N.2 2015 - Le forme della lettura

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Noterelle su Ranganathan. Leggendo Bianchini

Carlo Revelli

carlorevelli@tiscali.it

Abstract

Note a cura di Carlo Revelli

                                                                                           Il passato stesso rendeva a sua volta più chiaro e sensibile il presente, e questo presente sentito, quasi fosse raddoppiato e triplicato da uno specchio,
era più ricco di contenuto e di vita, mostrava anche più diritta e visibile la strada verso il futuro.

Robert Walser, I fratelli Tanner

La collana “Biblioteconomia e scienza dell’informazione” dell’Editrice Bibliografica si arricchisce di quest’ottima opera, che considera a tutto tondo il pensiero e l’attività di Ranganathan, giunto al servizio bibliotecario in seconda battuta: un matematico divenuto bibliotecario – un caso peraltro non unico. Un bibliotecario che seppe legare strettamente l’aspetto teorico con la pratica del suo lavoro, in un tutto unico, al punto di considerare l’attività scientifica come base inseparabile della finalità di servizio. «Insegnante prima che bibliotecario» (p. 49), con una stretta «interazione tra libri, lettori e personale» (p. 50), dove l’idea di una visione di insieme chiarisce la necessità di fissarne i princìpi generali. Di qui la validità fondamentale delle cinque leggi, semplici nella loro apparenza al punto di essere considerate a volte ovvie in una potenzialità che abbraccia l’intera opera di Ranganathan, in un’epoca nella quale le biblioteche sono «passate da una prospettiva orientata alla sola conservazione a una prospettiva orientata anche al servizio» (p. 53), un tema al quale Bianchini dedica ampio spazio e che considera essenziale da sempre, e oggi ancor più. Maurizio Vivarelli critica a ragione «la nota, sterile contrapposizione che spesso, e purtroppo banalmente, oppone il cosiddetto servizio alla cosiddetta conservazione». Sono termini inscindibili, come dice Vivarelli subito dopo, riprendendo un’osservazione di Casamassima. Un’osservazione implicita in una nota di Crocetti, che parla di conservazione fisica ma soprattutto di «conservazione culturale». Una normativa rigorosa dev’essere accompagnata dalla disponibilità del bibliotecario: flessibilità e rigore sono una contrapposizione ben compatibile (ne è esempio la flessibilità nell’impiego della classificazione). E qui si conferma il riconoscimento di sempre della funzione del servizio, una funzione insita nella missione di cui cambiano le modalità e anche l’oggetto, ma che ne giustifica l’esistenza. L’interruzione di qualsiasi lavoro in favore del lettore e l’interesse per la comodità del lettore sono condizioni implicite nella prima legge (p. 57), il cui spirito ritroviamo nei secoli passati, da Naudé a Federico Borromeo, da Audiffredi a Cotton des Houssayes, o nella lettera di Leopold von Ranke sulla cura per il lettore all’Archivio statale di Vienna.

 

            Bianchini fin dall’inizio del suo lavoro pone in evidenza il conflitto solo apparente tra il lavoro per tutti e l’interesse per il singolo, in un’attività che considera gli «utenti intesi ciascuno come entità distinta» (p. 11), come nota Mauro Guerrini nella prefazione dell’opera, avvertendo giustamente che la stessa terminologia professionale è entrata a far parte del «linguaggio biblioteconomico comune» (p. 13). Un passo, aggiungo, che ricorda l’antica osservazione di Newton che «i significati delle parole devono essere definiti dal loro uso». Guerrini usa per il pensiero di Ranganathan l’aggettivo lungimirante, un ricordo di d’Alembert, che nella prefazione dell’Encyclopédie dice di Bacone «quel saggio che sa vedere lontano». Un’osservazione sostenuta ripetutamente da Bianchini fin dall’introduzione, dove afferma che certe intuizioni di Ranganathan «possono ancora rivelarsi di estrema attualità e trovare applicazione anche a distanza di decenni, quando l’avvento di tecnologie sempre più nuove e avanzate sembra rendere tutto rapidamente obsoleto» (p. 18-19). Anche qui, la conoscenza personale ricorda la specificità del singolo in una cultura complessiva. Vero che i «destinatari del servizio […] passano da un pubblico ristretto di lettori colti alla totalità della popolazione» (p. 59), una considerazione che comunque non ha mancato di trovare le sue opposizioni, ma che conferma in sostanza «la fondazione della biblioteca pubblica» (p. 60), cioè per tutti. Il conflitto è comunque ben conciliabile e ben ripreso dall’autore nel primo capitolo, dove l’aspetto biografico è strettamente legato alla cultura e all’attività di Ranganathan come insegnante di matematica. La personalizzazione del servizio in biblioteca infatti trova un precedente analogo nell’insegnamento, dove l’aspetto educativo cede alla formazione intesa al saper ricercare. Passato poi di malanimo al servizio bibliotecario a trentadue anni, Ranganathan superò la crisi in Inghilterra, dove l’esperienza bibliotecaria acquisita risultò determinante per la scelta professionale al ritorno in patria, nel 1925. E qui la sua attività, pur se non priva di difficoltà personali, conobbe un ampio riconoscimento internazionale. Bianchini ricorda anche la sua presenza alla Conference on Cataloguing Principles di Parigi (1961), dove era presente una delegazione italiana.

 

            La dilatazione dei problemi al di là della lettera delle cinque leggi, ad esempio la centralità della biblioteca e il decentramento, legati alla quarta legge, o il sistema di prestito e la complementarietà del catalogo con la classificazione in scaffalatura aperta, si estende al risparmio di tempo del personale e si riferisce anche alla tecnologia: «Tutti i volumi pubblicati dal bibliotecario indiano sono il risultato dell’applicazione del metodo scientifico ai princìpi della biblioteconomia» (p. 89). Bianchini entra nel linguaggio e nel pensiero di Ranganathan con entusiasmo professionale e personale. Esemplari le pagine sul servizio di reference, che può giungere a esser «carico di significati e di sfaccettature» (p. 137): «Il momento più felice di un bibliotecario è quello nel quale svolge il servizio di reference» (p. 109), secondo le parole di Ranganathan. Una citazione essenziale, attenuata oggi fin quasi a scomparire. Quanto ne rimane valido oggi? Secondo Ranganathan, ma evidentemente anche secondo Bianchini 

l’uomo che sceglie di lavorare in biblioteca può realizzare appieno la propria umanità se riesce a trasformare la propria professione in servizio autentico e disinteressato all’altro, svolgendolo con dignità profonda e con sincero distacco, senza sperare in riconoscimenti particolari (p. 140).

Le cinque leggi sono per Ranganathan i fondamenti della biblioteconomia. Di qui il titolo del libro di Bianchini, un titolo giustamente generale, ma il cui significato è spiegato da un sottotitolo, trascurato tuttavia sulla copertina. L’interesse dell’autore comprende tutta l’opera di Ranganathan, quasi a complemento delle cinque leggi. Ne è conferma l’interesse per The Organization of Libraries, «dedicata al ruolo educativo delle biblioteche nella società» (p. 144). Un apprendimento continuo e considerato essenziale da Ranganathan, dove si evidenzia la personalizzazione, e la cui necessità è oggi confermata e acuita. Per una prima preparazione per gli assistenti di biblioteca Bianchini consiglia il Library Manual for School, College and Public Libraries, nel quale Ranganathan in certo modo ha compendiato l’ampia raccolta delle proprie opere. Nel collegamento delle attività ha importanza la scelta delle pubblicazioni, anch’essa legata a tutte le cinque leggi e che non esclude considerazioni sulla politica editoriale. Particolari le insistenze sui dettagli del lavoro, come quelli sul risparmio di tempo per i lettori ma anche per il personale: ad esempio, la riduzione del tempo che intercorre tra le ordinazioni accelera la disponibilità al pubblico delle pubblicazioni (p. 157). Di qui l’interesse per la gestione e per i fabbisogni nelle varie attività, che si estendono ai rapporti a volte non facili con i responsabili politici. Mentre Ranganathan, osserva Bianchini, attribuisce un’importanza essenziale a tutti gli aspetti del servizio che riguardino il personale, dalla sua preparazione professionale ai rapporti con il pubblico e, non ultima considerazione, all’armonia interna, che è necessaria al buon andamento del servizio.

L’interesse professionale di Ranganathan è legato indissolubilmente all’importanza del servizio per tutti. Bianchini cita in proposito un passo di Shera, «l’utilità sociale è la misura del successo del singolo libro» (p. 174), dove ritroviamo il confluire dell’individuo nel collettivo, ammesso implicitamente da Bianchini, che vede la necessità di distinguere «il servizio fornito dallo strumento utilizzato per fornirlo» per interpretare «il ruolo delle biblioteche nella società contemporanea» (p. 103), dove forse le ultime tre parole sono superflue. L’interpretazione di Bianchini è ben concepibilmente fondata sullo spirito dell’opera di Ranganathan e sull’applicabilità delle leggi alla situazione attuale. Gli studi di Ranganathan, trascurati dalla professione, lasciano un vuoto non compensato da un certo sapore di novità alquanto diffuso, quando l’esperienza del passato tende a dissolversi in un presente atemporale. Il volume di Bianchini intende proprio proporsi «l’obiettivo di introdurre il lettore all’opera di Ranganathan» (p. 18), ancora non sufficientemente conosciuta. L’estensione a tutti è uno dei punti essenziali, con la biblioteca intesa come istituzione sociale: «Le intuizioni relative alla bibliografia sociale» consentono «anche di fornire elementi interpretativi degli sviluppi della nostra disciplina» (p. 179). Ranganathan evidenzia la struttura integrata del catalogo, contrariamente alla distinzione della cultura occidentale: il suo obiettivo «è costruire un modello complessivo del funzionamento del catalogo» (p. 197). Non sembra opportuno entrare qui nei dettagli della catalogazione, ma non si può non ricordare il «principio della variazione locale», «che afferma che un codice di catalogazione internazionale dovrebbe evidenziare i fattori che devono essere lasciati alla cura del codice di catalogazione nazionale» (p. 201). La legge dell’osmosi è largamente utilizzata per i documenti vecchi. In testa al capitolo sulla classificazione Bianchini cita una frase di Satija: «Nothing is more powerful than the idea whose time has come» (p. 211). È dettagliata in particolare la sezione dedicata alla classificazione Colon, alla quale Bianchini ha assegnato un capitolo a sé. È un tema caro all’autore, che vi ha dedicato di recente un seminario a Cremona.     

Significativo il titolo dell’ultimo capitolo: Unità di pensiero e ipertestualità dell’opera di Ranganathan, che definisce l’«approccio unitario e olistico a ogni fenomeno della biblioteconomia» (p. 236) e che, nota Bianchini, corrisponde alla «tradizione culturale indiana, che è fondata su un approccio olistico, teso a valorizzare la comprensione della realtà nella sua totalità prima ancora, o anziché, in tutte le sue parti componenti» (p. 237). Dove, come si è prima notato, «il testo delle cinque leggi assume la paternità di tutti gli altri» (p. 241): un’affermazione sostenuta d’altronde dallo stesso Ranganathan. La spirale del metodo scientifico porta al riconoscimento delle leggi fondamentali di base. E appare essenziale «l’umanità nel servizio», valida per tutti i servizi, non solamente per quelli prestati dal bibliotecario (p. 247). Importante dunque per Ranganathan la verifica della teoria con la pratica: «Il ricorso alternato all’approccio deduttivo e all’approccio empirico quindi è una contraddizione solo apparente» (p. 255). La stessa facoltà di intendere le leggi come dilatabili può consentire, secondo Bianchini, di intenderne possibile l’applicazione a ogni materia e al mondo elettronico, nel riconoscimento dello spirito di base. Certo, il rapporto non facilmente definibile tra il passato e il presente si può presentare come contrasto netto o come evoluzione che consideri la potenzialità del passato. Rolf Griebel, nel lasciare la direzione della Biblioteca statale bavarese, avvertì la convenienza di lasciare da parte l’abituale sentiero battuto per seguire arditamente la strada del futuro. Alcuni secoli prima Montaigne aveva espresso idee analoghe sui rischi della consuetudine, che

è in verità una maestra di scuola prepotente e traditrice. Essa ci mette addosso a poco a poco, senza parere, il piede della sua autorità, ma da questo dolce ed umile inizio, rafforzato e ben piantato che l’ha con l’aiuto del tempo, essa ci rivela in breve un volto furioso e tirannico, di fronte al quale non abbiamo più neppure la libertà di alzare gli occhi.

Nella situazione attuale le ragioni del conflitto risultano accentuate fino all’esasperazione, fino ad annullare l’esperienza, e in questo le parole di Bianchini a proposito del pensiero di Ranganathan vengono in aiuto. La figura gigantesca di Ranganathan appare come un faro necessario al servizio bibliotecario del suo tempo, ma la cui luce aiuta l’orientamento di chi navigherà in futuro. Bianchini sostiene che la visione di Ranganathan, «contraddistinta da un alto grado di generalizzazione e di onnicomprensività […] consente di analizzare i molteplici fenomeni biblioteconomici e di astrarne un modello funzionale valido ancora oggi» (p. 99).  

Alle stesse proposte di leggi rinnovate, che si presentano con qualche frequenza, Bianchini ha dedicato uno spazio forse eccessivo, che conclude saggiamente: «Non è un caso se questi tentativi non hanno mai alcun seguito, mentre le cinque leggi originali sono inossidabili» (p. 97). E perché non ricordare le parole di Anna Maria Tammaro, nella prefazione all’edizione italiana dell’Atlante di Lankes?

Ci sono molte similarità tra la biblioteconomia partecipativa e la biblioteconomia di Ranganathan, e in particolare la biblioteconomia di Lankes si avvicina alla prima e alla quinta legge della biblioteconomia di Ranganathan: i libri sono per essere usati e la biblioteca è un organismo che cresce.

Bianchini conclude con un’ampia appendice di interesse particolare, che considera l’insieme delle notizie nell’applicazione della classificazione Colon sia nella scaffalatura che nel catalogo, che è visto nel suo insieme dei «momenti distinti ma non separati di un’unica funzione» (p. 281), riconoscendo l’importanza dei cataloghi elettronici, ai quali «mancano ancora gli  strumenti per la realizzazione delle strutture classificatorie» (p. 281). Anche su questo punto l’autore osserva come la presenza di Ranganathan non debba essere considerata come limitata al suo tempo, ma proiettata verso il futuro. L’ordinamento dei dati delle risorse bibliografiche è previsto dettagliatamente e con qualche complessità da Ranganathan. Importante la pagina sulla convenienza dell’ordinamento cronologico delle edizioni di una stessa opera – ma vorrei suggerire la convenienza, per lo meno in un grande catalogo, dell’ordinamento cronologico inverso. Mi sembra inoltre condivisibile l’osservazione di Bianchini che oggi la faccetta Lingua dovrebbe essere subordinata alla faccetta Forma (p. 277). La parte finale del lavoro è anche interessante per i dettagli sull’ampia bibliografia delle opere di Ranganathan, e anche sulla struttura delle loro varie edizioni. Come la distinzione tra l’abstract della tradizione occidentale, esterno al testo, e il conspectus che, secondo la tradizione indiana, fa parte del testo.