I diritti della biblioteca reloaded. Accesso alla conoscenza, proprietà intellettuale e nuovi servizi sette anni dopo il convegno del 2008
Biblioteca centrale, Università degli studi di Napoli “Parthenope”; rosa.maiello@uniparthenope.it
Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 18 maggio 2015. I riferimenti normativi citati nel testo sono aggiornati alla stessa data.
Abstract
Rassegna a cura di Rosa Maiello
Il punto di partenza di questa rassegna è una rilettura del volume che documenta gli atti del convegno “I diritti della biblioteca. Accesso alla conoscenza, proprietà intellettuale e nuovi servizi”, svolto a Milano, Palazzo delle Stelline, nei giorni 6-7 marzo 2008: riprendendo i temi discussi in quella sede, vedremo cosa è cambiato da allora, sul piano normativo e nel dibattito pubblico, per quanto riguarda la configurazione istituzionale delle biblioteche e le funzioni loro assegnate, i nuovi servizi e i bisogni emergenti, e come il tema dei diritti e dei doveri della biblioteca nei processi di produzione e diffusione della conoscenza abbia incrociato la riflessione sui principi e sui valori che ne costituiscono il fondamento.
In particolare: illustreremo alcune riforme riguardanti il Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’organizzazione del MiBACT, il riassetto delle province e le questioni aperte in tema di fruizione, valorizzazione, responsabilità dei soggetti pubblici e diritti degli utenti; ci soffermeremo sulle scelte in materia di promozione della lettura, dal ruolo del Centro per il libro e la lettura ai problemi riguardanti le biblioteche scolastiche, fino al tentativo di sistematizzare la materia attraverso una proposta di legge attualmente all’esame della Camera dei deputati; riferiremo dell’evoluzione del progetto Magazzini digitali e degli accordi nazionali per l’attuazione del deposito legale digitale; riporteremo le novità in materia di riuso dell’informazione del settore pubblico e di digitalizzazione delle opere orfane; ancora a proposito di politiche per il digitale, segnaleremo la Raccomandazione europea del 2012 per l’accesso aperto e le iniziative da essa scaturite; considereremo l’impatto delle licenze d’uso sull’accesso all’informazione e ai servizi bibliotecari nel contesto di rete e alcune ipotesi di riforma del sistema del diritto d’autore; vedremo vecchie e nuove forme di esclusione e di controllo sulle idee; dal complesso di queste vicende trarremo elementi per documentare la riflessione sui valori, sull’etica professionale e sui doveri della biblioteca contemporanea per l’effettività del diritto d’accesso alla cultura e all’informazione.
I diritti della biblioteca nel 2008: sintesi dei contenuti del convegno
Sottolineando l’impegno dell’AIB per l’affermazione della biblioteca come luogo della memoria, della crescita civile, dell’uso pubblico dell’informazione, Guerrini (p. 13-18) denunciava la «non-priorità» della cultura nell’agenda politica italiana. Leombroni (p. 110-124) e Traniello (p. 125-134) riflettevano sul rapporto tra ordinamento giuridico e bisogni sociali tratteggiando, da diverse angolazioni, un quadro legislativo nazionale pletorico e nel contempo lacunoso e disomogeneo, frutto di una irrisolta ripartizione di competenze tra Stato, Regioni e autonomie locali, da cui non emergeva una fisionomia chiara della biblioteca pubblica e dei servizi nazionali.
Proponendo un viaggio nella storia delle biblioteche scomparse, Báez (p. 58-64) ricordava perché e come si può distruggere una biblioteca o negarle il diritto all’esistenza.
Ferrieri (p. 65-109) osservava che il tema dei diritti della biblioteca si può porre solo partendo dal riconoscimento della biblioteca come espressione di una comunità, che esercita una funzione non solo distributiva, ma di produzione culturale, e individuava un ventaglio di valori cui ancorare i diritti che la biblioteca può rivendicare. Ridi (p. 43-57) mostrava come nel lavoro quotidiano del bibliotecario possano presentarsi dilemmi nella scelta tra norme di pari rango la cui distinta applicazione condurrebbe a risultati opposti e suggeriva alcuni criteri per orientarsi, ispirati alla deontologia. Due interventi (Corradini - Taiani, p. 339-350; D’Urso, p. 331-338) evidenziavano poi il rapporto tra i diritti degli utenti e quelli dei bibliotecari. Parise (p. 135-144) metteva a fuoco il contributo della biblioteca pubblica all’esercizio della cittadinanza attiva, attraverso l’uguaglianza delle opportunità, la selezione critica delle informazioni e la promozione di dinamiche partecipative; Venturini (p. 145-158) indicava analoghe finalità in rapporto all’uso dell’informazione di fonte pubblica e ai processi di e-democracy. Byrne (p. 21-32) illustrava l’attività dell’IFLA per l’accesso all’informazione e la neutralità di internet. De Robbio (p. 219-241) segnalava come le nuove forme di produzione collaborativa di contenuti in rete spingano verso una riconfigurazione della filiera della conoscenza, entro cui occorre evitare i rischi per l’utente di essere intrappolato in dinamiche commerciali che sfuggono al suo controllo. Sui rischi per la privacy cui è esposto il cittadino e sul dovere della biblioteca di prevenire indebite acquisizioni dei dati dell’utente, anche da parte dei governi, si soffermava Malinconico (p. 318-330).
Vari interventi esaminavano l’impatto del diritto d’autore sui servizi bibliotecari e sull’accesso all’informazione da una prospettiva internazionale (Selgas Gutiérrez, p. 170-187; Morriello, p. 258-269), europea (Calvo Alonso-Cortés, p. 292-305) e nazionale (Corasaniti, p. 33-42; Cavaleri, p. 270-291; Vecchiet, p. 159-169; Agostini, p. 381-394; Bazzocchi, p. 406410; Angeletti, p. 411-415); Attanasio (p. 395-405) illustrava la posizione degli editori su una proposta di direttiva europea in tema di digitalizzazione di opere fuori commercio che è stata poi approvata nel 2012. Pochi mesi prima si era conclusa l’istruttoria per la riforma della legge italiana promossa nel 2007 dal Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e ci si interrogava sulle prospettive dopo l’insediamento del nuovo governo Berlusconi (Maiello, p. 416-419).
Dalle esperienze di singole biblioteche (Santarsiero, p. 368-378; Miranda, p. 366-367) e del gruppo nazionale CRUI-CARE per l’acquisto di risorse elettroniche a favore delle università (Gargiulo, p. 356-365), si esaminavano le criticità delle licenze d’uso commerciali e Giordano (p. 353-355) osservava che le biblioteche di università e ricerca erano solo la frontiera, ma simili problemi avrebbero presto investito tutte le biblioteche. Tammaro (p. 306-317) segnalava i possibili terreni di collaborazione tra bibliotecari ed editori. Caso (p. 188-218) e Vitiello (p. 242-257) confrontavano il modello editoriale commerciale con il modello dell’accesso aperto identificando in quest’ultimo una prospettiva evolutiva del diritto d’autore.
Raccoglie, cataloga, conserva…
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio è la cornice normativa di riferimento per le biblioteche, gli archivi e i musei. Esso affida allo Stato, tramite il MiBACT, un ruolo di coordinamento e integrazione del sistema per la tutela, la fruizione e la valorizzazione dei «beni culturali», sistema entro cui i suddetti istituti sono ricompresi in quanto «Istituti culturali». La definizione di «biblioteca» data dall’art. 101, secondo comma, lettera b) è rimasta incentrata sulla collezione e fin troppo scarna circa l’indicazione dei servizi, ancorché modificata pochi giorni dopo il convegno delle Stelline dal d.lgs. n. 62/2008, con l’inserimento della parola «cataloga», che non appariva nella formulazione allora vigente. Peraltro, il «catalogo nazionale dei beni culturali» cui è dedicato l’art. 17 è un censimento di cose tangibili concepito in funzione della loro tutela e non è destinato all’accesso pubblico. È gestito dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) con un sistema informativo entrato in funzione nel 2012, SIGECweb, che si presenta così: «Potranno accedere al SIGECweb solo utenti registrati nel sistema dagli enti coinvolti nel processo di gestione e produzione dei dati catalografici». L’opposto, insomma, rispetto alla finalità essenziale di un Online Public Access Catalogue, che i bibliotecari concepiscono come strumento per la fruizione e la valorizzazione di una collezione di documenti in qualsiasi formato, incluse le risorse elettroniche, e delle informazioni a essa collegate, che avviene con la rappresentazione tramite rete pubblica di reti di relazioni tra risorse informative eterogenee e tra queste e gli utenti.
In anni recenti, la teoria della catalogazione ha incrociato quella del web semantico e dei linked open data ed è stato osservato che l’informazione bibliografica può essere un anello di congiunzione tra due mondi: quello dell’amministrazione aperta e quello della scienza aperta. Una qualche saldatura tra approccio legislativo e approccio biblioteconomico (anche) al tema dei cataloghi potrebbe venire prossimamente dal decreto legislativo che il governo è stato delegato a emanare per il recepimento della direttiva 2013/37/ UE, di cui parleremo più avanti.
Tornando al Codice, servizi bibliotecari di base quali l’accoglienza, l’assistenza bibliografica, il prestito interbibliotecario, le riproduzioni e altri sono contemplati dall’art. 117, che nella versione originale del 2004 era rubricato «servizi aggiuntivi», rubrica poi modificata in «servizi per il pubblico» dal citato d.lgs. n. 62/2008, ma senza cambiare la sostanza della loro non obbligatorietà: essi «possono essere istituiti». Ritroviamo ancora il termine «possono» con riferimento alle utilizzazioni descritte dal primo comma dell’art. 107: «Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore». La scelta se consentire le utilizzazioni in questione dovrebbe comunque fondarsi su criteri obiettivi, che non consistono solo nei limiti indicati dallo stesso art. 107, ma discendono in linea generale dal quarto comma dell’art. 2 del Codice: «I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela». Tuttavia, l’art. 107 sta in rapporto di specie a genere rispetto all’art. 2 ed è effettivamente formulato in modo tale da prestarsi anche all’opposta interpretazione, ovvero che solo in casi speciali la riproduzione e l’uso strumentale e temporaneo di un bene culturale sono consentiti.
Il d.l. n. 83/2014 aveva aggiunto un nuovo comma 3-bis all’art. 108 del Codice, per chiarire che le riproduzioni di beni culturali possono essere effettuate dall’utente con propri mezzi e con modalità che non comportino il contatto fisico con il bene o l’esposizione a fonti luminose o l’uso di stativi o treppiedi, per finalità di studio, ricerca, manifestazione del pensiero ed espressione creativa e senza finalità di lucro diretto o indiretto, e per le stesse finalità possono essere comunicate al pubblico in modo da non poter essere riprodotte se non a bassa risoluzione. La legge di conversione ha però escluso i beni librari e archivistici dall’ambito applicativo di questo comma e così resta invariata la situazione preesistente: vi sono archivi e biblioteche che consentono all’utente di acquisire fotografie digitali con propri mezzi, ma alcuni chiedono un compenso per ogni foto, sebbene l’art. 108 esoneri da compensi le riproduzioni effettuate per motivi di ricerca, salvo rimborso delle spese per il servizio, che però in questo caso sono inesistenti; altri archivi e biblioteche vietano questo uso imponendo il ricorso a ditte od operatori convenzionati con l’istituto, con relativi tariffari anche piuttosto elevati. Ne è scaturita una campagna di protesta per il ripristino della versione iniziale del comma 3-bis, cui hanno aderito migliaia di persone.
La riproduzione di materiale antico e raro è un’utilizzazione che presuppone l’avervi preliminarmente ottenuto accesso. Tra novembre 2014 e gennaio 2015, si è sviluppato un acceso dibattito in AIB-CUR relativamente a se ed eventualmente quali forme di filtro all’accesso possano essere considerate legittime. La discussione è stata avviata da Bernardino Simone, utente di biblioteche, che afferma l’illegittimità dei regolamenti di molti istituti pubblici che richiedono forme di accreditamento mediante lettere di presentazione o altri documenti, quale condizione per accedere alla consultazione e alle sale riservate. Per Simone, l’illegittimità discenderebbe dagli obblighi di garantire la fruizione previsti dagli articoli 101 e 102 del Codice, ripresi dall’art. 38 del d.p.c.m. n. 171/2014. Dai commenti di vari bibliotecari (Livia Castelli, Daniele Danesi, Carlo Federici, io stessa, Beppe Pavoletti e altri ancora) sono emerse posizioni quasi sempre convergenti sulla non opportunità di filtrare gli accessi secondo il «titolo» del richiedente o pretendendo lettere di presentazione, ma discordanti sull’opportunità o meno di qualsivoglia verifica da parte del bibliotecario circa le motivazioni dell’utente alla consultazione del materiale. È stato ricordato che forme di filtro all’accesso sono previste presso le principali biblioteche nazionali europee, per preservarne la funzione archiviale. Quanto alla legittimità formale, di per sé filtrare le richieste per la verifica di compatibilità con destinazione d’uso istituzionale e ragioni di tutela non contrasta con il principio generale dell’accesso sancito dall’art. 2 del Codice. Il problema sta nell’adeguatezza e proporzionalità delle misure di tutela prescelte rispetto all’interesse da tutelare, che non è la conservazione in sé, ma quello della collettività intera, incluso ogni singolo richiedente, alla possibilità di fruizione attuale e futura anche solo per soddisfare una curiosità intellettuale.
Dimenticare le biblioteche o rilanciarle?
«[…] È evidente che per garantire lo sviluppo di un servizio bibliotecario efficace in tutto il Paese è necessario individuare un modello de minimis che fissi i requisiti essenziali del servizio bibliotecario pubblico, sul cui tronco possano innestarsi le variazioni e le declinazioni locali […]». Probabilmente, quel tronco di requisiti essenziali di funzionamento e di offerta andrebbe definito non solo per le biblioteche pubbliche di comunità territoriali cui si riferisce il testo citato, ma idealmente per tutte le biblioteche e quantomeno per quelle finanziate con fondi pubblici, siano esse generali o speciali, governative o accademiche, di ricerca o di pubblica lettura, individuando soluzioni che, anche attraverso la cooperazione interbibliotecaria e l’uso delle tecnologie digitali e di rete, consentano di ampliare la massa critica dei servizi offerti e il pubblico destinatario: ciò accrescerebbe la riconoscibilità sociale, ma anche la responsabilità della biblioteca rispetto ad altri attori nei circuiti dell’apprendimento, dell’informazione, della ricerca, nell’assicurare la partecipazione di tutti alla vita culturale e alla formazione delle decisioni.
Se la biblioteca nel Codice è un’immagine sfocata, altre fonti rivelano un tendenziale disinvestimento politico e progettuale che, accompagnato dalla riduzione dei finanziamenti, determina segnali preoccupanti di possibile implosione del «non-sistema bibliotecario italiano». L’ultimo regolamento sull’organizzazione del MiBACT, il citato d.p.c.m. n. 171/2014, insieme al regolamento attuativo, d.m. del 27 novembre 2014, aumenta le strutture amministrative centrali e attua il contenimento dei costi soprattutto nelle strutture tecniche e soprattutto nelle biblioteche, tramite il taglio di numerose figure dirigenziali. Musei, archivi e biblioteche restano «organi periferici» del Ministero, ma viene potenziata l’organizzazione dei musei, anche attribuendo ai musei principali il coordinamento di appositi poli museali regionali cui musei, archivi e biblioteche statali presenti nel territorio afferiranno per le attività di valorizzazione e digitalizzazione. Non è chiaro come potranno integrarsi le attribuzioni di questi poli museali statali e le attribuzioni delle regioni, che hanno competenza diretta sulle attività di promozione e valorizzazione degli istituti non statali. Il d.p.c.m. riconosce autonomia scientifica a musei e archivi e non alle biblioteche, omissione colmata solo dal successivo decreto ministeriale, norma di livello inferiore. Viene riconfermato il Centro per il libro e la lettura, istituito nel 2007 ma operativo solo dal 2010; nell’attuale configurazione collabora con la Direzione generale Biblioteche e istituti culturali cui è affidato, tra gli altri, il compito di promuovere il libro e la lettura e la conoscenza delle biblioteche. Non si prevede la nascita della Biblioteca nazionale d’Italia, ovvero misure per il potenziamento e la riorganizzazione dei servizi nazionali – SBN, deposito legale, bibliografia nazionale, digitalizzazione –, invece si accentua la caratterizzazione regionale delle biblioteche nazionali centrali di Roma e di Firenze, che diventano poli bibliotecari di coordinamento delle altre biblioteche pubbliche statali presenti rispettivamente nel Lazio e in Toscana. Analoghe funzioni di coordinamento territoriale potranno essere assegnate ad altre quattro biblioteche rimaste sedi dirigenziali. Dall’insieme di queste disposizioni, le biblioteche pubbliche statali si configurano come l’ultima ruota di un carro ministeriale appesantito da funzioni duplicate e indeterminatezza dei fini. In proposito, è stato osservato che
la complessità e la ricchezza di questa realtà bibliotecaria, che aveva come risvolto un indubbio dispendio di energie, duplicazioni di ruoli, incertezza di funzioni, ha evidentemente ostacolato quello che doveva essere l’unico provvedimento praticabile, cioè una legge per le biblioteche in cui fossero comprese tutte le biblioteche, indipendentemente dalla loro appartenenza […].
Nel pieno di una crisi economica che ha eroso welfare e coesione sociale, generalmente le biblioteche, frequentate da una media nazionale del 10% della popolazione e spesso sottodotate (salvo eccezioni localizzate soprattutto nel Nord del Paese), appaiono facile bersaglio di (ulteriori) tagli e ridimensionamenti, forse perché il loro apporto all’economia nazionale e alla bibliodiversità non è sufficientemente percepito né è facilmente misurabile, sebbene contribuiscano direttamente e in vario modo anche allo sviluppo dell’industria culturale e creativa. Le più colpite sono state le biblioteche scolastiche e le biblioteche degli enti locali. Da ultimo, molte biblioteche di province e reti bibliotecarie provinciali rischiano di chiudere per effetto della l. n. 56/2014; le «competenze fondamentali» delle nuove province riformate sono state ridotte e a tale riduzione ha fatto seguito una drastica riduzione di fondi. Tra le competenze fondamentali cancellate vi è proprio la valorizzazione culturale che, però, non è una competenza fondamentale nemmeno per i comuni, e soprattutto al Sud non è chiaro se questi, individualmente o in forma associata, intendano o riusciranno a farsene carico, superando ostacoli di carattere normativo, burocratico e finanziario. Nel febbraio 2015, il presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Piero Fassino ha scritto al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per chiedere l’apertura di un tavolo per
l’attivazione di una politica nazionale di rafforzamento e modernizzazione della rete delle biblioteche pubbliche, che preveda fondi statali specifici destinati a cofinanziare gli interventi dei Comuni; la messa in campo, anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche, di una politica organica di sostegno all’educazione alla lettura delle fasce più giovani della popolazione […].
Una biblioteca, come quella dei Girolamini di Napoli, depredata da un ladro privo di scrupoli e di titoli, messo lì a dirigerla da coloro che avrebbero avuto la responsabilità istituzionale di proteggerla, e salvata solo grazie al coraggio della denuncia di tre bibliotecari ancora precari dopo quarant’anni di onorato servizio suscita sdegno, ma ci è voluto lo smascheramento del furto e delle coperture politiche per le quali è stato possibile, per accendere (temporaneamente) i riflettori sul bisogno di maggior cura per quella biblioteca e per la sua destinazione pubblica. E le altre? Una biblioteca mai nata, o una biblioteca che funziona male e poi smette di funzionare per carenza di mezzi, personale e progetto culturale apparirà solo come un risparmio di spesa, senza neppure che la sua rilevanza per la coscienza culturale collettiva possa affiorare e radicarsi nell’opinione comune, ma il fatto è che l’ assenza di un piano di sviluppo è equivalente a un declino pianificato. Su larga scala, questo ragionamento può portare oggi alla scomparsa delle biblioteche (“tanto, ormai c’è Google” è il retropensiero di molti), ma poi potrà applicarsi a qualsiasi altro istituto pubblico o, al limite, alle stesse istituzioni democratiche. L’alternativa reale è creare le condizioni per farle funzionare adeguandole agli antichi e ai nuovi bisogni, sapendo che «oggi le biblioteche italiane si trovano di fronte a una sfida che assomiglia in qualche modo alla battaglia per la conservazione dei centri storici combattuta negli anni Sessanta, con la differenza (purtroppo) che non c’è la diffusa consapevolezza politica e culturale di allora».
Una legge sulle biblioteche permetterebbe di ancorare il servizio bibliotecario pubblico a basi più solide di quelle che ha avuto finora? È stato osservato che nemmeno il Servizio sanitario nazionale esisterebbe senza basi normative, pur essendo un servizio generalmente considerato essenziale. In controtendenza rispetto al quadro di dismissione sopra descritto, sono attualmente all’esame della Commissione cultura della Camera dei deputati ben due proposte: Atto Camera: 1504 – Proposta di legge: Giancarlo Giordano ed altri: “Disposizioni per la diffusione del libro su qualsiasi supporto e per la promozione della lettura”, presentata il 7 agosto 2013; Atto Camera: 2267 – Proposta di legge: Zampa ed altri: “Norme per la promozione della lettura nell’infanzia e nell’adolescenza e istituzione della Giornata nazionale della promozione della lettura e della Settimana nazionale del libro nelle scuole”, presentata il 3 aprile 2014. L’ unificazione delle due proposte è affidata a un comitato ristretto, che non ha ancora concluso i lavori. In particolare la proposta Giordano è di ampio respiro, offre una immagine chiara della biblioteca orientata al servizio e alla valorizzazione e attribuisce responsabilità ai diversi livelli istituzionali per il sostegno alla promozione della lettura e per lo sviluppo del Servizio bibliotecario nazionale cui sarebbe attribuito, tra l’altro, il compito di assicurare la digitalizzazione e l’adozione di standard e licenze aperti per l’accesso e il riutilizzo delle informazioni e dei documenti.
Accesso durevole e valorizzazione digitale. Deposito legale, digitalizzazione, dati aperti
La sola fonte normativa statale di livello primario dedicata a un servizio bibliotecario fondamentale è la legge sul deposito legale, che sancisce il deposito obbligatorio di quanto viene pubblicato in Italia, comprese le risorse diffuse tramite rete pubblica, al fine di costituire l’archivio nazionale e regionale della produzione editoriale e di realizzare servizi bibliografici nazionali di informazione e di accesso ai documenti stessi, nel rispetto delle norme in materia di diritto d’autore. Come sappiamo, la portata innovativa della legge è stata fortemente ridimensionata dall’art. 37 del regolamento attuativo, d.p.r. n. 252/2006, che rinvia la regolamentazione del deposito dei prodotti diffusi tramite rete telematica alla conclusione di un’apposita sperimentazione cui gli editori possono scegliere di aderire a titolo volontario. Grazie a un finanziamento iniziale della Fondazione Rinascimento digitale (giacché la legge del 2004 non prevede stanziamenti appositi), nell’ambito del progetto denominato Magazzini digitali è stata attivata una procedura di deposito presso le biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma e, in funzione di dark archive, presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. La procedura, basata sull’harvesting e in linea con le migliori pratiche internazionali, è stata sperimentata con successo almeno dal 2007 a partire dal deposito delle tesi di dottorato prelevate dagli archivi istituzionali degli atenei. Successivamente, la Direzione generale per le biblioteche e gli istituti culturali ha promosso un tavolo di confronto tra gli istituti depositari e le associazioni degli editori, concluso nel 2011 con l’adozione di uno schema di convenzione per il deposito e uno schema di licenza per l’uso delle risorse depositate, che le associazioni suddette si sono impegnate a promuovere presso i loro iscritti per esortarli all’adesione. Scorrendo l’elenco degli editori aderenti alla sperimentazione, aggiornato al settembre 2014, colpisce l’esiguo numero e la natura non commerciale della totalità degli stessi. La conservazione a lungo termine dei prodotti culturali dovrebbe essere una preoccupazione comune a biblioteche ed editori, eppure il deposito legale viene probabilmente percepito da questi ultimi come un onere burocratico tra i tanti, evitabile nei casi, come quello dei prodotti online, in cui non è ancora obbligatorio. Peraltro, il problema della conservazione digitale è complesso a livello planetario e riguarda qualsiasi documento destinato all’uso pubblico. L’Unione Europea è intervenuta più volte (da ultimo, nel 2011) per raccomandare agli stati membri l’adozione di misure efficaci, orientate alla cooperazione tra le biblioteche nazionali.
Il 2008 fu l’anno del lancio di Europeana, il portale per l’integrazione delle biblioteche digitali europee, concepito come risposta a Google Books, il motore di ricerca sul patrimonio di grandi biblioteche di tutto il mondo digitalizzato da Google in base ad accordi con le biblioteche stesse, che in quegli anni era al centro di una vertenza avviata da autori ed editori statunitensi (cui si erano associati quelli europei con il supporto dei governi di Francia e Germania) per violazione dei diritti d’autore sulle opere fuori commercio inserite e indicizzate nel database Google, di cui venivano mostrati brevi brani a esito delle ricerche degli utenti. Dopo vari tentativi di accordo transattivo, la vertenza si è conclusa nel 2013 con la vittoria di Google, con la motivazione che l’utilizzazione effettuata da Google è di grande utilità pubblica e rientra nell’uso ragionevole (fair use), consentito dalla legge statunitense. Nel tempo, Google Books si è arricchito di una serie di servizi che indirizzano all’uso della sua piattaforma di e-commerce per la fruizione più ampia dei contenuti, inclusi quelli di pubblico dominio. Diversamente da Google, Europeana è un progetto non commerciale, integra biblioteche digitali realizzate dalle biblioteche e da altri istituti culturali e ha una governance volta ad assicurare trasparenza, neutralità e rispetto dei diritti di tutti. Europeana è stata il principale modello di riferimento del progetto Digital Public Library of America (DPLA), nato per iniziativa dell’Università di Harvard. Sia la vertenza Google Books, sia lo sviluppo di Europeana avevano evidenziato diversi problemi dipendenti dalla titolarità dei diritti sui contenuti e sulle loro versioni digitali, e in particolare: i diritti d’autore sulle opere fuori commercio e su quella sottocategoria di opere fuori commercio, le «opere orfane», i cui titolari non sono reperibili; il rischio che sulle versioni digitalizzate di materiali di pubblico dominio possa ricrearsi un regime di esclusiva che sottrae l’opera alla pubblica fruizione.
Dopo anni di studi e consultazioni, l’Unione Europea ha emanato due direttive: la direttiva 2012/28/UE su taluni usi consentiti di opere orfane e la direttiva 2013/37/UE, che ha modificato la direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico. La prima direttiva è stata recepita in Italia con il d.lgs. n. 163/2014, che potrà forse agevolare la digitalizzazione di singole opere effettuata senza finalità di lucro, previa «ricerca diligente» dei titolari dei diritti, da effettuare sulle fonti indicate dallo stesso d.lgs., e annotazione in appositi registri della constatata irreperibilità dei titolari, ma non agevolerà la digitalizzazione di massa e la diffusione in rete delle opere fuori commercio che formano la maggior parte delle collezioni delle biblioteche, poiché la ricerca preventiva dei titolari è un procedimento lungo, costoso e complesso e lo è altrettanto la negoziazione con ogni singolo titolare eventualmente reperito. Per superare queste difficoltà, servirebbero misure legislative idonee a legittimare queste utilizzazioni, salva definizione del regime dei compensi, come avviene in Germania, Francia e in alcuni stati nordeuropei e come indicato dal Memorandum of Understanding [on] Key Principles on the Digitisation and Making Available of Out-of-Commerce Works, promosso dalla Commissione europea e sottoscritto nel 2011 dalle principali associazioni europee delle biblioteche e degli editori.
Quanto alla direttiva 2013/37/UE, essa s’inquadra nell’orientamento dell’Unione Europea a promuovere la diffusione dei dati aperti per l’elevato valore economico che può derivare dai loro molteplici impieghi nella ricerca scientifica e nell’innovazione industriale ed è volta a rafforzare gli obblighi delle pubbliche amministrazioni affinché rendano disponibili non solo all’uso, ma appunto anche al riuso (ripubblicazione, rielaborazione ecc.), a scopo commerciale e non commerciale, dati e documenti in loro possesso, purché accessibili secondo le legislazioni nazionali e non gravati da diritti esclusivi di terze parti. Eventuali tariffazioni devono essere trasparenti, controllate da un’autorità indipendente e devono coprire solo i costi marginali del servizio di riproduzione, salvo il caso in cui l’offerta a pagamento sia l’unico modo per finanziare l’attività. Sono esclusi dall’applicazione della direttiva i dati di ricerca prodotti da istituzioni scientifiche e accademiche – che sono oggetto della raccomandazione di cui parleremo nel prossimo paragrafo – mentre le biblioteche (incluse quelle universitarie), gli archivi e i musei vi sono stati inclusi perché detengono gran parte dell’informazione del settore pubblico e per la rilevanza delle loro collezioni per lo sviluppo di servizi innovativi, in particolare nei settori della formazione e del turismo. Potranno stabilire tariffe superiori ai costi marginali per finanziare progetti di digitalizzazione e, diversamente dalla regola generale del divieto di cessione di esclusiva, potranno anche concedere l’esclusiva a terze parti che si facciano carico della digitalizzazione, se questo è il solo modo per realizzarla; in ogni caso, l’eventuale esclusiva non può durare oltre dieci anni. Particolare enfasi è data all’importanza degli standard per l’apertura dei dati e per le licenze d’uso che accompagneranno l’informazione resa disponibile. La direttiva, il cui recepimento in Italia dovrebbe essere imminente, consente alle legislazioni nazionali di prevedere criteri anche più liberali.
I “mondi” delle biblioteche in rete tra informazione pubblica, scienza aperta e promozione culturale
«[…] È interessante notare che esistono somiglianze tra lo statuto dell’informazione pubblica e lo statuto delle biblioteche intese come beni comuni della conoscenza. Ma è chiaro che l’interazione tra questi due mondi è data da molteplici fattori tra i quali giocano un ruolo decisivo le tradizioni di uso della biblioteca in ciascun paese e la diffusione dell’editoria pubblica. […]». Finora, in Italia, tutte le iniziative governative orientate all’e-democracy hanno completamente ignorato la possibilità di utilizzare le biblioteche come infrastruttura di servizio e solo occasionalmente le competenze dei bibliotecari sono state utilizzate per tale finalità. Del resto, diversamente dall’Agenda digitale europea per il 2020, la sua implementazione italiana non contempla le biblioteche tra le linee d’intervento e nemmeno tra gli stakeholder pubblici di riferimento, neppure limitatamente alle attività di digitalizzazione e data curation. Tuttavia, il prossimo recepimento nazionale della direttiva 2013/37/UE e la conseguente obbligatoria inclusione delle biblioteche nell’ambito della disciplina dell’informazione del settore pubblico potrebbe offrire nuove opportunità per superare una certa visione della biblioteca come statico contenitore di documentazione storica e per identificarne la dimensione di servizio dinamico orientato a connettere fonti d’informazione eterogenee ai bisogni altrettanto eterogenei delle persone e delle formazioni sociali che compongono una comunità. Nella stessa direzione, seppure con riferimento a un ambito più limitato, si colloca il terzo comma dell’art. 4 del d.l. n. 91/2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 112/2013, che impone al MIUR e al MiBACT l’adozione di strategie coordinate per l’integrazione delle rispettive banche dati, in particolare quelle riguardanti l’anagrafe nazionale della ricerca, il deposito legale dei documenti digitali e la documentazione bibliografica. Dall’attuazione di queste norme dovrebbero derivare efficienza e miglioramento qualitativo dei sistemi di gestione dell’informazione, maggiore trasparenza, copertura e rapidità di aggiornamento, nonché un accesso integrato a informazioni e documenti digitalizzati o born-digital presenti nelle varie piattaforme, creando un ambiente favorevole allo sviluppo di nuova conoscenza e nuovi servizi, grazie al dialogo tra banche dati e servizi «culturali», informazione scientifica e informazione di comunità e all’adozione di standard aperti per il trattamento non solo dei dati, ma anche dei metadati a essi associati, in funzione del loro pieno riuso.
In questo contesto, l’innovazione di SBN apparirebbe cruciale: SBN è stato un esempio ante litteram di cooperazione in rete tra soggetti pubblici per l’integrazione e la diffusione dell’informazione, attraverso il catalogo nazionale come servizio e il più ampio accesso alle fonti come obiettivo e, sebbene oggi la sua architettura appaia per molti versi chiusa e vetusta, lo è meno rispetto a numerosi vasi non comunicanti prodotti dalla pubblica amministrazione, comprese le banche dati del MIUR, ciascuno dei quali peraltro ha finalità limitate al trattamento di specifiche risorse informative. Da un dibattito pubblico promosso dalla sezione Lazio dell’AIB nel 2013 e da successivi commenti, sono emerse molteplici indicazioni relativamente a una possibile riconfigurazione di SBN: piena interoperabi- lità dei sistemi superando la logica della certificazione dei software abilitati al dialogo con l’indice nazionale e adeguando i formati di gestione agli standard internazionali; pubblicazione dei dataset dei record bibliografici in modo da favorirne il riutilizzo; integrazione con le biblioteche digitali e relativi metadati, nonché dei servizi digitali, incluso ad esempio l’e-lending, sulla base di un principio di neutralità nei confronti delle diverse piattaforme d’origine; deburocratizzazione e adozione di un approccio collaborativo e distribuito, a cominciare dalla governance per giungere all’interazione e allo scambio dei dati con altri attori del mondo dell’informazione e della comunicazione.
L’Unione Europea ha scelto di riservare un trattamento distinto alla documentazione scientifica prodotta all’interno delle università e dagli istituti di ricerca, principalmente in considerazione delle peculiarità dei modelli di validazione e pubblicazione dei risultati della ricerca. Tale documentazione, infatti, è stata espressamente esclusa dall’applicazione della nuova direttiva sull’informazione del settore pubblico, ma nel contempo l’accesso aperto alle pubblicazioni e ai dati di ricerca resta un obiettivo centrale nell’agenda europea, per il quale sono stati predisposti molteplici programmi e incentivi, nella certezza che la piena disponibilità di queste risorse nel più breve tempo possibile moltiplica l’efficienza della ricerca (favorendo la cooperazione, evitando attività duplicate e riducendo tempi e costi di transazione per l’accesso all’informazione), la sua efficacia (accrescendo le probabilità di produrre risultati e applicazioni di tali risultati) e la sua qualità (aderendo maggiormente alle attese e ai valori della collettività che la ha finanziata) e può rendere l’Unione Europea più competitiva nello scenario mondiale. Negli ultimi anni, oltre ad avere stabilito che l’accesso aperto ai risultati della ricerca è condizione necessaria per ottenere i finanziamenti erogati nell’ambito del Programma quadro Horizon 2020, l’UE è intervenuta sul tema con la raccomandazione 2012/417/UE, esortando gli stati membri a fare in modo che
i sistemi di concessione in licenza contribuiscano ad assicurare in maniera equilibrata un accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche prodotte nell’ambito di attività di ricerca finanziate con fondi pubblici, fatta salva la legislazione applicabile sul diritto d’autore e nel rispetto della stessa, e incoraggino i ricercatori a mantenere il diritto d’autore pur concedendo licenze agli editori.
Si raccomanda inoltre a una maggiore trasparenza
[…] in merito agli accordi conclusi tra enti pubblici o gruppi di enti pubblici ed editori per la messa a disposizione dell’informazione scientifica. A questo riguardo, dovrebbero essere resi pubblici gli accordi riguardanti le offerte cumulative di abbonamenti che permettono di accedere sia alla versione elettronica, sia alla versione stampata delle riviste a prezzo scontato.
Le finalità di queste raccomandazioni sono esplicitate nel preambolo (par. 15): «Stante la fase di transizione che vive il settore editoriale, le parti interessate devono lavorare insieme per accompagnare il processo di transizione e cercare soluzioni sostenibili per il processo editoriale delle pubblicazioni scientifiche». Si raccomanda infine la realizzazione di infrastrutture elettroniche adeguate alla conservazione e alla data curation, generalmente affidate alle biblioteche di deposito legale, nonché l’adozione di un’accorta pianificazione finanziaria.
Il principio dell’accesso aperto è stato introdotto nella legislazione italiana dal secondo comma dell’articolo 4 del citato d.l. n. 91/2013, come modificato dalla legge di conversione (l. n. 112/2013): limitatamente agli articoli pubblicati su riviste scientifiche a periodicità almeno semestrale che documentano risultati di ricerca finanziata prevalentemente con fondi pubblici, è onere degli organismi pubblici che finanziano la ricerca promuovere la loro disponibilità ad accesso aperto, immediatamente tramite il sito dell’editore, oppure tramite il deposito di una copia in apposito archivio istituzionale o disciplinare, entro dodici mesi dalla pubblicazione per le riviste dell’area scienze, tecnologie e medicina e ventiquattro mesi per quelle dell’area delle scienze umane e sociali (termini superiori a quelli indicati dalla raccomandazione europea, rispettivamente di sei e dodici mesi).
Dal canto loro, numerosi atenei italiani, anche per impulso della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) – Gruppo Open Access, hanno adottato autonome policy orientate all’accesso aperto e molti di essi, in occasione di un convegno svolto a Messina nel decennale della Dichiarazione di Messina del 2004, hanno condiviso una Road Map che definisce una serie di impegni volti all’affermazione dell’accesso aperto tra il 2014 e il 2018.
Ha fatto scalpore, nel 2014, la pubblicazione integrale del contratto stipulato tra la Francia ed Elsevier, leader mondiale nel mercato dell’editoria accademica, per l’abbonamento delle università e degli istituti di ricerca francesi alle risorse pubblicate da questo editore, per un valore di 172 milioni di euro e un utile netto stimato per l’editore stesso di oltre il 36% sul prezzo, mentre venivano annunciati tagli alla ricerca pubblica per 400 milioni. Cionondimeno, e nonostante la crescita internazionale delle pubblicazioni ad accesso aperto, non si registrano significative riduzioni nei costi dell’editoria scientifica che, per le pubblicazioni ad accesso aperto in sedi editoriali commerciali, si sono solo spostati dalla fase dell’abbonamento a quella della pubblicazione e restano indipendenti dai costi di produzione, entro un mercato caratterizzato dalla progressiva concentrazione in capo a pochi editori internazionali della proprietà delle principali riviste scientifiche, che consolidano la loro posizione dominante proponendo l’acquisto di interi pacchetti di titoli a prezzi apparentemente più vantaggiosi rispetto all’acquisizione selettiva di singoli abbonamenti.
Nuovi servizi ed ecosistema dell’informazione. Diritto d’autore, tecnocontrollo, censura
«Imagine a world where every book on every shelf across the world had different usage terms and conditions – this is the reality of the digital world we now live in»: così esordisce un documento intitolato Licence paralysis – Protect copyright (in via di pubblicazione) firmato da IFLA, EBLIDA, LIBER e altre associazioni di biblioteche, per denunciare gli effetti dei contratti di licenza d’uso che, in ambiente digitale, prevalgono sulle norme di legge in materia di diritto d’autore ed eccezioni e limitazioni a favore delle biblioteche e della ricerca. Tra questi effetti, possiamo evidenziare: il caso estremo dell’assenza di licenze, a causa dell’indisponibilità del produttore a negoziarle con le biblioteche; la mancanza di trasparenza, a causa delle clausole di confidenzialità che spesso vietano la pubblicazione dei contenuti dei contratti stessi; l’imposizione della legislazione e della giurisdizione dello Stato ove ha sede il fornitore in deroga alle norme sugli appalti pubblici e a quelle sul diritto d’autore che prevedono l’applicazione della legge dello stato ove avviene l’utilizzazione, ossia quello della biblioteca acquirente; scarse o nulle garanzie sulla privacy degli utenti, i cui comportamenti possono essere interamente tracciati, soprattutto nei casi in cui vengano usate misure tecnologiche di protezione particolarmente invasive; minori diritti di quelli assicurati dalle eccezioni in materia di riproduzione (a scopo di conservazione o per uso personale dell’utente), prestito, prestito interbibliotecario e comunicazione al pubblico per finalità illustrative, didattiche o scientifiche; contenuti trasformati in servizi ad accesso temporaneo, che in certi casi durano per il solo anno di abbonamento; notevoli complicazioni, incertezza legale e costi di transazione per le biblioteche costrette ad affrontare complicate negoziazioni.
Questi problemi, già noti da tempo alle biblioteche di università e ricerca, oggi riguardano anche le biblioteche pubbliche, che sperimentano difficoltà anche maggiori nel rendere disponibili gli e-book alla consultazione, alla riproduzione e al prestito (e-lending), ad esempio: gli editori offrono liste predefinite di titoli, che spesso escludono le ultime novità, i manuali e i best-seller; superato un certo numero di prestiti, le biblioteche devono pagare nuovamente; la durata di un prestito è stabilita dall’editore; le piattaforme tramite cui il servizio è disponibile non sempre sono interoperabili con il sistema informativo della biblioteca ai fini dell’inserimento dei metadati bibliografici; non sempre la riproduzione è consentita, seppure nei limiti quantitativi consentiti dalla legge; il prestito interbibliotecario spesso è vietato; non è garantito l’accesso a lungo termine qualora l’editore decida unilateralmente di rimuovere determinati contenuti dalla sua piattaforma; la donazione alla biblioteca di collezioni private di e-book è esclusa, poiché le licenze sono personali e non attribuiscono diritti reali sulla copia.
Dal 2008, mentre in Italia calava il sipario sulle prospettive della riforma organica della legge nazionale, l’Unione Europea e la World Intellectual Property Organization (WIPO) hanno dedicato spazio nella loro agenda al tema delle eccezioni e limitazioni al diritto d’autore, che vede da sempre titolari dei diritti e biblioteche su posizioni contrapposte circa il giusto punto di equilibrio tra diritti esclusivi e diritti del pubblico. In estrema sintesi, le richieste delle biblioteche sono volte a ottenere il riconoscimento di un livello minimo di diritti di utilizzazione sui contenuti acquisiti legalmente tramite: la creazione di un sistema più omogeneo di eccezioni e limitazioni, rendendo obbligatorie per tutti gli stati membri quelle che tutelano l’interesse pubblico e i diritti umani, in modo tale da armonizzare le legislazioni nazionali e favorire gli scambi transfrontalieri; il rafforzamento delle eccezioni e limitazioni in modo da evitare che siano vanificate dalle licenze o dalle misure tecnologiche di protezione; l’adeguamento delle eccezioni e limitazioni all’evoluzione tecnologica, in modo da contemplare nuove forme di utilizzazione (in particolare, l’e-lending e, in ambito scientifico, il content-mining) e da essere applicabili per analogia ai casi non espressamente previsti dalle norme. Per la fine del 2015, la Commissione europea ha annunciato la presentazione di una proposta legislativa. In ambito WIPO, invece, l’Unione Europea si oppone a qualsiasi ipotesi di trattato o altro strumento legale in materia di eccezioni e limitazioni e l’unica apertura finora manifestata è la firma del Trattato di Marrakesh to Facilitate Access to Published Works for Persons Who Are Blind, Visually Impaired or Otherwise Print Disabled (Marrakesh, 27th June 2013), una firma a cui peraltro non è ancora seguita la ratifica, per questioni procedurali sollevate dal Consiglio europeo. Quanto alla legge italiana sul diritto d’autore, oltre al d.lgs. di recepimento della direttiva europea del 2012 in tema di digitalizzazione delle opere fuori commercio, una ulteriore modifica è stata introdotta dal primo comma del citato art. 4 del d.l. n. 91/2013 che, nella versione finale conseguente alla conversione nella l. n. 112/2013, ha aggiunto un comma 1-bis all’art. 15 della l. n. 633/1941, che liberalizza le letture al pubblico effettuate negli istituti culturali pubblici, previo accordo tra il MiBACT e la SIAE; detto accordo è stato siglato dalle parti il 12 maggio 2014 e definisce le modalità di effettuazione delle letture esenti da richiesta di autorizzazione, che vanno autocertificate con una dichiarazione del responsabile dell’istituto da inviare alla sede SIAE competente per territorio.
Secondo l’IFLA Trend Report, le nuove tecnologie possono espandere l’accesso all’informazione, ma anche amplificare le diseguaglianze: ciò dipenderà dalla capacità delle persone di utilizzare efficacemente le tecnologie e di effettuare una selezione critica dell’informazione rilevante per le proprie necessità e qualitativamente affidabile, nonché dall’opportunità concreta di avere accesso alle informazioni e ai documenti. Una quantità crescente di risorse online per la formazione offrirà nuove opportunità per facilitare l’autoapprendimento e l’aggiornamento delle competenze delle persone adulte, le barriere linguistiche saranno progressivamente superate dalle traduzioni automatiche sempre più sofisticate e le iniziative orientate all’accesso all’informazione del settore pubblico renderanno i governi più trasparenti, mentre sorgeranno nuovi movimenti tematici che ridurranno l’influenza dei partiti tradizionali. Nel contempo, crescerà ulteriormente la capacità delle aziende e dei governi stessi, inclusi quelli considerati democratici, di tracciare massivamente i comportamenti in rete degli utenti, con connessi rischi per la libertà personale e di forme occulte o palesi di censura online. Secondo un rapporto commissionato dall’UNESCO, la sorveglianza viene esercitata soprattutto dagli intermediari, ossia fornitori di connettività, motori di ricerca e social network.
La questione della censura si è riproposta più volte in questi anni anche nelle forme più tradizionali: dal caso dell’assessore provinciale di Venezia promotore, nel 2011, di una proposta di eliminare dagli scaffali delle biblioteche civiche le opere di scrittori che anni prima avevano firmato un appello a favore di un ex terrorista, al caso del sindaco di Sesto Calende che, nel 2012, aveva fatto sparire – trattenendolo in prestito per mesi e vantandosi della bravata – un libro che parlava male del suo partito politico, al caso del movimento di mamme di Carate Brianza che, nel 2015, con il sostegno di un partito politico, chiedeva l’eliminazione dalla biblioteca di un libro sull’omogenitorialità. Non si creda che questi fenomeni riflettano solo il provincialismo italiano, poiché casi di censura, o di discriminazione verso utenti gay e lesbiche si sono registrati negli stessi anni anche negli USA. Tuttavia, nei regimi liberali l’intolleranza ideologica solitamente non giunge alla forma estrema del rogo dei libri degli infedeli, come invece è avvenuto recentemente ad esempio a Mosul, seconda città dell’Iraq attualmente sotto il controllo dei fondamentalisti dell’ISIS, che hanno massacrato popolazioni e distrutto un patrimonio di opere antichissime per cancellare il diritto a qualunque memoria di un mondo diverso dal loro.
Bibliotecari. Valori, etica, riconoscimento
In occasione della stesura della nuova agenda ONU per gli anni 2016-2030 per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, l’IFLA ha redatto la Dichiarazione di Lione sull’accesso all’informazione e allo sviluppo, cui hanno aderito numerose associazioni ed organismi pubblici. La dichiarazione è volta a promuovere inclusione e superamento delle diseguaglianze, anche attraverso il potenziamento delle tecnologie per la comunicazione in modo da superare le barriere geografiche, assicurando a tutti l’accesso all’istruzione, al lavoro, alla conoscenza e alla formazione delle decisioni che riguardano la vita associata, con particolare attenzione alle minoranze e alle categorie svantaggiate. A tale scopo, identifica l’apporto delle biblioteche e archivi al raggiungimento di questi obiettivi: mettere a disposizione informazioni di comunità – da quelle relative ai diritti fondamentali a quelle sulla disponibilità dei servizi pubblici a quelle sull’ambiente, la salute, le opportunità di lavoro e la spesa pubblica; promuovere relazioni anche a distanza tra differenti partner perché condividano soluzioni per lo sviluppo accrescendone l’impatto; organizzare la formazione per l’acquisizione di competenze informative; offrire accesso perpetuo al patrimonio culturale; creare spazi per la discussione pubblica. Chiede alle autorità politiche di riconoscere l’importanza dell’accesso e dell’uso consapevole dell’informazione e di adottare adeguate politiche e legislazioni per assicurare il finanziamento dei sistemi di gestione, conservazione e accesso all’informazione.
Nel 2012 l’IFLA ha pubblicato il Code of Ethics for Librarians and other Information Workers, articolato nei seguenti punti: accesso all’informazione, responsabilità verso le persone e la società, tutela della riservatezza e adozione di adeguate misure per la trasparenza delle informazioni, promozione dell’accesso aperto, advocacy per un sistema della proprietà intellettuale che veda rafforzate le eccezioni e limitazioni ai diritti esclusivi, neutralità, integrità personale, rispetto per i colleghi e valorizzazione della qualità della professione. Il nuovo codice deontologico dell’AIB è stato adottato nel 2014: occorreva adeguarlo al codice dell’IFLA e alla legge sulle professioni non organizzate cui accenneremo tra poco. Le principali novità rispetto alla versione precedentemente in vigore riguardano i riferimenti – mutuati dal codice IFLA – al diritto d’autore, all’alfabetizzazione informativa, alla gratuità dell’accesso ai documenti.
«Al servizio non di una corte o di un principe, nemmeno di un governo […] ma del paese, di una nazione civile e libera (sono parole del Chilovi), di cittadini e non più di sudditi»: la citazione si riferisce alla figura del bibliotecario dell’epoca risorgimentale, cui viene fatta risalire l’origine della professione di bibliotecario in senso moderno, un intellettuale-tecnico capace di applicare un ampio bagaglio di conoscenze non solo all’elaborazione di complessi apparati bibliografici, ma anche alle questioni organizzative minute riguardanti l’allestimento e la gestione di una biblioteca, sorretto da una forte aspirazione libertaria.
Valori ed etica professionale sono una bussola universale per la professione al di là dei diversi contesti operativi e quelli dei bibliotecari sono un richiamo particolarmente forte, perché connessi alla difesa dei diritti umani fondamentali di libertà e uguaglianza, che appartengono a tutti. Una nota positiva per i bibliotecari e per gli utenti delle biblioteche è l’affermazione del diritto delle biblioteche a essere affidate a personale professionalmente qualificato, sancito dal nuovo articolo 9-bis introdotto nel Codice dall’art. 1 della l. n. 110/2014:
[…] gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi […] sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari […], in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale.
L’art. 2 della legge prevede l’istituzione presso il Mi-BACT di elenchi pubblici dei suddetti; con apposito decreto ministeriale saranno definiti le modalità e i requisiti per l’iscrizione e le modalità di tenuta degli elenchi in collaborazione con le associazioni professionali. Il terzo comma dell’art. 2 chiarisce che la mancata iscrizione a tali elenchi non preclude l’esercizio della professione e che gli stessi non sono albi professionali. L’art. 9-bis rappresenta una ulteriore tappa nel percorso per il riconoscimento professionale dei bibliotecari, che aveva già segnato un risultato importante con la l. n. 4/2013 sulla regolamentazione delle professioni non ordinistiche e delle loro associazioni.
Letture complementari
Associazione italiana biblioteche, Biblioteche e bibliotecari nel XXI secolo, <http://www.aib.it/attivita/campagne/biblioteche-bibliotecari- 21-secolo/>.
Raphaëlle Bats, Biblioteche, crisi e partecipazione, «AIB Studi», 55 (2015), n. 1, p. 59-70, <http://aibstudi.aib.it/article/view/11003>.
Le Biblioteche di Luigi Crocetti. Saggi, recensioni, paperoles 19632007, a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2014.
Camera dei deputati, Atto Camera: 1504 - Proposta di legge: Giancarlo Giordano ed altri: “Disposizioni per la diffusione del libro su qualsiasi supporto e per la promozione della lettura”, presentata il 7 agosto 2013, <http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=1504.>.
ID., Atto Camera: 2267 - Proposta di legge: Zampa ed altri: “Norme per la promozione della lettura nell’infanzia e nell’adolescenza e istituzione della Giornata nazionale della promozione della lettura e della Settimana nazionale del libro nelle scuole”, presentata il 3 aprile 2014, <http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=2267>. Decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1995, n. 417, Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali, <http://www. normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.del.presidente. della.repubblica:1995-07-05;417!vig=>.
Direttiva 2012/28/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 su taluni utilizzi consentiti di opere orfane, <http:// eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:299: 0005:0012:IT:PDF>.
Direttiva 2013/37/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che modifica la direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, <http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:175:0001:0 008:IT:Pdf>.
Chiara Faggiolani - Anna Galluzzi, L’identità percepita delle biblioteche: la biblioteconomia sociale e i suoi presupposti, «Bibliotime», 18 (2015), n. 1, <http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xviii-1/galluzzi.htm>.
Fotografie libere per i beni culturali. Movimento a favore della riproduzione libera e gratuita delle fonti documentarie in archivi e biblioteche per finalità di ricerca, <https://fotoliberebbcc.wordpress.com>.
Giovanni Galli, A dieci anni dalle linee di politica bibliotecaria per le autonomie: il sistema che non c’è, «AIB Studi», 52 (2012), n. 1, p. 65-68, <http://aibstudi.aib.it/article/view/6291>.
Mauro Guerrini, Per un nuovo catalogo SBN e per una nuova Bibliografia nazionale italiana, «Digitalia», 8 (2013), n. 2, p. 185-190, <http://digitalia.sbn.it/article/view/836/561>.
International Federation of Library Associations and Institutions, IFLA Code of Ethics for Librarians and other Information Workers, <http://www.ifla.org/news/ifla-code-of-ethics-for-librarians-and- other-information-workers-full-version>.
ID., IFLA Trend Report, <http://trends.ifla.org/>.
Legge 7 agosto 2012, n. 135, Conversione in legge del Decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, <http:// www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2012- 07-06;95!vig=>.
The Lyon Declaration On Access to Information and Development, <http://www.lyondeclaration.org/>.
Girolamo Sciullo, Il Mibac dopo il d.p.r. 91/2009: il “centro” rivisitato, «Aedon», 2009, n. 3, <http://www.aedon.mulino.it/archivio/ 2009/3/sciullo.htm>.
Giovanni Solimine, L’Italia che legge, Roma-Bari, Laterza, 2010.
ID., Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica, «AIB Studi», 53 (2013), n. 3, p. 261-271, <http://aibstudi.aib.it/article/ view/9132>.
Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia: dall’Unità a oggi, Bologna, il Mulino, 2014².
UNI 11535:2014, Figura professionale del bibliotecario – Requisiti di conoscenza, abilità e competenza.
Maurizio Vivarelli, Specie di spazi. Alcune riflessioni su osservazione e interpretazione della biblioteca pubblica contemporanea, «AIB Studi», 54 (2014), n. 2/3, p. 181-199, <http://aibstudi.aib.it/article/ view/10134>.
Alessandro Zaccuri, Biblioteche, scaffali alla prova della riforma, «Avvenire», 8 aprile 2015, <http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/ BIBLIOTECHE-.aspx>.