N.1 2020 - La produzione di contenuti in biblioteca

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«Un istituto che vive nel presente»: qualche interrogativo (e qualche tentativo di risposta) sulla natura e sul ruolo della biblioteca

Giovanni Solimine

Dipartimento di Lettere e culture moderne, Sapienza Università di Roma; giovanni.solimine@uniroma1.it

Abstract

Intervista a Paolo Traniello

English abstract

An interview with Paolo Traniello

Paolo Traniello (classe 1938) ha insegnato discipline bibliografiche e biblioteconomiche nelle Università della Calabria (1978-1989), dell’Aquila (1989-2002) e di Roma Tre (2020-2010). In precedenza aveva diretto la biblioteca della Fondazione Marazza di Borgomanero e aveva lavorato alle prime esperienze di cooperazione presso la Regione Lombardia. Tra i fondatori di «Biblioteche oggi» nel 1983, ne è stato condirettore insieme a Luigi Crocetti e Piero Innocenti.

Ha fornito contributi scientifici molto importanti nel campo della storia delle biblioteche e della definizione della fisionomia istituzionale della biblioteca pubblica. Tra le sue tante pubblicazioni sono da ricordare in particolare i volumi La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell’Europa contemporanea (il Mulino, 1997), Legislazione delle biblioteche in Italia (Carocci, 1999), Storia delle biblioteche in Italia: dall’Unità a oggi (il Mulino, 2002) e Biblioteche e società (il Mulino, 2005).

Per inquadrare i temi di cui si discute in questo fascicolo, gli abbiamo posto alcune domande sulla natura presente e futura della biblioteca, nel tentativo di comprendere se in essa prevale la funzione di servizio attraverso il quale accedere alla conoscenza registrata nei documenti, ovvero ha senso considerarla un luogo di produzione culturale tout court.

 

Le collezioni delle biblioteche rappresentano plasticamente la storia delle idee, l’evoluzione delle discipline e degli approcci alla ricerca, la stratificazione dei saperi. A ciò si aggiungono gli elementi di contesto, e cioè le relazioni che ciascuna biblioteca ha stabilito con un sistema di produzione culturale e con i bisogni della comunità a cui si rivolge. In questo senso, ogni biblioteca è nel suo insieme un documento. Penso al saggio Documento/Monumento scritto da Jacques Le Goff per l’Enciclopedia Einaudi. Non è questa la prova che la biblioteca “produce cultura” con il suo solo esistere?

Parlare di biblioteca come documento a me sembra “suggestivo”, nel senso limitativo del termine, vale a dire atto a produrre una suggestione più che una descrizione della realtà. La biblioteca può forse essere documento per chi la studi come fenomeno storico, in una certa linea di storiografia bibliotecaria che personalmente non ho mai del tutto condivisa anche perché non l’ho mai vista concretamente realizzata, se non relativamente a singoli istituti.

Lo studio della formazione delle raccolte, della loro stratificazione, delle presenze e assenze culturali in una determinata biblioteca è certamente importante, però a mio avviso più per una storia della cultura e, nella maggior parte dei casi, di una cultura locale, che per dare ragione di un istituto che vive nel presente, risponde o dovrebbe rispondere a esigenze attuali, dove la storia delle raccolte è solo una parte, alla quale si affiancano tanti altri fenomeni più o meno di ordine “culturale” (studiare insieme in uno stesso ambiente è di per sé un fatto culturale?).

Quanto alle relazioni tra la biblioteca e i centri di produzione culturale, a me sembra che siano piuttosto deboli da ambo le parti, salvo qualche eccezione. L’editoria, ad esempio, ha tenuto in tempi abbastanza recenti atteggiamenti non proprio benevoli verso le biblioteche a proposito delle cosiddette “utilizzazioni libere” e le biblioteche attingono alla produzione editoriale con ben scarsa possibilità di influenzarla.

Radio e televisione si occupano occasionalmente di biblioteche, ma non mi pare abbiano mai istaurato rapporti di effettiva collaborazione.


In un suo volume di quasi dieci anni fa, nel quale cerca di immaginare la funzione delle biblioteche nel XXI secolo, Peter Brophy parla di un ruolo che vada oltre la semplice intermediazione e si estenda ai processi di costruzione e organizzazione del sapere. Possiamo dire che le cose stiano andando davvero in questa direzione?

Queste cose sono state dette anche in Italia, non dieci, ma una cinquantina di anni fa, vale a dire all’avvio dell’autonomia regionale, quando personalmente ho incominciato a occuparmi di biblioteche nutrendo un duplice interesse: per il regionalismo e per la biblioteca pubblica.

In Lombardia, ad esempio, vale a dire nella regione leader anche in campo bibliotecario, ricordo benissimo che l’assessore alla cultura Sandro Fontana aveva scritto un documento programmatico in cui si configurava il sistema bibliotecario addirittura come produttore di una diversa informazione, capace di rivaleggiare con gli altri media nazionali.

Forse anche questa era semplice suggestione. Non mi pare che di un tentativo del genere ci siano esempi rilevanti e comunque c’è troppa disparità di forze, in tutti i sensi.

Spetta però oggi alle biblioteche un grande compito nel campo della digitalizzazione.

Il tema è di enorme portata e comporta aspetti di politica culturale, come i rapporti tra autorità statali, biblioteche, piattaforme digitali; aspetti giuridici, soprattutto relativi al diritto d’autore, e aspetti propriamente culturali, come quelli relativi a un’eventuale egemonia linguistica.

In ogni caso, il punto di partenza per la costituzione di raccolte digitali non possono che essere le biblioteche.


Tante biblioteche non si limitano a una mera funzione di fornitura di documenti: si pensi alle attività editoriali e di ricerca prodotte dagli istituti con una storia più rilevante, alla produzione di bibliografie da parte delle biblioteche per ragazzi, o alle attività formative con le quali le biblioteche universitarie accompagnano e integrano la didattica accademica. Il nuovo secolo offrirà le stesse opportunità a tutte le tipologie di biblioteche o alcune sono destinate a esercitare un ruolo incisivo, mentre altre saranno relegate ai margini?

Questo punto, particolarmente complesso, richiede una collaborazione organica tra le varie agenzie.

Non sono molto al corrente di quanto le biblioteche facciano oggi in campo editoriale. Mi limito pertanto al campo della pubblica istruzione.

Fino a quando ho insegnato all’università, da cui sono uscito nel 2010, sono sempre stato stupito del troppo scarso ricorso alla biblioteca ai fini della didattica, comprendendo nella didattica anche l’educazione alla ricerca mediante la tesi di laurea.

Nelle biblioteche delle università in cui ho insegnato la presenza di docenti era scarsissima e anche le ricerche per la tesi (comprese, mea culpa, quelle in biblioteconomia) avvenivano per lo più fuori da quella biblioteca, forse in qualche biblioteca pubblica, con libri propri, “sul campo” o che so io.

Ricordo a mo’ di esempio una tesi o tesina (non da me assegnata) che comportava lo spoglio di un certo numero di annate de «La riforma della scuola». Durante la discussione ho chiesto al candidato dove avesse consultato il materiale e quello ha risposto di essere andato a Firenze (eravamo a Roma). L’intera raccolta della rivista stava nella nostra biblioteca, a circa trenta metri dall’aula delle tesi.

Quando facevo il bibliotecario, tanti anni fa, gli studenti anche delle medie venivano in biblioteca per ricerche e ricerchine, ma non venendo indirizzati previamente si muovevano a tentoni (ricordo una ricerca di un ragazzino sulla composizione chimica della tela di ragno; confesso di non averlo saputo aiutare un granché).

In questo campo l’informatica può addirittura avere segnato un regresso, non si va più neppure in biblioteca per cercare dati fattuali su un’enciclopedia, dato che basta un clic. Dal punto di vista tecnico, niente da dire, si risparmia tempo (per far che?).

Ma dal punto di vista della maturazione personale, una ricerca ben indirizzata e possibilmente di gruppo sarebbe stata più produttiva, più in linea con l’idea di scuola attiva e di partecipazione (idee che andavano molto in quei primi anni Settanta).


Quali biblioteche soffriranno maggiormente nell’era della rete, con il suo potenziale informativo e la sua crescente capacità di offrire contenuti?

Non saprei dire quali soffriranno di più.

Forse si potrebbe dire che soffriranno meno quelle che sapranno essere più utili. Da un lato quelle di prestito che continueranno a fare concorrenza all’editoria nel settore cartaceo, dove è presumibile che per esempio la narrativa duri ancora un bel po’, dall’altra quelle che sapranno dotare di valore aggiunto i documenti digitali, per esempio organizzando percorsi di ricerca. Potrebbe anche rispuntare l’idea di un’informazione alternativa. Naturalmente le due funzioni possono anche convivere, così come già un po’ avviene nelle migliori biblioteche pubbliche. Ma ci vorrà molta più collaborazione istituzionale, per esempio tra scuola e biblioteche.


Non possiamo leggere il futuro, ma molto probabilmente i prossimi anni saranno segnati dagli effetti della pandemia da coronavirus. Da un giorno all’altro siamo stati scaraventati sulla rete e tutto ciò che poteva trasferirsi nel mondo digitale ha cambiato forma. Muteranno i nostri stili di vita e anche il nostro modo di studiare e leggere forse non sarà più lo stesso. Sarà facile tornare all’analogico? E avrà senso farlo? Per quanto riguarda le biblioteche, avevamo già visto che alcuni servizi informativi erano migrati verso Internet e che le famose “ricerche scolastiche”, per dirne una, non passavano più attraverso le biblioteche. Questo processo subirà un’accelerazione e sarà irreversibile. Esistono alcuni aspetti per i quali possiamo immaginare che le biblioteche resteranno insostituibili?

Di insostituibile al mondo c’è ben poco e anche la biblioteca e il mestiere di bibliotecario non deve essere mitizzato. Magari la funzione bibliotecaria verrà assorbita in altre più complesse, chi lo sa?

Oggi a me pare che le biblioteche pubbliche, oltre che alla ricerca, servano sostanzialmente a tre cose: a studiare in comune; a trovare libri in prestito; a partecipare a “manifestazioni culturali”.

Se in futuro la cosiddetta “distanza sociale” dovrà essere mantenuta, forse la prima funzione si allenterà.

La funzione del prestito può rimanere più o meno inalterata, a parte il “prestito digitale” che personalmente non ho ancora ben capito come funzioni. Ma probabilmente l’e-book e forse anche la print-on-demand si allargheranno e le biblioteche saranno chiamate a un grosso lavoro interno relativo alla digitalizzazione (ci sono ancora troppo pochi documenti digitali, soprattutto di libero accesso, in Italia).

Quanto al lavoro di “organizzazione della conoscenza” se così si può dire senza rendersi sospetti di dirigismo, questo potrebbe aumentare assai e trovare nella biblioteca la sede migliore. Ciò vale in particolare per la scuola, dove potrebbe finalmente trovare spazio la figura dell’insegnante bibliotecario che magari si chiamerà diversamente, ma potrà aiutare, attraverso l’informatica e la telematica, a rendere la scuola più attiva e interessante.

Paolo Traniello