N.2 2020 - La biblioteca nel mondo che verrà

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L’educazione e la distanza: le risposte della scuola e il ruolo delle biblioteche scolastiche

Gino Roncaglia

Dipartimento di Filosofia, comunicazione e spettacolo, Università degli studi di Roma Tre; gino.roncaglia@uniroma3.it

Vincenza Benigno

Istituto per le tecnologie didattiche, Consiglio nazionale delle ricerche; benigno@ge.itd.cnr.it

Giovanni Caruso

Antonella Chifari

Luca Ferlino

Giovanni Fulantelli

Manuel Gentile

Mario Allegra

Licia Cianfriglia

Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (ANP), Consiglio superiore pubblica istruzione, Roma; cianfriglia@anp.it

Stefania Capogna

Maria Chiara De Angelis

Flaminia Musella

Link Campus University

Mario Priore

Istituto comprensivo di Bella (PZ); Coordinamento reti di biblioteche scolastiche; Commissione nazionale AIB biblioteche scolastiche e centro risorse educative; Gruppo di ricerca sulle biblioteche scolastiche; Università degli studi di Padova; mario.priore1@gmail.com

Per tutti i siti web la data di ultima consultazione è il 21 novembre 2020.

Abstract

La sospensione della didattica in presenza e l’avvio della didattica a distanza (DAD) hanno influenzato le prassi organizzative e didattiche adottate dal sistema educativo italiano e hanno richiesto alle famiglie un coinvolgimento e un ruolo di primo piano nella condivisione e gestione del percorso didattico.

L’articolo condivide e analizza i primi dati raccolti nel corso di due distinte indagini condotte a livello nazionale con l’obiettivo di comprendere l’impatto della DAD sulla quotidianità degli studenti e delle loro famiglie, nonché definire successivamente il “curriculum nascosto” dei docenti, ovverosia quel bagaglio di motivazioni, aspettative, credenze pre-esistenti, che hanno accompagnato la DAD, influenzando l’approccio didattico, organizzativo ed emotivo con cui è stato vissuto il processo di insegnamento-apprendimento nell’emergenza.

Con la ripresa della didattica in presenza, tuttavia, in molte realtà si assiste allo smantellamento o alla riduzione degli spazi delle biblioteche scolastiche per far posto alle tradizionali aule. Eppure, proprio nella fase di lockdown, laddove le biblioteche sono da tempo radicate nella scuola e sul territorio, le stesse hanno fornito validi supporti alla didattica a distanza, sostenendo il lavoro dei docenti nella DAD e mantenendo i rapporti con le famiglie e con il territorio, come dimostra l’esperienza dell’Istituto comprensivo di Bella (PZ).

English abstract

The suspension of in-presence teaching and the start of distance learning have influenced the organisational and teaching practices adopted by the Italian education system, and they have required families to be involved and play a leading role in sharing and managing the educational path.

The article analyses some of the main results of two national surveys aimed to understand the impact of distance learning on Italian families; the data collected will also be useful to define the teachers’ “hidden curriculum”, i.e. that baggage of motivations, expectations, pre-existing beliefs that accompanied the distance learning, influencing the didactic, organizational and emotional approach with which the teaching-learning process in the emergency was experienced.

With the recovery of in-presence teaching, however, in many situations we have seen the dismantling or the reduction of space of Italian school libraries to make way for traditional classrooms. However, during the lockdown phase, school libraries have often provided valuable support for distance education, supporting the work of teachers and maintaining relations with families and the territory, as the experience of the school library of Bella (Potenza) shows.

Introduzione

Di Gino Roncaglia

L’emergenza Covid-19 ha avuto conseguenze di enorme portata sul sistema sociale, economico e culturale del paese. L’ambito educativo e culturale è stato fra quelli più direttamente colpiti, con la necessità di sospendere o limitare per lunghi periodi l’apertura fisica di scuole, università, biblioteche, archivi, musei, librerie, sale teatrali e cinematografiche, concerti, e di numerose altre tipologie di esercizi, servizi e attività di diretto rilievo per la nostra vita culturale e civile. In molti casi, le attività e i servizi in presenza sono stati almeno in parte sostituiti da attività e servizi erogati a domicilio o, più spesso, a distanza e online.

L’effetto dell’emergenza è stato drammatico, pur se in forme e modi diversi, su ciascuno dei settori che abbiamo sopra ricordato, e rispetto a ciascuno di essi – a partire da quello bibliotecario, che più direttamente interessa in questa sede – occorrerà una riflessione specifica e approfondita, che aiuti a valutare le conseguenze di quanto avvenuto e a progettare al meglio la ripartenza. Ma è indubbio che, sia per il suo ruolo, sia per il numero dei soggetti coinvolti, sia per la visibilità, la vivacità e talvolta l’asprezza del dibattito pubblico che ha accompagnato le scelte fatte, il mondo della scuola abbia in questa situazione una centralità del tutto particolare. Le istituzioni culturali del paese sono tutte importanti, tutte essenziali per un futuro di crescita culturale e civile, ma la scuola è la radice comune alla quale tutte devono necessariamente far riferimento.

Anche per questo ci è sembrato che, nel riflettere su quel che in questi mesi è cambiato e sta cambiando nel nostro orizzonte culturale, non si potesse non parlare della scuola, anche a prescindere dalle biblioteche, su cui si concentra la nostra attenzione nel resto di questo fascicolo. Le scelte che la scuola ha dovuto fare, a partire dal passaggio alla didattica a distanza, e le conseguenze di queste scelte, ci riguardano non solo come cittadini, ma anche – e non meno direttamente – come professionisti nel campo della mediazione informativa: gli strumenti della didattica a distanza sono infatti strumenti in cui mediazione formativa e mediazione informativa si uniscono, in molti casi fin quasi a coincidere. Le nuove tecnologie della formazione e le nuove tecnologie dell’informazione sono spesso le stesse tecnologie, il loro orizzonte è comune. I temi delle competenze, delle infrastrutture, dell’accesso, dell’inclusione, sono temi fondamentali nella valutazione dell’esperienza di didattica a distanza di emergenza fatta in questi mesi, ma sono temi fondamentali anche per il futuro della professionalità bibliotecaria. I problemi incontrati, le azioni messe in atto, i risultati conseguiti, ci interessano molto da vicino.

Queste riflessioni spiegano lo spazio dedicato all’esperienza fatta dal mondo della scuola nell’emergenza Covid-19, partendo dall’analisi dei risultati di due fra le indagini più articolate e approfondite svolte sulla didattica a distanza di emergenza durante il primo lockdown.

C’è un dato, fra i molti di grande interesse, sul quale dovremmo riflettere con particolare attenzione: in queste indagini il mondo delle biblioteche, e in particolare delle biblioteche scolastiche, non compare. Così come non compare praticamente mai nel dibattito pubblico di questi mesi su scuola e università. Un dibattito in cui la contrapposizione, quasi sempre sterile, fra didattica in presenza e didattica a distanza è di norma presentata come contrapposizione fra due modi di “far lezione”: come se il momento della lezione, e in particolare della lezione frontale, rappresentasse ed esaurisse l’essenza del lavoro educativo. Potrebbe essere interessante, da questo punto di vista, studiare il rapporto fra l’uso del termine “didattica” e l’uso del termine “apprendimento”: sospetto che, nonostante l’attenzione posta negli ultimi decenni sulla centralità dei processi di apprendimento per il buon esito delle pratiche educative, la sproporzione a favore del primo termine sia enormemente cresciuta dall’avvio dell’emergenza.

È importante, allora, cercare di capire – in parte in controluce – quale potrebbe essere (e quale “dovrebbe” essere) il ruolo della mediazione informativa, del lavoro di documentazione e di information literacy, delle biblioteche scolastiche, in una scuola capace di allargare lo sguardo oltre la lezione frontale, oltre la contrapposizione fra presenza e distanza, oltre l’orizzonte temporale più immediato. Quale sarebbe potuto essere (e in qualche occasione felice, quale è stato) questo ruolo anche in una situazione come quella che stiamo attraversando.

Un’indicazione in questo senso ci arriva dall’articolo di Mario Priore sull’esperienza fatta da alcune biblioteche scolastiche innovative (in particolare, quella dell’Istituto comprensivo di Bella in Basilicata) e dal Coordinamento delle reti di biblioteche scolastiche: un lavoro controcorrente – dato che in molte situazioni le biblioteche scolastiche sono state fisicamente smantellate per far posto alle classi dei banchi singoli e distanziati – ma prezioso nel mostrare come l’inclusività e l’efficacia dell’apprendimento dipendano anche dalla capacità di riconoscere la centralità della mediazione informativa nella costruzione di pratiche scolastiche più ricche e differenziate. Nell’emergenza, le scuole capaci di non chiudersi solo nelle lezioni frontali (in presenza o a distanza), le scuole capaci di valorizzare le biblioteche scolastiche anziché di chiuderle, hanno funzionato meglio, e mostrato maggiore resilienza. Un dato di cui nei prossimi mesi e nei prossimi anni sarà importante tener conto.

Le famiglie italiane e la didattica a distanza durante l’emergenza: una prima riflessione

Di Vincenza Benigno, Giovanni Caruso, Antonella Chifari, Lucia Ferlino, Giovanni Fulantelli, Manuel Gentile, Mario Allegra

La sospensione della didattica in presenza e l’avvio della didattica a distanza (DAD) avvenuta nel marzo 2020, a seguito della pandemia di Covid-19, è divenuta obbligatoria per poter contenere la diffusione del virus nel territorio italiano. La scuola italiana, come in molte nazioni nel mondo, assieme alle famiglie di ogni estrazione socioculturale si è ritrovata a riorganizzare i percorsi di insegnamento-apprendimento con l’obiettivo comune di garantire la continuità educativa. La DAD, valicando la soglia familiare, ha annullato i confini tra le due agenzie educative scuola-famiglia scompaginando regole e azioni che garantivano loro un’identità e un ruolo chiaro anche nel rispetto e nell’impegno reciproco.

Nel presente articolo saranno presentati alcuni tra i risultati principali di un’indagine realizzata da un team di ricerca dell’Istituto per le tecnologie didattiche del Consiglio nazionale delle ricerche (ITD-CNR), con l’obiettivo di conoscere l’impatto della DAD sulla dimensione familiare. Al questionario, somministrato online nel periodo compreso tra il 12 maggio e il 22 giugno 2020, hanno risposto 19.527 famiglie che hanno compilato in totale 31.805 schede figlio. I dati evidenziano alcune criticità connesse al pregresso uso delle tecnologie didattiche a scuola, alla richiesta di supporto da parte dei genitori nella conduzione delle attività di apprendimento a distanza, alla riorganizzazione delle routine familiari e delle modalità di lavoro.

  


Introduzione

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) il 30 gennaio 2020 ha dichiarato l’epidemia da Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica a livello internazionale. Alla luce di ciò e della rapida diffusione del virus, che ha portato a un aumento esponenziale dei casi e dei decessi, sono state rese necessarie tutta una serie di restrizioni nei movimenti dei singoli individui e di chiusure delle attività lavorative sia private sia pubbliche in un’ottica di contenimento della sua diffusione e della protezione di vite umane. La scuola italiana, come in molte nazioni nel mondo, nel giro di poco tempo ha riorganizzato la didattica in presenza interamente a distanza al fine di garantire il diritto allo studio come sancito dalla Costituzione italiana. Nel mese di aprile, come riporta l’Unesco, il 90% di studenti (circa 1,6 miliardi di ragazzi) in tutto il mondo si è ritrovato a fare scuola a distanza. La chiusura della scuola in presenza, sul nostro territorio nazionale, è stata confermata dal d.P.C.m. del 4 marzo 2020, e con provvedimenti successivi (d.P.C.m. del 26 aprile, d.l. 16 maggio 2020, n. 33, d.P.C.m. del 17 maggio) la didattica è stata erogata online fino alla conclusione dell’anno scolastico. All’articolo 1 del d.P.C.m. 4 marzo 2020 si legge che «sono sospese le attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado e che i dirigenti scolastici sono invitati ad attivare, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza avendo anche riguardo delle specifiche esigenze degli studenti con disabilità». La didattica a distanza (DAD), introdotta di soppiatto, spiazza il contesto educativo nazionale, dirigenti, docenti e famiglie, che si rivela inizialmente impreparato e disorganizzato. La DAD prima dell’avvento del Covid-19 aveva trovato ampio spazio applicativo nel contesto della formazione superiore, universitaria e post (in questi contesti è più comune usare il termine e-learning), mentre nella scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado erano rare le esperienze di DAD realizzate, e molto spesso implementate solo al fine di rispondere a specifiche esigenze di inclusione. Per quanto riguarda l’uso delle tecnologie didattiche, in molte realtà scolastiche, come riportato da alcune indagini recenti come quella del Censis e quella realizzata dall’Istituto per le tecnologie didattiche del CNR di Genova, in cui sono stati coinvolti rispettivamente 1.221 dirigenti scolastici distribuiti su tutto il territorio nazionale, e 1.882 docenti afferenti a tutti i livelli scolari, si evidenzia la difficoltà a integrarle nella pratica didattica e un loro utilizzo basato prevalentemente su approcci erogativi. Inoltre, il passaggio da una didattica in presenza, dove la scuola accoglie in uno stesso luogo e con le stesse risorse tutti gli studenti, a una didattica a distanza contraddistinta da una disomogeneità dei diversi background familiari e delle risorse tecnico-strumentali, non sempre ha garantito l’esercizio del diritto allo studio, come riconosciuto dalla Costituzione italiana. Questo spiegherebbe il perché come documentato in letteratura, non tutti i docenti e studenti hanno potuto godere delle stesse opportunità di coinvolgimento nel processo di apprendimento a distanza. L’emergenza ha coinvolto tutti gli ambiti di vita della famiglia, da quello sociale a quello scolastico dei figli, a quello strettamente professionale, rendendo i genitori fortemente responsabili della promozione e della protezione del benessere bio-psico-fisico dei loro figli. In questa nuova dimensione della casa, i genitori hanno dovuto rispondere al contempo ai loro bisogni evolutivi, emotivi e psicologici, che permettessero, seppure nell’isolamento, un ancoraggio alla realtà esterna e collettiva. La DAD, valicando la soglia familiare, ha annullato i confini tra le due agenzie educative scompaginando regole e azioni che garantivano loro un’identità e un ruolo chiaro e nitido anche nel rispetto e nell’impegno reciproco. Alcune indagini scientifiche hanno già fatto emergere alcune importanti considerazioni riguardo all’impatto che la DAD ha avuto sul contesto familiare. In particolare, lo studio di Dong, Cao e Li Qiu sottolinea come le difficoltà nella gestione della DAD possano dipendere dallo sfondo socioculturale, dallo specifico stile educativo e dall’idea dell’e-learning che possiedono le famiglie. In particolare, sembrerebbe che l’atteggiamento critico dei genitori rispetto all’apprendimento a distanza possa influire negativamente sull’esperienza stessa dei propri figli. Altre ricerche si sono concentrate sulle diseguaglianze sociali emerse durante l’emergenza Covid-19, mettendo in luce come le differenze socioculturali e strumentali delle famiglie nell’accesso alle risorse tecnologiche e multimediali (per garantire la DAD a casa) abbiano influito sulla continuità didattica di alcuni alunni più svantaggiati di altri e, di conseguenza, sull’esito delle valutazioni e dei giudizi di fine anno. Le famiglie appartenenti a ceti socioculturali medio bassi sembrano essere quelle più penalizzate per la mancanza di tecnologie da mettere a disposizione dei figli; in particolare, al Sud secondo recenti dati Istat il 33,8% delle famiglie italiane non ha un computer, spazi domestici adeguati e competenze per supportare i figli nella DAD. In alcuni casi, il divario tecnologico e pedagogico tra le diversi classi sociali di appartenenza ha anche portato le categorie più fragili (alunni con BES, disabilità, immigrati) a fenomeni di dispersione digitale. Da altre ricerche è emersa l’importanza di considerare la complessità e la diversità delle condizioni delle famiglie (ad esempio, più di un figlio in DAD e uno o entrambi i genitori in smart working a tempo pieno, la disponibilità di spazi autonomi e della tecnologia necessaria) per fronteggiare l’apprendimento online da casa. Senza trascurare le iniziali difficoltà e frustrazioni riscontrate dalle famiglie e dai docenti a causa delle discrepanze tra gli stessi strumenti messi in atto dalle istituzioni, e che hanno “costretto” in breve tempo i genitori a imparare nuove procedure di sostegno per i loro figli. La DAD ha dunque richiesto un impegno costante alle famiglie ed è stata vissuta da molti come estremamente gravosa, e per alcuni come una vera e propria novità. La percezione e il carico di tale impegno sembrano essere connessi alle competenze genitoriali e alla loro capacità di supportare in modo efficace le richieste dei figli. Nonostante tutte le difficoltà emerse ci sono, comunque, evidenze che testimoniano come le famiglie anche in tempi brevi siano state in grado di rispondere alle diverse richieste provenienti dal mondo della scuola per organizzare e gestire la DAD nel contesto familiare.

In questo contributo sono riportate alcune riflessioni scaturite da un’indagine che ha avuto l’obiettivo di comprendere quale impatto la DAD ha avuto nel contesto delle famiglie italiane.

In particolare, i risultati emersi fanno seguito a una serie di domande di ricerca tra le quali: in che modo le famiglie hanno potuto fronteggiare le richieste della DAD, dal punto di vista della dotazione tecnologica, e se la scuola ha provveduto nei casi in cui esse ne erano sprovviste. Quanto e in che modo i figli hanno avuto bisogno del supporto dei genitori e per quale tipo di attività in particolare. Impatto sull’organizzazione familiare, ossia quanto la DAD ha influito nella condivisione degli spazi e della strumentazione tecnologica, nonché nello svolgimento di attività lavorative in smart working e in quelle ordinarie.

La ricerca

Strumento e procedura

Il questionario, messo a punto durante la prima fase dell’emergenza Covid-19 (marzo-maggio 2020), è stato costruito da un team di ricerca dell’Istituto per le tecnologie didattiche del Consiglio nazionale delle ricerche (ITD-CNR), con l’obiettivo di indagare l’impatto della DAD nel contesto familiare. Il questionario è stato realizzato attraverso il software open source LimeSurvey e allestito presso server CNR. Il questionario contiene 58 domande di cui alcune a risposta chiusa, e altre che prevedono una modalità di risposta di tipo Likert, graduate in modo diverso a seconda del tipo di valutazione richiesta. Le tre sezioni principali del questionario sono precedute da una scheda che descrive l’informativa sul trattamento dei dati personali, in conformità alla normativa del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR, 2016) vigente sulla protezione dei dati. Il primo insieme di domande, corrispondente alla Sezione anagrafica, è dedicato alla raccolta del profilo sociodemografico delle famiglie compilanti. In particolare, si rilevano i dati del genitore che compila il questionario e dell’altro genitore (genere, età, nazionalità, cittadinanza, livello scolare, stato occupazionale), e dati più generici sulla composizione del nucleo familiare (quanti adulti presenti nel nucleo ristretto e numero di figli in età scolare). In questa stessa sezione si chiede ai genitori di specificare il livello scolare del/i proprio/i figlio/i, la presenza di eventuali disabilità o bisogni educativi speciali. Infine, si indaga se il/i genitore/i ha svolto la propria attività lavorativa in modalità smart working (SW), e se per la gestione del/i figlio/i è stato necessario ricorrere a un sostegno esterno o meno. La seconda parte, denominata Sezione tecnologica, entra nel vivo dell’indagine rivolgendo alle famiglie domande che mirano ad analizzare quale sia stata la disponibilità di tecnologie presenti a casa per poter far fronte alle necessità di un apprendimento a distanza e contemporaneamente a quelle lavorative dei genitori che hanno usufruito dello SW. Questo al fine di comprendere le condizioni nelle quali le famiglie si siano trovate al momento dell’attivazione delle lezioni online. In particolare, se hanno potuto disporre sin da subito, o meno, della dotazione tecnologica necessaria per frequentare in remoto, e se sono state in qualche modo “obbligate” ad attrezzarsi in autonomia o ancora con il supporto della scuola. Queste domande, assieme a quelle formulate per rilevare il livello di confidenza dei genitori nei confronti delle tecnologie informatiche, costituiscono una parte essenziale del questionario utile a corroborare gli studi sulle diseguaglianze socioculturali e strumentali messe in luce da molte ricerche precedentemente citate. Una terza parte del questionario, replicabile per ciascun figlio presente nel nucleo familiare, è stata inoltre redatta per conoscere quale impatto la DAD abbia avuto sulla gestione familiare, in particolare se essa ha avuto ripercussioni sull’organizzazione della gestione quotidiana delle routine familiari e sulla rimodulazione degli spazi comuni. Un ulteriore set di domande è stato proposto per rilevare la percezione delle famiglie relative all’organizzazione didattica della DAD. Domande più specifiche sono state inoltre formulate per comprendere se durante il periodo di lockdown i propri figli abbiano risentito del loro benessere psicofisico, e se sono stati osservati cambiamenti degni di nota in ambito socioaffettivo e comportamentale. La possibilità di far compilare al genitore tante schede figlio quante corrispondenti al numero di figli presenti nel nucleo familiare, ha offerto alle famiglie la possibilità di fotografare uno spaccato reale ed esaustivo di quanto accaduto nel periodo dell’emergenza da Covid-19, anche laddove vi fosse presente un figlio con disabilità. In quest’ultimo caso, ai genitori è stato chiesto di riferire in che modo la DAD ha garantito un processo di inclusione anche nel contesto virtuale. Il questionario è stato somministrato online attraverso la tecnica del campionamento a valanga (snowball sampling) in un periodo compreso tra il 12 maggio e il 22 giugno 2020.

 

Campione

Al questionario hanno risposto 19.527 famiglie; è stato compilato per il 79,4% da genitori di sesso femminile, e per il 12,4% di sesso maschile. Essendo il questionario organizzato in modo tale che ciascuna famiglia potesse compilare una sezione per ogni figlio in età scolare presente nel proprio nucleo, il totale delle schede figlio raccolte ammonta a 31.805. Questa scelta, dettata dal bisogno di ottenere un quadro più esaustivo possibile delle caratteristiche dei nuclei familiari e degli effetti della DAD sulla prole.

Per quanto riguarda i genitori rispondenti, il 30,8% dei genitori ha un’età compresa tra i 45 e i 49 anni; il 94,4% di essi è di cittadinanza italiana. Il livello di istruzione è così distribuito: il 36,5% dei genitori risulta possedere un diploma di laurea, il 46,2% un diploma di scuola secondaria di secondo grado. Rispetto allo stato occupazionale, il 77,2% dei genitori risulta essere occupato, il 10,6% disoccupato. Inoltre, emerge che il 55,3% dei genitori intervistati, durante il periodo di lockdown, ha svolto la propria attività lavorativa in SW.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, le famiglie appartenenti al campione di ricerca risiedono prevalentemente nelle regioni del Centro Italia (68,9%).

Il campione dei figli comprende studenti di scuola dell’infanzia (10,2%), di primaria di primo ciclo (16,6%), primaria di secondo ciclo (23,3%), secondaria di primo grado (25,5%) e secondaria di secondo grado (24,5%). Per 905 figli su 31.805 è stata segnalata una disabilità. Tali studenti appartengono ai seguenti livelli scolari: l’11,2% scuola dell’infanzia, il 21,7% scuola primaria di primo ciclo, il 20,3% scuola primaria di secondo ciclo, il 26,3% scuola secondaria primo grado, e il 20,6% scuola secondaria di secondo grado (Figura 1).

Figura 1 Livello scolare e genere degli studenti

Risultati dell’indagine

Come precedentemente indicato, al genitore rispondente è stato chiesto di compilare una scheda figlio per ciascun figlio in età scolare (infanzia-secondaria di secondo grado). Questa scelta, dettata dalla volontà di ottenere una fotografia completa dei nuclei familiari e degli effetti della DAD su tutti i figli, ha determinato la raccolta di una struttura di dati gerarchica a due livelli, in cui le unità di primo livello sono rappresentata dagli studenti e le unità di secondo livello sono le famiglie. Considerando che il campione è formato da 19.527 famiglie e 31.805 studenti, indicativamente per ciascun nucleo familiare sono state inserite in media 1.63 schede studente. Le analisi, effettuate con il software open source R, hanno tenuto conto di tale struttura gerarchica; infatti, tutte le analisi su variabili a livello studente, sono state realizzate definendo modelli lineari misti mediante il pacchetto lme4.

Tecnologie pre-Covid-19 e attivazione DAD

Sul totale del campione studenti (n=31.805), la percentuale di studenti per cui è stata attivata la DAD è di circa l’80,37%. L’analisi di questo dato per livello scolare (Figura 2) rivela come a soffrire maggiormente una mancanza di attivazione siano stati i livelli scolastici inferiori.

Figura 2 Attivazione della DAD per livello scolare, espressa in percentuale

Per comprendere questo dato è necessario analizzare l’uso delle tecnologie sia in classe che in DAD prima dell’emergenza. Il 55% delle famiglie dichiara che gli insegnanti utilizzavano già la tecnologia (intesa come uso di LIM, computer, tablet ecc.) mentre solo il 5,7% dichiara esperienze pregresse di DAD.

L’analisi delle percentuali di attivazione in funzione dell’esperienza pregressa evidenzia delle differenze degne di nota. Infatti, in quelle realtà in cui gli insegnanti utilizzavano la tecnologia prima dell’emergenza, la percentuale di attivazione della DAD ha raggiunto l’87,53%. Di contro, nelle classi in cui non vi era esperienza pregressa nell’uso delle tecnologie, la percentuale di attivazione della DAD si riduce al 73,09%.

Analogamente, la familiarità nell’adozione della DAD a monte dell’emergenza ha impattato sulla sua attivazione durante la fase emergenziale. Tale dato corroborato dalla percentuale di attivazione della DAD che ha raggiunto il 94,96%, contro un 79,64% di attivazione nelle classi senza esperienza pregressa.

Effetto verificato anche attraverso la stima di un modello logistico che, al netto di una bassa capacità esplicativa generale, evidenzia comunque l’effetto significativo sull’attivazione della DAD di entrambi i fattori “UsoTecnologiePrimaCovid” e “UsoDADPrimaCovid”, come descritto in Figura 3.

 

B(SE)

 

Rapporto di probabilità (CI al 95%)

(Intercetta)

0.99* (0.02)

 

 

UsoTecnologiePrimaCovid

0.89* (0.03)

2.45

2.30-2.60

UsoDADPrimaCovid

1.28* (0.12)

3.61

2.83-4.60

R2 = .039 (Hosmer and Lemeshow) .038 (Cox and Snell) .06 (Nagelkerke) X2(2)=1192.88 p<0.001. *p<.001

Figura 3 - Impatto dell’esperienza tecnologica pregressa sull’attivazione della DAD

Per quanto riguarda i tempi di attivazione, il 38,11% del campione segnala che le attività DAD sono state attivate molto velocemente (una settimana), mentre circa l’11,40% indica in “oltre tre settimane” il tempo necessario per l’attivazione della DAD. Anche in questo caso, un’analisi per livello scolare (Figura 4), pur segnalando una buona prontezza di risposta del sistema scuola, evidenzia delle differenze fra i livelli scolari e una maggiore difficoltà di attivazione per i livelli scolari inferiori.

Dotazione tecnologica delle famiglie

Un fattore fondamentale nell’analisi dell’impatto della DAD sulle famiglie è rappresentato dalla tecnologia. Un dato confortante è che il 97,53% delle famiglie di studenti si sono dichiarate tecnologicamente pronte all’avvio della DAD. Tuttavia, il 28,89% delle famiglie è dovuto ricorrere all’acquisto di altri dispositivi per soddisfare le esigenze imposte dall’emergenza.

L’analisi della dotazione tecnologica relativa delle famiglie non evidenzia delle differenze sostanziali per area geografica (Figura 5), mentre emergono delle differenze tra gli immigrati di prima e seconda generazione (Figura 6) che si sono dichiarati meno pronti tecnologicamente rispetto ai genitori di cittadinanza italiana.

Figura 5 Percentuale di famiglie tecnologicamente pronte all’avvio della DAD per area geografica
Figura 6 Percentuale di famiglie tecnologicamente pronte all’avvio della DAD per cittadinanza dei genitori

Supporto genitoriale

I dati evidenziano come le attività DAD abbiano richiesto un intervento genitoriale importante, soprattutto per i livelli scolari più bassi. La Figura 7 evidenzia un andamento chiaramente decrescente al crescere del livello scolare. Dal 98% di richiesta di supporto del livello infanzia ci si attesta a un 10% di richiesta di supporto per gli studenti della scuola secondaria di secondo grado. Analogamente, se si analizza il dettaglio della tipologia di supporto richiesto dagli studenti (Figura 8), si ottiene un identico andamento decrescente per livello scolare sia rispetto alla richiesta di supporto durante tutta la lezione che rispetto alla richiesta di supporto all’avvio della lezione. Percentuali omogenee fra i livelli scolari si evidenziano rispetto alla gestione della strumentazione e alla difficoltà degli studenti di seguire le lezioni in modalità DAD.

Figura 7 Richiesta di supporto genitoriale durante le attività DAD
Figura 8 Tipologia di supporto richiesto dagli studenti durante le attività DAD

Infine, la richiesta di supporto degli studenti relativamente alle difficoltà di comprensione dei contenuti è stata segnalata soprattutto (sempre in termini percentuali) dai livelli scolari superiori. A questa maggiore richiesta di aiuto dei livelli scolari più elevati rispetto ai contenuti delle attività DAD si accompagna, sempre negli stessi livelli, una percentuale più elevata di genitori che si dichiarano non adeguatamente preparati a fornire il supporto richiesto (Figura 9).

Figura 9 Percentuali dei genitori che dichiarano di non avere le competenze adeguate a rispondere alla richiesta di supporto

Impatto familiare

L’impatto della DAD sull’organizzazione familiare è stato valutato attraverso la domanda “Questo nuovo modo di fare scuola (DAD) di suo/a figlio/a quanto ha influito sull’ordinaria organizzazione familiare?”.

Ai genitori è stato chiesto di esprimere una valutazione dell’impatto in una scala di valori compresi tra 0 (“Per nulla”) e 10 (“Moltissimo”) rispetto ai seguenti aspetti:

  • condivisione degli spazi domestici;
  • condivisione della strumentazione tecnologica;
  • svolgimento di attività lavorative in smart working;
  • svolgimento di attività lavorative al di fuori dell’ambiente domestico.

 In particolare, l’andamento delle risposte evidenzia un impatto notevole della DAD rispetto a tutti gli aspetti analizzati. Tuttavia, anche la modalità “Per nulla” evidenzia frequenze di risposta elevate, soprattutto relativamente ai due item relativi all’impatto della DAD sullo svolgimento delle attività lavorative per le quali rappresenta la modalità di risposta con maggiore frequenza relativa. In particolare, sembra esserci un impatto rilevante soprattutto per quanto riguarda la condivisione degli spazi (Figura 10).

Figura 10 Impatto della DAD sull’organizzazione familiare

Per comprendere maggiormente l’impatto della DAD sulla condivisione degli spazi è stata effettuata un’analisi ANOVA gerarchica, attraverso la stima di un modello lineare misto che ha consentito di verificare l’impatto delle seguenti variabili:

  • livello scolare dei genitori, inteso come livello massimo di istruzione dei due genitori;
  • età dei genitori, inteso come fascia d’età massima dei due genitori;
  • cittadinanza dei genitori, inteso come cittadinanza massima fra i due genitori ottenuta considerando il seguente ordine relativo fra i livelli della variabile cittadinanza (italiana <immigrato di prima generazione <immigrato di seconda generazione <altro);
  • numero dei genitori in smart working;
  • numero di figli;
  • area geografica di residenza (Nord, Centro, Sud e Isole);
  • livello scolare del figlio;
  • genere del figlio;
  • presenza di disabilità.

Il modello include l’identificativo del nucleo familiare come effetto casuale. Il potere esplicativo totale del modello è sostanziale (R2 condizionale = 0.75) e la parte relativa ai soli effetti fissi (R2 marginale) è di 0.09 (Figura 11).

Variabile

Stima

Intervallo di confidenza

p

(Intercetta)

4.79

4.17 – 5.42

<0.001

LivelloScolareGenitori [lineare]

-0.24

-1.72 – 1.23

0.745

LivelloScolareGenitori [quadratico]

0.13

-1.03 – 1.30

0.823

LivelloScolareGenitori [cubico]

0.62

-0.77 – 2.02

0.383

LivelloScolareGenitori [4° grado]

-1.37

-2.69 – -0.05

0.042

LivelloScolareGenitori [5° grado]

0.88

0.15 – 1.60

0.018

EtaGenitori [lineare]

0.90

-0.67 – 2.47

0.262

EtaGenitori [quadratico]

-2.45

-3.81 – -1.09

<0.001

EtaGenitori [cubico]

0.30

-0.99 – 1.59

0.647

EtaGenitori [4° grado]

0.46

-0.89 – 1.81

0.505

EtaGenitori [5° grado]

-1.02

-2.29 – 0.25

0.115

EtaGenitori [6° grado]

1.01

-0.04 – 2.06

0.059

EtaGenitori [7° grado]

-0.47

-1.20 – 0.25

0.202

EtaGenitori [8° grado]

-0.02

-0.41 – 0.37

0.906

CittadinanzaGenitori [Immigrato di prima generazione]

-0.12

-0.51 – 0.28

0.562

CittadinanzaGenitori [Immigrato di seconda generazione]

-0.64

-1.74 – 0.47

0.258

CittadinanzaGenitori [Altro]

-0.50

-0.83 – -0.17

0.003

NumeroGenitoriInSW

0.34

0.27 – 0.41

<0.001

NumeroFigli

0.70

0.63 – 0.77

<0.001

Area [Centro]

0.18

0.07 – 0.30

0.002

Area [Sud e Isole]

0.09

-0.12 – 0.29

0.397

LivelloScolareStudente [lineare]

-0.22

-0.32 – -0.12

<0.001

LivelloScolareStudente [quadratico]

-1.24

-1.31 – -1.16

<0.001

LivelloScolareStudente [cubico]

0.57

0.50 – 0.64

<0.001

LivelloScolareStudente [4° grado]

-0.14

-0.20 – -0.07

<0.001

GenereStudente [Femmina]

0.04

-0.02 – 0.11

0.209

GenereStudente [Non dichiarato]

0.04

-0.06 – 0.15

0.423

Disabilita [Si]

0.50

0.30 – 0.70

<0.001

Effetti random

 

 

 

σ2

3.08

 

 

τ00 idFamiglia

8.09

 

 

ICC

0.72

 

 

N idFamiglia

17132

 

 

N

25563

 

 

R2 Marginale/ R2 Condizionato

0.088 / 0.748

 

 

Il modello evidenzia un effetto significativo in relazione al numero di figli (β=.7, p<.001), ossia al crescere del numero dei figli aumenta la percezione della difficoltà nella gestione degli spazi. Un effetto analogo è collegato al numero dei genitori in smart working (β=.34, p<.001) e alla presenza di figli con disabilità (β=.5, p<.001).

Le famiglie con residenza nel Centro Italia segnalano maggiormente il problema rispetto alle famiglie residenti nel Nord Italia (β=.18, p<.05), mentre le risposte fornite dai residenti nel Sud Italia e nelle Isole risultano caratterizzate da una maggiore variabilità e non risultano significativamente diverse rispetto a quelle fornite dai genitori delle altre aree.

Il genere dello studente e il livello scolare dei genitori non sembrano influire su questo aspetto.

Per meglio comprendere l’effetto dell’età dei genitori e del livello scolare degli studenti sono state effettuate due analisi post-hoc con metodo Tukey. Nel primo caso, l’analisi evidenzia che il problema della condivisione degli spazi è stato maggiormente evidenziato dalle famiglie con genitori nella fascia di età 30-49 anni. Infine, rispetto al livello scolare, l’analisi evidenzia come il problema venga segnalato maggiormente al crescere del livello scolare.

 

Discussione

L’elevata numerosità dei questionari compilati con un campionamento a valanga (cioè del passaparola) attraverso i principali canali social, indica la volontà e il bisogno delle famiglie di voler condividere il modo in cui hanno fronteggiato l’esperienza della DAD. Inoltre, la compilazione di più schede figlio, sebbene onerosa, dimostra la necessita di voler riportare l’unicità e la diversità dell’esperienza vissuta da ciascun figlio imputabile molto probabilmente alla diversità dei livelli scolari o anche al modo in cui le singole scuole e i docenti hanno organizzato la gestione delle attività didattiche a distanza.

Un risultato inatteso è l’elevata percentuale di famiglie che hanno dichiarato di essere tecnologicamente pronte per fronteggiare le richieste della DAD. Un dato che differisce notevolmente da altre indagini sul territorio nazionale, come ad esempio i dati riportati dal Censis in cui i dirigenti intervistati dichiarano che per l’84,2% degli studenti è stato necessario fornire attrezzature hardware per la realizzazione della DAD.

È possibile che il campione rispondente risenta della modalità con cui è stato raggiunto per la compilazione del questionario.

A conferma di quanto evidenziato in altri studi un dato rilevante è costituito dalla percentuale di scuole (circa il 20%) che non hanno attivato la DAD. Benché non sia stato chiesto ai genitori la motivazione del mancato avvio, si può ipotizzare che la carenza di dotazioni tecnologiche unita a una limitata competenza e problemi di connessione possano essere stati fattori vincolanti. Inoltre, si rileva che la prontezza all’uso delle tecnologie per attuare le attività didattiche è correlato positivamente alle precedenti esperienze d’uso delle tecnologie didattiche e di attività di didattica a distanza. I docenti che avevano sviluppato competenze nel campo delle ICT, pregresse alla pandemia, hanno mostrato una maggiore efficacia e tempestività nell’attivazione della DAD. Tale dato deve far riflettere sull’importanza della formazione dei docenti in questo ambito, ampiamente promossa negli ultimi anni dal Piano nazionale scuola digitale (PNSD).

Un’ulteriore variabile che ha differenziato l’avvio della DAD è relativa al livello scolare e, come riportato da altre ricerche, è stata attivata in tempi più brevi per le scuole secondarie di I e II grado. La scuola primaria ha mostrato maggiori difficoltà. A conferma di ciò Ranieri, Gaggioli e Borges riportano come i docenti della scuola primaria si siano sentiti impreparati non solo dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto in relazione alla necessità di ri-progettare il setting formativo in modo da affinare le modalità comunicative di trasmissione del sapere e quelle relazionali.

I dati raccolti nella sezione che riguarda la richiesta di supporto da parte degli studenti alle figure genitoriali o familiari, presenti nel loro contesto quotidiano, sono esplicativi di come l’assenza di interazione diretta con i propri pari e con il docente di riferimento durante la DAD possa avere influito, più o meno positivamente e a diversi livelli, sul senso di adeguatezza/inadeguatezza del singolo. Il “vuoto sociale” dentro cui gli studenti si sono ritrovati nel periodo dell’emergenza, come riportato anche da altre ricerche, ha avuto effetti diversi a seconda dell’età degli studenti. L’interazione faccia a faccia con i compagni e gli insegnanti facilita maggiormente l’apprendimento negli alunni di scuola primaria, ma non sembra essere così scontato per gli studenti di scuola secondaria i quali invece possono in taluni casi apprezzare la “distanza” per sentirsi più liberi di esprimersi e di pianificare lo studio secondo i propri ritmi personali.

Infatti, non è casuale che dall’indagine si evinca una maggiore richiesta di supporto e di presenza fisica da parte di alunni di scuola primaria non solo per l’avvio della lezione a distanza ma per tutta la sua durata. Ciò non solo per quanto supposto prima ma, presumibilmente, anche perché meno autonomi nell’uso degli strumenti tecnologici e più “dipendenti” dalle figure adulte per la risoluzione di problemi contingenti all’erogazione delle lezioni e allo svolgimento dei compiti online. Inoltre, il rimanere focalizzati sul compito per tutta la durata della lezione, che mediamente si è attestata alle 5 ore quotidiane, e con un livello di concentrazione costante potrebbe essere un altro elemento chiave nell’entità della richiesta di supporto, da parte di bambini più piccoli di età, alle figure adulte di riferimento. È evidente, quindi, che la capacità di autoregolazione e di autonomia di gestione strumentale aumenta proporzionalmente con il crescere dell’età dei soggetti e il decrescere della richiesta di supporto.

La necessità di supporto per la gestione della strumentazione da parte di tutti gli studenti evidenzia la scarsa competenza digitale delle nuove generazioni come riportato anche dall’Istat, dove emerge che solo il 30% di ragazzi tra i 14 e i 17 anni possiedono elevate competenze digitali.

Infine, una criticità osservata ed esacerbata maggiormente nella fase di lockdown è l’impatto della DAD sulla condivisione degli spazi casalinghi. I genitori che hanno riscontrato maggiori difficoltà sono quelli con più figli e con un’attività lavorativa di tipo SW. Questi dati trovano un ancoraggio a quelli riportati dall’Istat secondo cui il 27,8% di persone coabita in condizioni di sovraffollamento, e tale dato si acuisce fino ad arrivare al 41,9% per minori.

Conclusioni

La scuola intesa come sistema educante ha come referente privilegiato la famiglia, con la quale condivide il compito di favorire la crescita armoniosa dei bambini/ragazzi. Nel corso del tempo, in particolare negli ultimi anni, l’interazione si è sempre più intensificata e, dal punto di vista istituzionale la presenza dei genitori è diventata parte integrante anche negli organi collegiali della vita scolastica (collegi di istituto, consigli di intersezione, di classe). In ogni caso, le due agenzie educative, pur nella comunione di intenti perseguono obiettivi similari ma non sempre coerenti rispetto a spazi, tempi e norme insite nel processo di insegnamento-apprendimento.

L’attivazione della DAD, come risposta alla chiusura della scuola in presenza, ha scompaginato l’intero sistema educativo vincolando come mai in passato la partecipazione attiva ed efficace degli studenti alle risorse familiari.

La gestione della DAD ha richiesto alle famiglie la mobilitazione non solo di risorse materiali come le tecnologie o gli spazi, ma anche quelle immateriali come le competenze tecniche, la disponibilità al supporto, e la flessibilità nella condivisione di nuove modalità di interazione.

Se la scuola ha tra i suoi compiti principali quello di garantire in “modo equo” il diritto allo studio rimuovendo tutti gli ostacoli culturali e sociali, nella gestione della DAD va ripensato e ricalibrato il ruolo delle famiglie garantendo loro non solo supporti economici, ma ipotizzando anche il rafforzamento delle azioni formative a loro rivolte.

A fronte delle tante difficoltà emerse è auspicabile che la relazione tra scuola/famiglia venga ancora più rafforzata, adottando uno sguardo “ecologico” e interrogandosi sulle caratteristiche dei singoli contesti per poter costruire, anche a distanza, un progetto edificante per ogni attore del processo educativo.

E, se molti genitori hanno definito la DAD durante il lockdown «impegnativa, pesante, difficilmente compatibile con lo smart working, perché eccessivamente erogativa ma anche stimolante, divertente e interessante», ci sono anche quelli che hanno intravisto in essa «una opportunità che non può essere sprecata per far evolvere […] un vero salto per le nuove generazioni e la competitività del Paese nel mondo!».

La didattica a distanza durante l’emergenza: “voci dal campo”

Di Stefania Capogna, Maria Chiara De Angelis, Flaminia Musella, Licia Cianfriglia

La ricerca illustrata in questo breve articolo rappresenta il work in progress di un’indagine promossa da un nucleo composito di soggetti fortemente co-interessati ad agire a supporto di un bene – la scuola – ritenuto essenziale e fondante per la comunità nel corso del drammatico momento di lockdown determinato dalla pandemia globale.

È ancora caldo il ricordo della chiusura totale di tutte le attività e i servizi educativi e delle enormi difficoltà che questo settore ha dovuto affrontare per traghettare un’emergenza che ha avuto significative ripercussioni interne alle organizzazioni scolastiche, ma anche sulle famiglie e sulla vita degli studenti, oltre che sulla gestione del lavoro e della società tutta.

Non si può ignorare, infatti, che questa emergenza si è venuta a innestare su un diffuso, e ampiamente documentato, ritardo dei sistemi educativi sul versante delle tecnologie e sulla loro difficoltà, a parte eccezioni virtuose, nello svolgere un ruolo di socializzazione ai nuovi ambienti tecno-sociali. Un ritardo segnato dal perdurare di problemi strutturali quali, ad esempio: il progressivo decremento di risorse assegnate al sistema educativo; la carenza di dotazioni informatiche hardware e software che affligge le scuole; i ben noti problemi di accesso alla rete collegati alla variabile territoriale; l’elevata età media di docenti e dirigenti che alimenta la fascia dei cosiddetti “immigrati digitali”; una competenza digitale mediamente poco sviluppata a livello nazionale ma anche nell’ambito educativo tra i docenti e dirigenti scolastici e che si traduce in una diffusa carenza di e-leadership, ovvero della capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione e di introdurre innovazione digitale nello specifico settore in cui si opera. A tutto ciò, si aggiunge il dramma della povertà educativa, determinata dalla inadeguata redistribuzione della ricchezza, su cui si innesta un profondo svantaggio culturale che si concretizza con larghe sacche di disuguaglianza. Quest’ultima, lungi dall’essere soltanto economica, si traduce ben presto in capitale culturale e simbolico, segnando il destino di molti giovani.

Tutti motivi per cui la deprivazione educativa e culturale di bambini e adolescenti, determinata dalla chiusura delle scuole e degli spazi educativi, con il conseguente confinamento in casa, ha fatto alzare un coro di preoccupazioni circa le conseguenze di una mancanza prolungata di adeguati stimoli educativi e i relativi effetti di lungo periodo sull’apprendimento e sulla dispersione scolastica. Come ben evidenzia un recente rapporto di Save the Children, si tratta di una privazione che viene ad avere un effetto moltiplicatore in famiglie in condizione di svantaggio socioeconomico che, essendo focalizzate a garantire la disponibilità dei beni materiali essenziali, non sono in grado di offrire stimoli educativi alternativi.

Sulla base di queste premesse, l’indagine si è concentrata sulle seguenti domande di ricerca:

  • quali sono state le principali criticità e le strategie di intervento adottate nel corso dell’emergenza dal sistema scuola?
  • quali sono state le maggiori problematiche rappresentate dalle famiglie in questo periodo di “vuoto” in cui la scuola è stata spogliata di parte delle sue prioritarie funzioni operate nella società contemporanea?

Tra tali funzioni si possono ricordare, infatti:

  • la “funzione di servizio” offerta mediante prestazioni a individui, gruppi, famiglie e territori, che è stata radicalmente e repentinamente ridotta mediante la chiusura obbligata e prolungata di tutte le attività. Una chiusura contemperata, come si avrà modo di osservare nei prossimi paragrafi, dall’enorme sforzo organizzativo e professionale portato avanti da dirigenti scolastici e docenti nel tentativo di dare continuità alla didattica;
  • la “funzione comunitaria” espressa dalla partecipazione a un ambiente sia fisico sia simbolico, pronto ad accogliere i singoli e i gruppi (studenti, docenti, genitori), promuovendo la crescita individuale e collettiva e la costruzione di un capitale sociale, relazionale e fiduciario che è alla base del superamento di ogni forma di povertà. Una funzione questa largamente compromessa dalla sospensione di tutte le attività di socializzazione formali e informali che maturano dentro, fuori e attorno alla vita scolastica;
  • la “funzione culturale” segnata dall’improvvisa perdita di senso di quel patrimonio che si esprime in un comune sapere e sentire, spesso tacito, implicito, non codificato, che alimenta la quotidianità di qualsiasi organizzazione e comunità. Un sapere incarnato nei processi organizzativi, professionali, procedurali e relazionali connessi alla ritualità del contesto, nella fattispecie la scuola. La chiusura delle scuole ha improvvisamente lasciato tutti i soggetti (dirigenti, docenti, studenti e famiglie) che abitualmente vivevano il setting della scuola, privati di ogni quadro di riferimento utile a orientare le proprie azioni, segnando la necessità di ricostruire un sistema di regole condiviso per reinterpretare il ruolo assunto (dirigente-docenti; docente-studente; docente-famiglie; scuola-famiglie; studente-studente; docente-colleghi) nella dimensione a-spaziale e a-temporale della rete. Una dimensione dove il “palcoscenico” e l’“armamentario scenico” a supporto della relazione viene alterato irrimediabilmente, lasciando il soggetto solo nella ricerca e nella ricostruzione di un nuovo senso da attribuire al fluire degli eventi.

Nel tentativo di offrire un estratto di alcuni dei dati più significativi dell’indagine, l’articolazione di questa riflessione prende le mosse da una breve nota metodologica volta a illustrare l’impianto che sottende alla ricerca; si illustrano poi le difficoltà incontrate dalle scuole e le relative strategie adottate per far fronte all’emergenza; si riportano alcune delle maggiori problematiche rappresentate dalle famiglie. Alcune considerazioni di sintesi sulla scuola dopo l’emergenza chiudono il lavoro.

Metodologia

Ponendosi in una logica di scoperta, finalizzata a capire le trasformazioni in atto e le tensioni contrapposte che animano le diverse componenti scolastiche in questo stato di emergenza, ci si è messi in una posizione di ascolto per comprendere e imparare dai protagonisti del processo.

La ricerca si muove nell’alveo della sociologia applicata rivolta ai problemi sociali, con un intento descrittivo-interpretativo volto a informare il dibattito sulla scuola post-emergenza e, di conseguenza, le politiche educative. Il lavoro si innesta sulla convinzione della centralità e della necessità di costruire e promuovere una diffusa cultura del dato, soprattutto in un ambito, come quello dell’istruzione, dove è ancora molto difficile riuscire a conoscere, e poi ad analizzare, gli esiti degli interventi di volta in volta attuati.

La ricerca integra metodologia quantitativa e qualitativa mediante l’utilizzo di un questionario strutturato in cinque sezioni. Per garantire una prospettiva multi-stakeholder e multidimensionale, l’indagine è stata realizzata in maniera congiunta da soggetti che riversano sguardi e aspettative diversi sul sistema educativo. Per le medesime ragioni il questionario, pur focalizzando le stesse dimensioni di analisi (aspetti di contesto, aspetti organizzativi, aspetti metodologici; soddisfazione personale, difficoltà rilevate) è stato rivolto ai quattro profili principali interessati dall’emergenza della didattica a distanza (d’ora in poi DAD): dirigenti scolastici, studenti, docenti e genitori.

L’obiettivo è, dunque, quello di osservare come è avvenuto lo spostamento forzato verso la DAD nel contesto emergenziale, con l’intento di cogliere le nuove traiettorie di sviluppo e di rischio maturate in seno a questa esperienza. Non si può dimenticare, infatti, che questa improvvisa e imprevista sterzata è avvenuta nel quadro di un diffuso ritardo nell’“incorporazione” delle tecnologie digitali nell’insegnamento e nelle pratiche professionali.

Tutti i questionari così profilati sono strutturati in cinque sezioni. La prima sezione mira a delineare, innanzitutto, il profilo del rispondente e i suoi dati ascrittivi e professionali. La seconda sezione indaga gli aspetti organizzativi, metodologici e progettuali attivati per rispondere alla sfida della DAD nel periodo dell’emergenza. La terza sezione approfondisce il tema del divario digitale (digital divide) che sin dall’inizio si è presentato in tutta la sua evidenza, mostrando il volto di una profonda e rinnovata ingiustizia sociale, segnata dalla differenza tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informazione (computer, internet, dispositivi mobili) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale, per comprendere limiti e vincoli con cui la scuola si è dovuta confrontare, per adeguare la sua attività didattica. La quarta sezione esamina la soddisfazione complessiva così come vissuta dai diversi soggetti coinvolti nel processo. E, infine, l’ultima sezione si propone di rilevare opportunità, criticità e aree di miglioramento attraverso la raccolta di risposte aperte. La prospettiva di sfondo che ha guidato l’indagine, in particolare per quanto trattato in questa breve sintesi, afferisce al bagaglio della sociologia delle organizzazioni; dell’educazione e dei processi culturali con particolare riferimento al tema delle disuguaglianze e del divario culturale.

Le analisi condotte, principalmente statistiche descrittive, sono svolte con l’obiettivo di fotografare, in un particolare momento di difficoltà, quegli attori della comunità scolastica che hanno voluto dar voce al loro vissuto, anche al fine di imparare dall’esperienza e favorire processi di apprendimento organizzativo anche alla luce della necessità di ricostruire un nuovo patto educativo tra i diversi attori coinvolti.

La scuola al tempo della DAD

I dirigenti scolastici nella gestione dell’emergenza

I dirigenti che hanno risposto in modo completo ai quesiti della rilevazione proposta sono stati 331 e si tratta nel 74% di donne, percentuale sensibilmente maggiore di quella – pur maggioritaria – delle donne all’intero dell’universo. La stessa percentuale (74%) dei dirigenti rispondenti appartiene alle fasce di età superiori ai 50 anni, e di questi un 20% ne dichiara più di 60, in linea con l’età media elevata dei dirigenti della scuola italiana. L’insieme è distribuito su tutte le regioni, con una prevalenza numerica di dirigenti di Lombardia e Lazio, che del resto sono le regioni con maggior numero di scuole. Come era prevedibile, la quasi totalità dei rispondenti dirigono scuole statali, ma si registra anche la presenza di otto dirigenti di scuole paritarie.

La reazione organizzativa delle scuole che hanno partecipato all’indagine, al verificarsi del lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19, è stata nella larga maggioranza dei casi assolutamente tempestiva: l’82% dei dirigenti intervistati dichiara che la scuola ha attivato la didattica a distanza entro una settimana e di queste la metà lo hanno fatto in pochi giorni, ma già dopo due settimane la percentuale delle scuole che avevano riallacciato il dialogo educativo tramite strumenti digitali era salita al 98%. Solo nell’8% dei casi la DAD non ha coinvolto tutte le discipline; tutti i docenti hanno contribuito a mantenere attiva la didattica e il contatto con gli studenti. Un dato, questo, confermato anche dalla lettura trasversale delle risposte fornite da docenti e genitori e dal confronto con altre ricerche che si sono confrontate con lo stesso tema.

Naturalmente non sono mancate le difficoltà e le resistenze di un corpo insegnante non sempre pronto a un’interazione con gli studenti veicolata all’interno di ambienti di apprendimento digitali. È evidente che questa capacità di reazione del sistema, questa resilienza, è stata resa possibile dal fatto che da molti anni, seppure tra molte difficoltà, segnate da forti momenti di discontinuità, si sono registrati interventi e progetti volti a favorire l’integrazione del digitale nella scuola. Il Piano nazionale scuola digitale, ultimo in ordine di tempo, ha rappresentato per il nostro paese forse il più importante sforzo e progetto di sviluppo su questo tema. Non è un caso quindi se il 62% dei dirigenti rispondenti dichiara che la scuola aveva già fatto esperienza di integrazione di tecnologie per l’informazione e la comunicazione (TIC) nella didattica. Tuttavia, è ben noto che tali esperienze non siano capillari nel nostro sistema scolastico e che, anche laddove presenti, riguardano nella maggior parte dei casi una classe o poco più, e un numero ridotto di docenti. Questa forte differenziazione, legata al volontarismo e alla sensibilità dei singoli (dirigenti e/o docenti) o alle opportunità legate a progetti che spesso vanno avanti a singhiozzo, introduce nella scuola forti elementi di disuguaglianza in termini di opportunità e qualità della didattica, andando ad alimentare il divario su cui si innesta la spirale dell’ingiustizia sociale.

L’attivazione della didattica da remoto per tutte le classi della scuola ha richiesto la mobilitazione congiunta di molte energie. A tal proposito, è stato chiesto ai dirigenti se, ed eventualmente con quale frequenza, si siano avvalsi di collaborazioni di colleghi, tecnici, consulenti, rappresentanti di classe/istituto, studenti per la realizzazione delle diverse attività connesse alla DAD. Dalle risposte emerge un agire largamente condiviso, sia con riguardo alla riprogettazione complessiva dell’organizzazione didattica sia per le scelte di strumenti, strategie e tempi. La percentuale di coloro che dichiarano di non aver fatto ricorso a collaborazione è significativa (33%) solo nel caso della riorganizzazione delle attività esterne svolte dagli studenti (visite culturali, gite, attività di orientamento, stage ecc.). Un’attività che sappiamo essere stata completamente penalizzata dalle politiche di restrizione adottate. L’86% degli intervistati riferisce di aver interagito con lo staff per oltre tre ore settimanali; l’interazione col collegio dei docenti vede una distribuzione omogenea nelle diverse fasce di risposta (meno di un’ora, un’ora, due ore, tre o più ore). In larghissima maggioranza (84%) i dirigenti hanno favorito la condivisione con il collegio docenti di standard o linee guida per la preparazione dei materiali didattici (dispense, presentazioni, video, rubriche di valutazione ecc.) per favorire l’apprendimento a distanza.

La sospensione della didattica in presenza non ha bloccato le attività di orientamento, che sono state realizzate online facendo ricorso a videoconferenza nel 50% dei casi, tramite piattaforme (47%), gruppi di comunicazione/chat (32%) o materiali video o slide appositamente predisposti (18%). Nel 30% delle scuole, tuttavia, non sono state organizzate iniziative di orientamento a distanza, che in qualche caso erano però state svolte prima del lockdown. In generale, ogni scuola ha attivato più modalità operative per la didattica a distanza: si è fatto largo uso della videoconferenza (91%), di scambio di materiali tramite piattaforma (93%), dell’impiego del registro elettronico (85%) per la comunicazione e il supporto alla didattica, dell’invio di video-lezioni registrate (82%) e di compiti tramite e-mail (66%). Significativa la percentuale di creazione di gruppi per la realizzazione di project work (42%) e l’uso di app interattive digitali per la didattica (42%), che testimoniano il tentativo di ricorrere a modelli pedagogici coinvolgenti e collaborativi, con l’intento di superare la trasmissività, tipica della lezione tradizionale.

La risposta della scuola alla crisi determinata dalla pandemia è stata rapida e altamente responsabile. L’indagine ha voluto stimolare la riflessione dei dirigenti sull’esperienza e sulle ricadute possibili. Solo pochi ritengono che la didattica a distanza potrebbe prendere il posto di quella in presenza, tuttavia circa la metà degli intervistati (49%) ritiene che i docenti possiedano competenze adeguate ad attuare la DAD, tali da consentire loro un tempestivo adattamento della programmazione (86%). Sono in disaccordo con questa posizione solo il 6% dei dirigenti, mentre un altro 30% ne è poco convinto. Il periodo denso di difficoltà ha messo in luce il buon coordinamento tra dirigenza, staff e resto dei docenti per l’86% dei dirigenti, mostrando la capacità della scuola di agire come organizzazione che apprende e che sa dotarsi di meccanismi di coordinamento alternativi. Va sottolineato tuttavia che il 45% dei rispondenti evidenzia che i ritmi delle lezioni hanno aumentato lo stress dei docenti, ma anche che il 76% degli intervistati ha potuto apprezzare, in questa sia pure problematica circostanza, l’uso delle tecnologie per la didattica, a testimonianza del fatto che, seppure la didattica all’interno di ambienti di apprendimento online è possibile, non è sufficiente pensare a una trasposizione delle attività ma è necessario una completa riorganizzazione dei processi, dei modelli e dei meccanismi di coordinamento e di comunicazione. 

 

La sfida del digital divide

Non tutte le scuole erano pronte a spostare rapidamente la didattica in ambiente digitale e, del resto, anche la connettività è disponibile in modo non sempre adeguato in tutte le aree del Paese. Numerose, pertanto, e prevedibili, le difficoltà riscontrate. Il 41% dei rispondenti riferisce di difficoltà frequenti rappresentate dai docenti a causa della connettività instabile; più basse le percentuali dichiarate di problemi frequenti di altra natura: per il 16% dovuti al computer o al tablet, per il 24% alla stampante (il cui uso in un contesto di piena digitalizzazione dovrebbe essere residuale, ma tale non si è rivelato purtroppo), per il 12% dovuti alla webcam. Le scuole, anche grazie ai finanziamenti dedicati, distribuiti durante il lockdown, hanno sopperito alla mancanza degli strumenti digitali da parte di docenti precari e alunni (i fondi elargiti annualmente dal 2015 in poi ai docenti di ruolo, mediante la Carta del docente prevista dalla l. 107/2015, hanno consentito a tutti i docenti di ruolo di dotarsi di strumenti digitali per uso personale e professionale). Il 45% dei dirigenti ha distribuito ai docenti computer, il 17% tablet, significativa la percentuale del 36% di coloro che dichiarano di non aver distribuito alcuno strumento; informazione questa che lascia immaginare una quota significativa, seppure non maggioritaria, di personale docente che aveva già provveduto a dotarsi di strumenti digitali da utilizzare anche per lavoro.

A proposito della funzione educativa e di servizio della scuola, deve far pensare il fatto che tra i maggiori problemi segnalati dai collaboratori del dirigente, e dagli altri docenti, spicca l’impossibilità di raggiungere tutti gli studenti (74%). Una così alta percentuale mostra, nonostante tutti gli sforzi profusi, il rischio di fallire in quella che è una delle mission prioritarie della scuola, sancita anche dall’art. 34 della nostra Costituzione «la scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».

Purtroppo le criticità connesse alla didattica di emergenza hanno soltanto reso più evidenti i problemi irrisolti di sempre, lasciando indietro proprio quei ragazzi che già, per situazione socioeconomica di partenza, sono in condizioni di svantaggio.

Sono gli stessi dirigenti, infatti, a segnalare che tra i problemi maggiormente rappresentati dalle famiglie (86%) vi è quello del possesso di un numero insufficiente di dispositivi per far fronte alle esigenze di lavoro e di studio di tutti i componenti; a ciò si aggiungono nell’81% dei casi le difficoltà di connessione che hanno ostacolato la didattica da remoto. Ben il 55% dei dirigenti dichiara il mancato possesso di computer da parte di alcune famiglie; mentre il 47% ha riscontrato la difficoltà dei genitori nel conciliare il lavoro agile (smart working) con la didattica a distanza come sintetizzato nella Figura 1.

Per quanto riguarda il vissuto dei docenti, così come rilevato dalla dirigenza, tra i problemi maggiormente rappresentati si evidenzia che nel 53% dei casi si sono riscontrate difficoltà di interazione con gli studenti e difficoltà a interloquire con le famiglie (33%); mentre sul piano personale si segnala la difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia (38%) e la sensazione di isolamento e solitudine (38%). 

 

Il vissuto dei docenti

Per quanto concerne i docenti, l’analisi effettuata esclusivamente sui questionari completati in tutte le sezioni, ci restituisce un totale di 2.015 docenti, di cui l’85,6% donne e il restante 14,4% uomini, confermando la distribuzione di genere a livello nazionale con solo tre punti percentuale di differenza rispetto ai dati MIUR, secondo cui il corpo docenti è composto dall’82,7% di donne e dal restante 17% di uomini.

Anche la distribuzione per età si rivela in linea con tutte le rilevazioni nazionali, confermando un corpo docente che possiamo definire almeno “maturo” (Figura 2).

Infatti, il 31,2% dei docenti rispondenti ha un’età compresa tra i 41 e 50 anni, il 53,9% oltre i 50 anni. La distribuzione per età conferma il dato OCSE secondo cui oltre la metà dei docenti delle scuole primarie e secondarie d’Italia ha più di 50 anni di età, contro una media europea intorno al 36%, comprovando il corpo docente italiano come il più anziano tra i paesi dell’OCSE.

Il 25% dei rispondenti proviene dal Centro Italia, il 38% dal Nord Italia e il restante 37% dal Sud e dalle Isole, divergendo di pochi punti percentuale rispetto alla distribuzione territoriale dichiarata dal MIUR, che vede il Centro con il 20,4%, il Nord Italia con il 40,9% e il Sud con il 38,8%.

 

Aspetti organizzativi della didattica online

La risposta delle scuole alla situazione emergenziale è stata immediata: solo il 10,3% dei docenti dichiara che il proprio istituto si è attivato con la DAD dopo più di due settimane, in coerenza con quanto emerge leggendo le riposte di dirigenti, studenti e genitori. Il 71% degli insegnanti afferma che la propria scuola ha risposto in tempi brevissimi che vanno da pochi giorni a una settimana. La realizzazione della DAD, come afferma l’85,5% dei docenti raggiunti, ha riguardato tutte le materie.

Confortante anche il fatto che le modalità con cui gli istituti hanno traghettato il corpo docente verso la didattica online sono risultati da “abbastanza” a “del tutto” chiari per l’85,7% dei docenti. Un dato, questo, che conferma la presenza di un sistema resiliente, disponibile al mutamento se ineluttabile, e abile in poco tempo di ristrutturarsi per garantire la continuità educativa (Figura 3).

Un sistema che, però, da solo probabilmente avrebbe avuto difficoltà a ingranare se non fosse stato per la collaborazione delle famiglie che, a detta del 50% dei casi, hanno “sempre” o “spesso” dato il loro supporto agli insegnanti nell’attività di comunicazione di compiti, esercitazioni e orari di lezione, nell’avvio delle videoconferenze, nella gestione di gruppi e chat di comunicazione, nell’utilizzo di ambienti di apprendimento a distanza. Dato, questo, ampiamente comprensibile se si considera che complessivamente quasi il 60% dei docenti rispondenti afferisce al segmento del primo ciclo (circolo didattico: 5%; istituto comprensivo: 45%; scuola secondaria di primo grado: 8%). Un segmento scolastico in cui l’alleanza scuola-famiglia è essenziale per il successo educativo.

Il supporto delle famiglie ai docenti nella realizzazione di materiale video e slide da condividere agli studenti è stato invece meno rilevante (9,4% “sempre” e 13% “spesso”) (Figura 4).

Più del 70% dei docenti intervistati ha dedicato oltre tre ore a settimana alla realizzazione di lezioni in modalità sincrona e alla preparazione di materiali didattici per lo studio individuale a distanza in modalità asincrona (dispense, slide, video, rubriche di valutazione ecc.). Il 43% e il 39% ha dedicato più di tre ore a settimana, rispettivamente, nel confronto con i propri colleghi e nella comunicazione con studenti e genitori.

Volgendo lo sguardo alla didattica, l’analisi dei dati mostra che i docenti rispondenti hanno organizzato la DAD attraverso lo svolgimento di lezioni in videoconferenza (81%), trasmettendo materiali didattici caricati su piattaforme digitali (82,3%) e utilizzando il registro di classe in tutte le sue funzioni di comunicazione e supporto alla didattica (66,7%). Osservando i dati si può ragionevolmente affermare che quella che si è realizzata è stata una didattica da situazione emergenziale, dove la lezione frontale, seppur mediata dallo schermo, ha prevalso su una didattica costruttivista e laboratoriale con percentuali che non superano il 40% dei docenti rispondenti. Ci si chiede se tale didattica di tipo trasmissivo sia prodotto dell’emergenza o sia la prassi nella normalità dell’insegnamento in presenza riportata online, per cui la didattica è distanza, nei fatti, non sia dunque stata solo una didattica remota più che una didattica digitale.

Sebbene sia evidente che la tendenza generalizzata è quella di riproporre all’interno dell’ambiente di apprendimento digitale una modalità tradizionale e frontale di fare lezione, senza valorizzare tutte le potenzialità offerte dal digitale sul piano metodologico, solo il 15% dei docenti dichiara che la DAD ha modificato “poco” o “per nulla” il loro modo di fare lezione; contro il 42% che afferma che la didattica a distanza ha cambiato tra “molto” e “del tutto” il proprio modo di approcciarsi alla didattica e alla lezione.

Non è un caso, quindi, se alla domanda auto-valutativa volta a indagare quali aree di competenza digitali il docente volesse potenziare, dopo essere usciti dall’emergenza, si nota, rispetto al modello DigCompEdu, che riconosce cinque dimensioni di competenza specialistica per l’insegnamento, che quasi il 60% vorrebbe migliorare le skill legate alle metodologie di insegnamento-apprendimento; mentre oltre il 50% ritiene essenziale supportare gli studenti per garantire loro accesso, inclusione, personalizzazione, coinvolgimento attivo ecc.

In ordine alle motivazioni della ricerca, e cioè quello di promuovere una cultura del dato, fondato sulla raccolta e l’analisi delle esperienze, al fine di accompagnare processi di consapevolezza ed empowerment di un asset strategico per lo sviluppo del Paese, si è chiesto ai docenti di indicare le maggiori criticità rilevate nel corso dell’emergenza. Tra le diverse criticità segnalate, di particolare preoccupazione sono quelle relative a:

  • difficoltà ad alimentare attraverso la DAD il senso di appartenenza, la partecipazione, l’empatia e una comunicazione efficace (51,8%);
  • difficoltà a garantire assistenza e supporto educativo a studenti con disabilità (49,9%);
  • aumento della soglia di assenze e mancata partecipazione da parte degli studenti (48,1%);
  • digital divide e problematiche di natura informatica segnalate dagli studenti (43,9);
  • aumento delle difficoltà di comprensione di quanto spiegato/assegnato (35,0%);
  • aumento dei casi di disagio manifestati da studenti (34,8).

Tutti elementi, questi, che fanno certamente riflettere sulla variabilità e la pervasività della disuguaglianza che agisce spesso in maniera nascosta, alimentando le differenze interindividuali, inter-gruppo, culturali e sociali, su cui si innestano i percorsi di svantaggio che pesano poi tutta la vita.

 

I genitori

Spostando ora l’attenzione al vissuto delle famiglie iniziamo con il dire che hanno partecipato alla rilevazione 2.116 genitori a livello nazionale. Tuttavia le analisi statistiche a cui si fa riferimento in tutto l’articolo sono state effettuate solo sui casi completi, che per i genitori corrispondono a 1.438, il 90% dei quali donne, concentrate per quasi il 60% nella fascia di età tra 41 e 50 anni.

Tutti gli studi sulle disuguaglianze educative mostrano la forte relazione tra titolo di studio dei genitori (in particolare della madre) e successo scolastico dei figli, motivo per cui sembra interessante sottolineare che il 42,42% dei rispondenti dichiara di avere acquisito un diploma superiore, ma non sembra irrilevante nemmeno quel quasi 14% di genitori che complessivamente si ferma alla licenza media inferiore (Figura 5).

Come sappiamo, il tema della conciliazione tempo di lavoro-famiglia durante il lockdown ha rappresentato un nodo nevralgico della riorganizzazione della quotidianità, in particolare per quanti dovevano fare i conti con figli in età scolare. Non è un caso, quindi, che quasi il 70% dei rispondenti lavorasse nel periodo in cui ha partecipato alla rilevazione e che tutti hanno mostrato un sostanziale accordo con l’affermazione che l’apprendimento a distanza aumenta il carico di lavoro per le famiglie. Oltre il 21% dei rispondenti, che sappiamo essere in larga prevalenza donne low skill, dichiara di aver perso il lavoro a causa del lockdown. Ad aggravare questa lettura, inoltre, il fatto che quasi il 30% dei rispondenti dichiara che anche l’altro genitore ha perso il lavoro a causa del lockdown e questo non può che aver acuito le tensioni familiari connesse alle preoccupazioni economiche, allargando drammaticamente la fascia di povertà di moltissimi minori. Infatti, come denuncia Save the Children «la povertà materiale ed educativa rafforzano a vicenda il perpetuarsi dello svantaggio di generazione in generazione […] e gli effetti della povertà sui bambini possono durare tutta la vita».

In linea generale, le opinioni dei genitori sull’apprendimento a distanza durante le chiusure scolastiche forzate non sembrano essere del tutto positive. Infatti, mentre circa la metà dei genitori si è dichiarata complessivamente soddisfatta dell’apprendimento a distanza, il 41% di loro non è d’accordo con l’idea che dopo l’emergenza la scuola debba incoraggiare l’uso di piattaforme di apprendimento a distanza oltre alle lezioni frontali. L’idea complessiva, ben espressa dalla seguente testimonianza, mostra con chiarezza che i diretti destinatari della DAD, gli studenti nelle diverse tappe del loro percorso di formazione, sono poco o per niente soddisfatti dell’apprendimento a distanza:

«A tre mesi dall’inizio della DAD facciamo il bilancio... Devo combattere ogni santo giorno, con tutto il mio impegno di genitore, contro la svogliatezza e la demotivazione. Quando, tre mesi fa, le scuole erano ancora aperte, i miei figli erano bambini che amavano scrivere, studiare, imparare, vivere cinque ore al giorno con i loro compagni e le loro insegnanti. Poi l’emergenza da Covid-19 ci ha costretti in casa e siamo passati a un onesto “Mi sbrigo a fare i compiti, così posso andare a giocare” a “Uff, mamma. Lo so che devo farli, ma mi annoio tantissimo”. Per molti dei nostri figli, a questo punto di un anno che, se non definisco perso, è solo per un residuo di folle ottimismo, la scuola è diventata qualcosa di vago e indefinito, privo di attrattiva. Un dovere noioso e insensato, anche se noi genitori assicuriamo loro che no, la scuola è importante, è preziosa, che settembre è dietro l’angolo e bisogna farsi trovare pronti. Ma pronti a cosa, di preciso? Che la Didattica a Distanza non sia scuola, né una soluzione vincente insegnanti e famiglie lo hanno capito da un pezzo. La famigerata DAD non è scuola perché la scuola è vita» (Profilo Genitore, compilazione del 29.05.2020 - 10:18 AM).

Le opinioni dei genitori sul funzionamento della scuola e l’apprendimento a distanza si sono rivelate ben più critiche nella scuola primaria, dove è stato richiesto un forte impegno dei genitori per una continua attività di intermediazione, assistenza, supervisione e spiegazione.

Seppure non siano mancate situazioni in cui «Il genitore è diventato maestro» (Profilo Genitore, compilazione del 11.06.2020 - 07:33 PM). Questo è stato particolarmente vero nelle scuole primarie, dove l’impegno richiesto ai genitori è stato inevitabilmente maggiore, quasi normalizzando l’esperienza dell’homeschooling, meglio nota come “istruzione parentale”. Si tratta di un’esperienza poco diffusa in Italia, ma in crescita in reazione a un sistema educativo che viene spesso tacciato per essere troppo rigido, standardizzato e lontano dai reali bisogni espressivi e di apprendimento dei ragazzi. È evidente che anche il genitore più motivato e disponibile poco può fare di fronte alla mancanza delle dotazioni minime necessarie. Una situazione, questa, che ha interessato il quasi 24% degli studenti che non avevano un computer o un tablet, ma anche quelle famiglie dove i dispositivi digitali non erano sufficienti a coprire le esigenze della didattica a distanza per tutti i figli (oltre il 20%). 

Figura 1 Problemi rilevati
Figura 2 Età dei docenti
Figura 3 Tempi di attivazione DAD, risposte alla domanda “Quanto tempo è trascorso, mediamente, prima che la sua scuola/università si attivasse con la didattica a distanza?”
Figura 4 Collaborazione famiglie nella didattica.
Figura 5 Titolo di studio dei genitori.

Considerazioni di sintesi

Dai primi esiti della ricerca su esposti, sembra di poter dire che sul versante scuola le principali criticità debbano essere ricondotte in primo luogo a un’infrastruttura spesso inadeguata a rispondere all’improvviso cambiamento intervenuto, non soltanto perché non tutte le scuole erano attrezzate in termini di dotazioni tecnologiche e connettività, ma anche perché, comprensibilmente, l’ambiente di riferimento e l’intero sistema di governance che coopera al successo e al mantenimento del patto educativo non era pronto a rispondere a un’emergenza di tale portata.

Sul piano delle strategie, in linea generale, si può dire che al livello intra-organizzativo le scuole non hanno tardato ad attivare processi e relazioni laterali valorizzando, ove possibile, logiche e comunicazioni bottom up più rapide nel cogliere e rispondere all’imprevisto.

Sul piano del coordinamento, è evidente che innanzi alla ricerca di soluzioni per la gestione di un dilemma complesso e imprevisto si sono attivate strategie cooperative volte a superare i limiti dei singoli mediante processi di mutuo sostegno sia formale che informale. Infatti, di fronte alla forte crisi determinata dalla pandemia i dirigenti hanno dovuto far ricorso a tutte le loro competenze organizzative e gestionali, ma anche a grandi capacità relazionali necessarie per stimolare e sostenere l’azione del personale docente e ATA e per mantenere una comunicazione proficua con le famiglie, pur nell’elevata incertezza complessiva. Emerge, in linea generale, un quadro di grande assunzione di responsabilità e impegno da parte di tutte le componenti della scuola durante un anno scolastico a dir poco difficile, ma anche la soddisfazione nell’esser riusciti, nonostante tutto, a tenere coesa la comunità scolastica con tutti i limiti imposti dalla distanza. Le evidenze rilevate confermano il fatto che la scuola esprime prima di tutto una “funzione comunitaria”, che è alla base della costruzione di quei legami sociali, di prossimità e di solidarietà all’interno dei quali la quotidianità di bambini e famiglie si dispiega, divenendo occasione di crescita e un mezzo per ridurre le distanze e le differenze sociali, culturali ed economiche. Per questa ragione, in questo periodo in cui la scuola è stata spogliata di parte delle sue prioritarie funzioni di servizio, è emerso senza riserve un divario che era ben presente già prima della pandemia. Come anche questi pochi dati mostrano, pur nel limite derivante dalla natura esplorativa della ricerca, l’esclusione sociale delle famiglie ha inciso fortemente sulle possibilità di partecipazione. Un’esclusione che non si esprime solo in termini digitali ma anche in termini sociolinguistici. Basti considerare le barriere culturali e linguistiche di quel crescente numero di famiglie che non parlano correntemente la lingua italiana e che quindi non hanno potuto supportare i figli nelle attività di studio e/o di mediazione rispetto alle assegnazioni del docente. 

Salvaguardare le biblioteche scolastiche ai tempi del Coronavirus

Di Mario Priore

Dopo il lungo periodo di sospensione delle attività didattiche in presenza a causa del Covid-19, la riapertura delle scuole per l’anno scolastico 2020-2021 ha richiesto una notevole complessità organizzativa volta a contrastare la diffusione del coronavirus. L’esigenza di ricercare nuovi spazi per garantire il distanziamento sociale degli studenti e delle studentesse ha comportato, in molte realtà, lo smantellamento delle biblioteche scolastiche o la riduzione della loro area per ricavare nuove aule. In alcuni casi la biblioteca è diventata “aula Covid”, detta anche “aula di isolamento”, il che fa pensare metaforicamente – ma non tanto – all’associazione tra biblioteca e malattia, laddove la biblioteca viene a essere identificata come ambiente da cui stare alla larga. Con buona pace di coloro che hanno impegnato energie, risorse, passione e competenze per creare biblioteche scolastiche dove promuovere la lettura e la scrittura, la competenza informativa e la documentazione, integrando risorse fisiche e digitali, come indicato dall’Avviso pubblico per la realizzazione di biblioteche innovative di cui all’azione #24 del Piano nazionale scuola digitale (PNSD).

In realtà il rischio a cui andavano incontro le biblioteche è stato avvertito con largo anticipo dagli addetti al settore (docenti bibliotecari, editori, associazioni culturali ecc.), i cui timori hanno trovato espressione e sintesi nell’Appello per la salvaguardia della biblioteca scolastica promosso dal Forum del libro e rivolto alla Ministra dell’istruzione Lucia Azzolina. Nel documento si rimarca l’importante ruolo della biblioteca nella scuola come «spazio terzo […] per l’approfondimento degli interessi, l’alfabetizzazione informativa, i lavori di progetto, i gruppi di lettura, l’integrazione di fonti informative tradizionali e di rete». Quindi ambiente sia fisico sia digitale da valorizzare e utilizzare in rapporto alle funzioni che lo caratterizzano e che orientano verso una didattica innovativa, piuttosto che da ricondurre ad aula scolastica tradizionale. Operazione, questa, che contraddice la stessa politica di investimenti ministeriali degli ultimi anni a favore delle biblioteche concepite come ambienti accoglienti e innovativi.

Il messaggio è stato in qualche modo recepito dal Ministero attraverso l’intervento della viceministra Ascani, la quale ha espresso il sostegno del MIUR alle biblioteche quali presidi importantissimi per le scuole, che devono pertanto valorizzarne il ruolo, pur nella necessità di individuare spazi aggiuntivi. Un invito esplicito rivolto ai dirigenti tenuti a prendere decisioni in merito, possibilmente non penalizzanti per le biblioteche, quanto piuttosto orientate alla loro salvaguardia. Insomma, un modo per dire “Noi la pensiamo così, ma poi sarete voi a decidere!”.

Le dichiarazioni d’intenti ministeriali hanno fatto seguito anche alle sollecitazioni del Coordinamento delle reti di biblioteche scolastiche (CRBS), che si è attivato per fornire strumenti operativi per le scuole con l’elaborazione di un’importante guida dal titolo La biblioteca scolastica nella ripresa delle attività didattiche AS 2020-21. Il documento richiama le specificità formative delle biblioteche, evidenziandone «il ruolo fondamentale nella ripresa scolastica per lo sviluppo di una didattica innovativa, in presenza, mista o a distanza, attraverso progetti di alfabetizzazione informativa, educazione all’uso intelligente dei mezzi informatici, educazione alla lettura». Per questo motivo – si legge ancora nel documento – è importante che la biblioteca «non venga snaturata o ignorata e […] possa confermarsi – anche nella corrente emergenza – una effettiva risorsa per ogni singola scuola» attraverso «un coordinamento forte con le attività didattiche e le loro esigenze». Il vademecum offre, pertanto, una serie di suggerimenti, attività e proposte che possono trovare concreta applicazione nelle varie realtà scolastiche. Una sorta di manuale che accompagna docenti e bibliotecari nell’utilizzo didattico-operativo della biblioteca e fa tesoro delle esperienze realizzate anche durante il periodo di chiusura delle scuole fra marzo e giugno 2020, durante il quale molte biblioteche hanno offerto un supporto decisivo all’attività didattica a distanza. È il caso della bibliomediateca dell’Istituto comprensivo di Bella, in provincia di Potenza, che, nella fase di lockdown, ha continuato a operare riprogrammando i propri servizi in risposta alle nuove esigenze dettate dall’emergenza sanitaria e dall’adozione della didattica online.

In realtà sono cambiate le modalità di erogazione di alcuni servizi (prestito, consultazione, documentazione ecc.), mentre sono rimaste invariate le funzioni di base: sostegno al curricolo della scuola, promozione della lettura e della scrittura, alfabetizzazione informativa, formazione dei docenti indirizzata all’innovazione metodologica e didattica; funzioni ora rapportate alla dimensione del digitale, che in qualche modo già era presente nel servizio di reference con attività di lettura aumentata, digitalizzazione del catalogo, comunicazione e documentazione attraverso i canali social. Subito dopo la sospensione della didattica in presenza, ad esempio, la biblioteca ha potenziato ed esteso il servizio gratuito di prestito digitale, iscrivendo i genitori degli alunni frequentanti l’istituto alla piattaforma MLOL Scuola (Media library online), appena attivata nella rete di scuole per la promozione della lettura che l’I.C. di Bella coordina da oltre 15 anni. In questo modo i genitori hanno potuto accedere all’edicola digitale di quotidiani e periodici, nazionali e internazionali, fruibili da qualsiasi dispositivo. Attualmente risultano iscritti alla piattaforma 269 utenti, che hanno avuto la possibilità di fruire di un pacchetto di oltre 1.000 prestiti di e-book.

Nel contempo la biblioteca è diventata il fulcro della didattica online, mantenendo contatti continui con docenti e genitori. Per i primi ha promosso una serie di webinar formativi con lo scopo di supportare le nuove modalità di insegnamento digitale. L’offerta è stata strutturata per soddisfare esigenze strumentali nella gestione della piattaforma e-learning in uso nell’istituto, per rispondere a richieste informative sulle risorse digitali offerte dalla rete, sulle applicazioni per l’autoproduzione di contenuti, sulle metodologie più idonee da adottare e sulle modalità di documentazione delle buone pratiche da far confluire in un apposito archivio digitale. Aspetto, quest’ultimo, di importanza vitale per una biblioteca che assume l’obiettivo della documentazione come risultato di un processo didattico-metodologico capace di generare innovazione mediante un’ampia fruibilità delle esperienze, facilitata proprio grazie all’uso del digitale. Ma vanno considerati anche altri aspetti della documentazione che la biblioteca ha promosso in questa fase molto particolare dell’esperienza scolastica: i tutorial per gli alunni e i docenti, le dispense su particolari argomenti, la selezione di contenuti digitali dal web (content curation) resi disponibili su apposite bacheche in relazione alle diverse discipline, la creazione di classi virtuali dove caricare i contenuti dei webinar per una successiva fruizione, i prodotti in digitale realizzati dagli allievi (podcast, esecuzioni musicali di gruppo, presentazioni, attività di gamification legata alle discipline). La fattiva collaborazione tra il responsabile del servizio bibliotecario e il team digitale ha confermato la natura trasversale della biblioteca scolastica, laddove alcuni servizi si sono incrociati con azioni specifiche del PNSD. Si pensi all’azione #25 sulla formazione del personale, indirizzata all’adozione di pratiche didattiche attive che puntano all’innalzamento qualitativo dei processi di apprendimento/insegnamento; oppure all’azione #31 sulla creazione di archivi digitali organizzati e accessibili all’utenza; o, ancora, all’azione #23 relativa alla promozione delle risorse educative aperte (open educational resource, OER), che invita in maniera esplicita a fruire non solo di contenuti di terze parti con licenza Creative commons, ma anche ad autoprodurre risorse didattiche, superando il concetto di fruizione a vantaggio di un più qualificato processo di creazione di contenuti strutturati. In maniera più specifica, l’azione #24 definisce le biblioteche scolastiche innovative «centri di documentazione e alfabetizzazione informativa, anche aperti al territorio circostante», evidenziandone il ruolo “inclusivo” e di relazione con altre agenzie culturali. Molte di queste iniziative vanno consolidate e portate a sistema, a prescindere dalle condizioni in cui la scuola si troverà a operare. Se in condizioni di normale apertura la biblioteca scolastica offre al pubblico esterno servizi di consultazione e prestito, eventi e iniziative culturali, in condizioni di lockdown la struttura ha continuato a mantenere rapporti attivi con i genitori degli alunni e delle alunne, fornendo loro dispositivi tecnologici in comodato d’uso gratuito per fruire della didattica a distanza. Computer portatili e tablet sono stati opportunamente configurati allo scopo con l’installazione di specifiche applicazioni e idonei software per una migliore esperienza digitale. L’assistenza telefonica e in chat e la predisposizione di tutorial ha permesso di superare difficoltà tecniche e di garantire la prosecuzione della didattica.

Un ultimo cenno va rivolto alla rete per la promozione della lettura. La prima parte dell’anno scolastico ha visto gli allievi e le allieve di 13 istituti del primo e del secondo ciclo d’istruzione impegnati nella lettura di libri e negli incontri con gli autori. Venute meno le condizioni per le attività in presenza, la biblioteca ha mantenuto i rapporti con i partner della rete segnalando iniziative e risorse digitali per continuare la pratica della lettura, mentre per i docenti è stato promosso un corso di formazione online per la catalogazione delle risorse e per la creazione di un catalogo di rete ad accesso pubblico (OPAC). Nel contempo le letture esercitate dagli studenti su testi selezionati hanno trovato espressione attraverso prodotti digitali che hanno arricchito l’esperienza del leggere mediante la creazione di videorensioni, booktrailer, interviste agli autori. Siamo nella dimensione della lettura aumentata, come nello spirito del progetto europeo The living book.

Quanto riportato dimostra come la biblioteca possa diventare un presidio culturale nella scuola e sul territorio, specialmente in piccole realtà dove mancano librerie e biblioteche pubbliche. Naturalmente occorre riconoscere la sua funzione formativa, sostenere la sua mission – e non solo a parole – per consolidarne la presenza e per qualificarne i servizi.

Dove questo avviene, la biblioteca, ora anche digitale, svolge un ruolo centrale per la comunità, scolastica e non, intessendo relazioni, creando reti, sviluppando e sostenendo programmi rivolti a qualificare l’azione didattica e, in prospettiva, a formare cittadini capaci di esercitare il pensiero critico.

Bibliografia

LUIGI CATALANI, Come educare al sapere libero nella biblioteca scolastica, Milano, Editrice Bibliografica, 2020.

DONATELLA LOMBELLO SOFFIATO, La biblioteca scolastica: uno spazio educativo tra lettura e ricerca, Milano, Franco Angeli, 2009.

DONATELLA LOMBELLO SOFFIATO - MARIO PRIORE, Biblioteche scolastiche al tempo del digitale, con contributi di Anna Cristini, Luisa Marquardt, Antonella De Robbio, Milano, Editrice Bibliografica, 2018.

ANDREW PIPER, Il libro era lì: la lettura nell’era digitale, Milano, Franco Angeli, 2013.

MARIO PRIORE, La biblioteca scolastica tra opportunità e indifferenza, in Una, cento, mille biblioteche nelle scuole: atti del convegno promosso in occasione della Giornata mondiale Unesco sul libro e il diritto d’autore, Bari, 23 aprile 2013, a cura di Anna Cantatore e Luisa Marquardt, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2015, p. 121-124.

GINO RONCAGLIA, La quarta rivoluzione: sei lezioni sul futuro del libro, Roma-Bari, Laterza, 2010.

FRANCO TORCELLAN, Ambienti e strumenti delle comunità che apprendono: la documentazione on line come “luogo” del racconto, in L’onda di Civil life: una nuova didattica della cittadinanza attiva, a cura di Dino Bertocco, Venezia, Marsilio, 2010, p. 34-52.

FABIO VENUDA - ANTONELLA BISCETTI, Come realizzare biblioteche scolastiche efficaci, Milano, Editrice Bibliografica, 2020.