche non basta, infatti, ottenere le informazioni su ciò che è stato pubblicato: le loro esigenze si soddisfano solo fornendo strumenti per localizzare e reperire i prodotti editoriali segnalati attraverso i servizi bibliografici. 

All’insieme combinato dei due programmi è affidata la realizzazione dei compiti delle biblioteche. Su questi due pilastri – le informazioni sui documenti e la fornitura dei documenti, attività strettamente e reciprocamente correlate – si fonda l’architettura complessiva della biblioteca, in quanto ‘organizzazione bibliografica’. La cooperazione a livello nazionale e internazionale, che oggi si basa sulla interoperabilità in rete delle applicazioni bibliotecarie, rappresenta l’architrave di congiunzione tra questi pilastri.

La ovvietà dei principi ora descritti e, al tempo stesso, la difficoltà a realizzarli ci aiutano a comprendere quanto le utopie siano indispensabili. Il fatto che i sogni e le aspirazioni che da sempre spingono i bibliografi, i bibliotecari, e più in generale gli studiosi verso obiettivi via via più ambiziosi, non siano facili da raggiungere non contrasta con la vocazione a porsi traguardi così impegnativi: «il possibile non verrebbe mai raggiunto – afferma Max Weber – se nel mondo non si tentasse sempre l’impossibile».

Fedeli a questa linea, le biblioteche continuano a coltivare i loro sogni e spingono sempre più in alto l’asticella. Le biblioteche hanno bisogno di un disegno che sappia distaccarsi dalla realtà, di un orizzonte senza confini, di una vision che si collochi nel mondo delle idee. Subito dopo, però, bisogna cercare di tradurre queste affascinanti ipotesi in un supporto concreto a chi vuole orientarsi tra le conoscenze prodotte e sedimentate nei documenti, e vuole accorciare le distanze tra i sogni e la realtà. Pensare all’utile, insomma, ma senza rinunciare ai sogni; guardarsi intorno, ma anche allungare lo sguardo.  

Per questo motivo le biblioteche abbracciano oggi la ‘cultura della sostenibilità’, nella prospettiva di uno sviluppo sociale ed economico che riduca le disuguaglianze e tuteli il futuro dell’ambiente. Sulla coerenza di questa visione con il ‘nuovo umanesimo’ di cui le biblioteche si fanno portavoce leggiamo in questo fascicolo il bel contributo di Giovanni Di Domenico. Lo stesso tema ritorna nelle riflessioni proposte da Luca Valenza.

Negli spazi delle biblioteche convivono elementi ideali ed elementi reali. Spesso gli edifici destinati ad ospitarle evocano le idealità cui esse si ispirano e non mancano filosofi e letterati – oltre che architetti, ovviamente – che si sono cimentati con questo tema: gli articoli di Maurizio Vivarelli, Marco Muscogiuri e Lorenza Salvatori, che trovate nelle pagine seguenti, si muovono in questo ambito. Non lontano da questo filone di riflessioni è anche il saggio di Riccardo Ridi dedicato ai ‘tra mondi’ di Karl Popper, filosofo che ha teorizzato l’esistenza di un mondo fisico della materia, di un mondo psicologico del pensiero, e di un mondo della ‘conoscenza oggettiva’.

E che dire di uno dei più grandi sognatori che il nostro Paese ha prodotto, quell’Adriano Olivetti di cui Chiara Faggiolani ci aiuta a conoscere la concezione della biblioteca?

In questo numero della rivista, insomma, abbiamo voluto per una volta alzare lo sguardo e, rispetto all’agire quotidiano, andare alla ricerca delle ispirazioni cui le biblioteche possono guardare per cercare nuove motivazioni e nuovi slanci per ripensare le loro finalità e cercare un posizionamento nel mondo nuovo verso il quale ci stiamo trasferendo.

Giovanni Solimine